1 settembre 2013 - XXII Domenica del Tempo Ordinario: L'amore senza calcoli, motore di vita
News del 31/08/2013 Torna all'elenco delle news
La gente sta ad osservare Gesù e Gesù osserva gli invitati.
C'è un incrociarsi di sguardi in quella sala che è la metafora della vita: conquistare i primi posti, competere, illusi che vivere sia vincere, prevalere, ottenere il proprio appagamento. Gesù propone un'altra logica: Tu vai a metterti all'ultimo posto. L'ultimo posto non è un castigo, è il posto di Dio, il posto di Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire; è il posto di chi ama di più, di chi fa spazio agli altri.
Amico, vieni più su, dirà allora l'ospite. A colui che ha scelto di stare in fondo alla sala è riservato questo nome intenso e dolce: amico. Amico di Dio e degli altri. L'ha dimostrato con quel gesto che sembra dire ad ognuno dei commensali: «Tu sei più importante di me, prima vieni tu». E così si fa amico di Dio, che eternamente altro non fa' che considerare ogni uomo più importante di se stesso. Lo garantisce la Croce di Cristo. Quando offri una cena non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell'eterna illusione del pareggio contabile tra dare e avere. Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi.
Ecco di nuovo quattro gradini che ti portano oltre il cerchio della famiglia e degli affetti, oltre la gratificazione della reciprocità, che aprono finestre su di un mondo nuovo: dare in perdita, dare per primo, dare senza contraccambio. Nel Vangelo il verbo «amare» si traduce sempre con il verbo «dare».
E sarai beato perché non hanno da ricambiarti.
In questa piccola frase è contenuto il doppio segreto della felicità: essa ha sempre a che fare con il dono, non può mai essere solitaria. Doni un po' di felicità a qualcuno e subito la riattingi, moltiplicata, dal volto dell'altro.
E sarai beato perché c'è più gioia nel dare che nel ricevere, come molti, come forse tutti abbiamo sperimentato.
E sarai beato perché agisci come agisce Dio, come chi impara l'amore senza calcolo che solo fa ripartire il motore della vita.
Invita i più poveri dei poveri e assicurati che non possano restituirti niente.
Vangelo stravolgente e contromano, che convoca un altro modo di essere uomini, il coraggio di volare alto, nel cielo di Dio, «il totalmente Altro che viene affinché la storia diventi totalmente altra da quello che è» (Barth), affinché la forza giovane del Vangelo sia sempre come una breccia di luce.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Umiltà e gratuità
È chiaro quello che vuole insegnarci Gesù: umiltà e gratuità sono due atteggiamenti fondamentali per il discepolo e non sono disgiunti, dove si trova umiltà c'è gratuità e viceversa.
Il discepolo, lo dicevamo già domenica scorsa, vive della gratuità del dono di Dio, per questo è "povero", per questo è consapevole che tutto ciò che egli ha, ma soprattutto tutto ciò che egli è lo riceve come un dono dalle mani di Dio e come un dono lo condivide senza pretese e in piena gratuità. Anzi potremmo dire che il discepolo avendo assaporato la bellezza della condivisione nella gratuità di ciò che è e di ciò che ha, non sa fare diversamente e non gli passa manco per la testa di stabilire rapporti fondati sul do ut des, non trova in simili relazioni ciò che può gratificare la sua vita. Sta lontano, senza volerlo, da tutto ciò che può mettere in discussione, anche solo minimamente, la sua scelta. Evita di cadere nella trappola di relazioni interessate e per questo preferisce chi, per forza di cose, vive poveramente ed è lontano dall'impostare la propria vita sul potere.
Certo nessuno di noi è immune dalla malattia della vanagloria e della ricerca del potere, tutti facciamo una fatica immensa a vivere gratuitamente, a perderci sempre, soprattutto se ci accorgiamo che dall'altra parte qualcuno non si fa troppi problemi a sfruttarci. Non credo sia necessario ricordare come l'uomo di successo piuttosto che il politico di turno, siano sempre circondati da una serie di persone disposte ad osannare e ad evitare di contraddire, pur di ottenere un qualche favore per sé o per i propri cari. È a tutti noto come cene, feste, banchetti di ogni specie vengano spesso organizzati da uomini e donne illustri per trattare veri e propri scambi di favore.
Da tutto questo il discepolo, che ha toccato con mano il dono di Dio, passando attraverso la porta stretta della piccolezza e della resa all'amore di Dio, sta lontano e non ha nessuna voglia di starci dentro. Stare insieme per il gusto di condividere gratuitamente quanto tutti gratuitamente abbiamo ricevuto è un dono impagabile.
Speriamo di poter fare questa esperienza e per questo è necessario pregare molto.
A voi tutti una buona domenica e una buona settimana!
Omelia di don Luca Orlando Russo
Un posto a tavola
Sceglievano i primi posti...
Siamo assillati dalla fatica di arrivare, di conquistare un posto nella società e dei suoi simboli... probabilmente non è questione di oggi se Gesù a un banchetto ha notato certi cercatori di posti di prestigio. Allora, come oggi, la competizione aveva i suoi fautori e le sue vittime. È anche vero che il progresso di persone e di popoli trova nella competizione un motore efficace. È altrettanto vero che la competizione ha finito per ossessionarci, sia sul piano personale, sociale che internazionale. Così il nostro giudizio su persone e popoli è condizionato da questo criterio ed apprezziamo chi ha avuto la capacità di mettersi in mostra indipendentemente dai valori vissuti; anzi certe furberie o stratagemmi non del tutto onesti vengono valutati con ammirazione se hanno raggiunto lo scopo. In altre parole chi prevale ha ragione. Il cercare o scegliere i primi posti ha in sé una perversità più o meno palese.
L'ideologia del prevalere purtroppo miete le sue vittime, sono gli scartati della società: i disoccupati, gli inoccupati, i precari, gli esodati, gli emigrati, i disadattati... l'elenco è terribilmente lungo. Se guardiamo con attenzione è la nostra società occidentale - quella che si identifica con la cultura cristiana - che ha prodotto tanta emarginazione. La nostra è una società, nel suo complesso, che cerca il primo posto, fatta di tanti che arrancando alla ricerca di un posto più elevato hanno creato lobby e centri di poteri, piccoli o grandi, leciti o illeciti.
Va' a metterti all'ultimo posto
Gesù ci offre una ricetta alquanto semplice da comprendere e tanto difficile da praticare se non rompendo gli schemi sociali che ci costruiscono.
Il primo ingrediente è mettersi agli ultimi posti, alla periferia della umanità. È un punto di vista privilegiato, come quello dei cagnolini ai piedi del tavolo (Mt 15,27), o di Gesù al di sotto del Sicomoro (Lc 19,5), o ai piedi dei discepoli (Gv 13,5), ed ancora di più quello della croce (Fil 2,8). Scegliere l'ultimo posto fa parte della dinamica della incarnazione, il mistero stesso di Cristo che non si è limitato a regalarci parabole e parole. Tutta la sua esperienza terrena è stata scegliere l'ultimo posto, ed ha lottato per farlo anche quando volevano farlo re (Gv 6,15) o travisavano la sua realtà di messia (Mc 8,33). Scegliere l'ultimo posto è entrare nella dinamica di incarnazione del Signore: la vera imitazione di Cristo sta proprio nell'accettare questo mistero di annichilimento e andare controcorrente nella società di oggi, sia civile che ecclesiale.
Invita poveri, storpi, zoppi, ciechi
Secondo ingrediente della ricetta che Gesù ci offre è invitare i poveri alla nostra tavola. Questo ingrediente è un po' sibillino; a prima vista invitare a tavola gli ultimi sembra quasi mettersi in condizione di ridare dignità alle persone che l'hanno persa. Una azione umanitaria se non filantropica. Gesù stesso ci invita a dare da mangiare a chi ha fame e vestire chi è nudo (Mt 25,35), c'è un servizio di carità da offrire ai poveri, un impegno di solidarietà e di comunione. Su questo la Chiesa è stata maestra al mondo intero. In questo impegno di carità c'è però un sottile sentimento di reciprocità, un contraccambio tra il dono e la gratitudine, tra ciò che è stato fatto e la soddisfazione di averlo fatto. C'è nascosto sottilmente la realtà di rimanere al primo posto per offrire, aiutare, donare, elargire...
La ricetta che il Signore ci dice nella parabola ha una prospettiva diversa: sedersi a tavola insieme nella totale gratuità. Mettersi allo stesso livello perché i poveri, coloro che in qualche modo sono gli emarginati (non sempre privi di cose) hanno qualcosa da dirci, ci offrono un punto di vista del mondo (e del vangelo) totalmente nuovo. Gesù è andato a casa di Zaccheo (Lc 19,7), si è fermato a mangiare con Matteo (Mt 9,10).
Scegliere gli ultimi, proprio perché esclusi, significa imparare a non escludere, a non lasciarsi abbagliare dalle apparenze o dai titoli onorifici, per stare al passo di tutti. Questo non significa che non dobbiamo impegnarci ad alleviare, consolare e se possibile risolvere i problemi della povertà e della esclusione, ma prendere coscienza che nella Storia della Salvezza e nel Vangelo i poveri (gli Hawim) sono i depositari della verità e del rapporto autentico con Dio; più che una dimensione sociale sono una categoria teologica, sono una Verità proprio perché priva di orpelli e sovrastrutture. Coloro che vivono alla periferia, se non ai margini di una società autoreferenziale possono insegnarci tolleranza, solidarietà, giustizia sociale, corresponsabilità. Possono aiutarci a comprendere la sobrietà, l'essenzialità, la capacità di accontentarsi, forse anche la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere.
Con gli ultimi è possibile recuperare il senso autentico della realtà per ripartire con entusiasmo e ritrovare la gioia (il banchetto) della vita.
Omelia di don Luciano Cantini
Liturgia e Liturgia della Parola della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 1 settembre 2013