Meditazioni davanti al presepe: il presepe nella tradizione cristiana

News del 25/12/2019 Torna all'elenco delle news

Accanto al presepe, l’albero di Natale con lo sfolgorio delle sue luci,
ricorda che con la nascita di Gesù rifiorisce l’albero della vita nel deserto.

Il presepe e l’albero: simboli preziosi,
che tramandano nel tempo il senso vero del Natale”.
Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi Natale 1982.
 

”Costruire il Presepe in casa può rivelarsi un modo semplice,
ma efficace di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. …
Il presepe può aiutarci a farci capire il segreto del vero Natale,
perché parla dell’umanità e della bontà misericordiosa di Cristo,
il quale “da ricco che era, si è fatto povero” per noi.
La sua povertà arricchisce chi la abbraccia e il Natale reca gioia e pace
a coloro che, come i pastori a Betlemme, accolgono le parole dell’angelo:
“Questo  per voi il segno: un bambino avvolto in fasce,
che giace in una mangiatoia”.
Benedetto XVI, Angelus 11 dicembre 2005.

Quando si pensa al Natale, per lo più, si fa inizialmente riferimento alle vetrine illuminate dei negozi, alla città addobbata con fiocchi rossi, alle luminarie del Corso Garibaldi e alle uscite che bisogna fare per i regali. Le famiglie si organizzano per il Cenone!
E tra le altre cose il pensiero gioioso dell’Albero di Natale, ogni anno addobbato diversamente, fatto a proprio piacimento, o seguendo la moda dei colori e degli stili dell’anno. Ed infine è anche tempo del  presepe.
Per molti il Natale è un’atmosfera di felicità, di bontà. Ecco allora le nostre case: luci alle finestre, ginepro e bacche rosse sulle porte.

Ma c’è un simbolo che più di tutti gli altri, in questo periodo, ci fa riflettere: il presepe appunto!
Il presepe è un rimando dell’uomo, non principalmente, ad una raffigurazione artistica, quanto ad un fatto: in una notte di duemila anni fa, in terra di Palestina, nella più piccola città della Giudea, chiamata Betlemme (casa del pane), nasce un bambino, in grande povertà: il suo nome è Gesù!
Ha due genitori, originari dell’alta Palestina, della regione della Galilea, considerata dai Giudei un luogo di contaminazione del male dove risedevano gli impuri. La città da cui provenivano era Nazareth (fiore, o il suo germoglio, oppure purezza, o separato, o custodita, San Girolamo IV secolo).
Da Nazareth, Maria e Giuseppe sono costretti ad andare a Betlemme perché l’imperatore romano ha deciso di fare il censimento di tutti gli uomini che abitavano nel suo impero. E tra costoro, anche questi giovani sposi. Affrontano i deserti, le strade scoscese, attraversano ruscelli e dirupi. Tanta la stanchezza, ancor maggiore la fatica perché questa giovane donna è incinta, già al nono mese!
Immaginiamo la trepidazione di questo padre così amorevole e così giovane (pensiamo a quando trascorrono le notti di viaggio avvolti solo dai mantelli); immaginiamo la sua delicatezza. Immaginiamo questa “mamma per la prima volta”! che deve affrontare un simile cammino inserito in un susseguirsi di prove. Immaginiamo la fatica di questi due giovani sposi che “quasi improvvisamente” si trovano a vivere insieme, ad affrontare gravi incomprensioni dei vicini, custodendo un Figlio che deve nascere e che rappresenta per loro, e per l’umanità, per la storia e tutto il creato, “la rivoluzione di Dio”!
Giungono a Betlemme (alla “casa del pane”) … Maria è sfinita… fa freddo… cercano un posto dove dormire… è sera tardi e Maria comincia ad avere le doglie del parto…. Bisogna far presto: il Bambino deve  nascere!
Bussano alle locande, ma per loro non c’è posto! Forse perché sono della Galilea, forse perché è tardi… forse perché non vogliono fastidi… insomma, per loro non c’è posto!
Ecco allora che Giuseppe, provato, ma non preso dalla disperazione, si affida alla Provvidenza di Dio…. ed ecco: una stalla, un rifugio per le greggi! Dio indica nel suo cuore quel luogo. Quella sarà la prima dimora che il Bambino vedrà! Una stalla con un presepe, la mangiatoia appunto.
La povertà e l’esperienza dell’inospitalità sembravano impedire un momento di immensa gioia: la venuta al mondo di un neonato. Ma l’amore dei suoi genitori e l’amore di Dio Padre trasformeranno quel luogo così povero ed austero nella più bella reggia che poteva esser preparata per il Re in fasce!
Nasce Gesù! Ed è festa! Maria e Giuseppe “vedono” il loro figlio e piangono di una gioia che solo chi ama può comprendere!
Nasce Gesù! Ed è festa! Il cielo si illumina! Le stelle risplendono, brillano di luce! Gli angeli celesti volteggiano in cielo, cantano in gioiosa esultanza e dicono a loro, al mondo, a tutti: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra Pace agli uomini, che egli ama”.
Nasce Gesù: ed è festa! La Gloria del Padre appare e la Pace germoglia!
I pericoli sono alle spalle; l’indigenza non ha il sopravvento! è nato un uomo, c’è un neonato. È il trionfo della vita e la scommessa dell’amore!

Accostarsi ad un presepe risveglia in noi, non tanto la bellezza, l’ammirazione per la preziosità dei materiali e per l’ingegno di colui che lo ha realizzato, ma principalmente lo stupore per la vita nascente e l’interrogativo: ma si può essere ancora oggi felici, in tempi di crisi, di disumanizzazione dell’uomo, di perdita di valori?
Il presepe per un cristiano diventa, allora, invito alla memoria, espressione della commozione, dello stupore davanti ad un mistero quasi impossibile a comprendersi: Dio “si abbassa” verso la vita dell’uomo e ne sceglie le fragilità. Sì, questa raffigurazione artistica favorisce la fede e ci aiuta a riflettere: insegna la via della Kenosis di Dio e dell’umiltà: di Dio e della Sacra Famiglia (modello di ogni famiglia umana e specialmente cristiana).
Chi fonda tutto sulla ragione non può assolutamente comprendere questo. Per chi fonda le sue scelte sul potere o sul denaro, o sulla ricerca della propria felicità, quella raccontata dal Vangelo è una storia impossibile, è un’invenzione. Forse non tanto per mancanza di fede, ma principalmente per egoismo o paura: paura di se stessi!
Guardare la grotta o la capanna che ospita le statuine della Sacra Famiglia è per noi un’esortazione:
Quanto ami? E fino a che punto?
Quanto speri? E fino a dove la tua speranza è salda?
In chi o in che cosa riponi la tua esistenza, le tue scelte, i tuoi principi, le tue azioni?
Il presepe diventa per noi un plastico insegnamento: l’umiltà dell’amore è più forte dell’odio!
Perché allora il Natale? Perché l’inaudito annuncio degli Angeli?
Perché: quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,… perché ricevessimo l'adozione a figli.

Ecco allora che il presepe ci ricorda una via nuova della vita, non la strada della felicità, ma il retto modo di intendere la nostra esistenza, in qualunque età ci si trovi, in qualunque stato si sia: a partire da quella embrionale fino alla canizie, dalla spavalderia delle forze fisiche, alla fragilità della malattia: il presepe ci ricorda che la vita è sempre importante e da rispettare, da educare ai valori autenticamente umani, da proteggere, specialmente quella più debole ed indifesa.
Ecco allora che il presepe diventa monito per le nostre coscienze e per il nostro modo di pensare, di agire e di parlare. Ma si fa monito anche per le poche o tante nostre omissioni.
Il presepe nasce perché la culla di Gesù fu una mangiatoia, una greppia.

Dunque l’arte ci aiuta a ricordare, non solo un fatto del passato, ma un fatto del presente: Dio vuole rinascere nelle nostre vite, nei nostri bambini, nelle nostre case.
Dio si è scelto una famiglia, una terra, ha scelto la concretezza, non il mondo delle illusioni e delle utopie, ma la reale via della salvezza per ciascuno di noi.
Dio ha scelto il tempo per darci la possibilità di trasformare il nostro niente in meraviglia; per scoprire che l’amore è possibile, che Natale non è solo emozione e, spesso purtroppo, tanta confusione, ma essenzialità e bellezza, di fronte a ciò che realmente conta nella vita.
Si può non essere cristiani, ma non si può non amare, perché l’amore che si dona, l’amore che si offre senza ragionare troppo sul contraccambio, l’amore che è capace di fare passi indietro per la riuscita della pace: questo amore appartiene a tutti gli uomini, è universale. E chi non ama, non è uomo!

Chi incontriamo quali primi ospiti di quel piccolo Re che già governa l’universo? I più umili e poveri della società ebraica: i pastori! Eppure a loro gli angeli appaiono, loro sono invitati a venire “laeti triunfantes” a Betlemme! “Natum videte, regem angelorum”, il loro Re!
Quale la nostra risposta?: lo stupore per l’ascolto di questo inno di gioia! Chi troveremo: un re? No, secondo gli uomini, eppure Dio stravolge il pensiero convenzionale, perché non sceglie in base ad apparenze, ma guarda il cuore! Ed allora chi andremo a vedere? Un re? Sì, il Re che custodisce la mia vita, che l’ha salvata, che nascendo già aveva scelto di morire per me e che morendo avrebbe scelto di rinascere per me!
Ecco allora l’autentica commozione: non sono i sentimenti passeggeri che affascinano i nostri cuori e “creano” atmosfere magiche, ma l’amore di un Dio e per un Dio che vagisce e ci pone una sola domanda, guardandoci negli occhi, nudo, adagiato su delicato fieno: mi vuoi bene?
E questa domanda possiamo modularla in diversi toni:
Mi accogli così come sono?
Mi vesti perché sono nudo?
Vuoi diventare tu la mia greppia?
C’è posto per me nel tuo cuore?
Vuoi lasciarti illuminare dalla mia luce, dalla mia gioia, dalla mia povertà, dalla mia regalità? Dal mio splendore?
Vuoi prender parte alla mia vita?
Questo è il Natale del Signore! Questi sono i natali degli uomini.
Questo è un giusto modo per accostarci alle belle statuine e guardare dentro la grotta o dentro la stalla, con curiosità magari: troveremo Maria, troveremo Giuseppe, un bue ed un asinello, che con il loro fiato portano calore e… una mangiatoia ricoperta di paglia che, normalmente, serve  a nutrire gli armenti, ma che tra breve diverrà uno degli oggetti più preziosi del mondo: la culla che ospiterà il Salvatore del mondo.

E Betlemme non si troverà solamente in Giudea, ma in ogni casa in cui ci saranno cuori che pulsano d’amore per il Signore e per i suoi fratelli.

Testo di don Nicola Casuscelli

Testo integrale