16 dicembre 2012 - Terza Domenica di Avvento, Domenica "Gaudete": Gioisci....esulta.....rallegrati....e noi che cosa dobbiamo fare?

News del 15/12/2012 Torna all'elenco delle news

La terza domenica dell'Avvento è chiamata dalla tradizione la domenica "Gaudete" perché così iniziava l'antifona di Introito della antica Liturgia e la Parola della Scrittura che oggi leggiamo è un forte invito alla gioia. "Gioisci...esulta...rallegrati..." grida il profeta Sofonia, perché "il Signore è in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura, egli è un salvatore potente".

E con le parole rivolte ai Filippesi, San Paolo ci esorta: "Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi".

E infine Giovanni il Battista "con molte esortazioni continua ad annunciare al popolo la buona notizia".

Con il Vangelo di Luca, la Liturgia insiste nel presentarci la figura di Giovanni, il figlio di Zaccaria per farci comprendere quanto sia importante il suo messaggio. Conoscere Giovanni, ascoltare la sua parola, accogliere il suo invito al cambiamento di mentalità, è un momento essenziale nel cammino della nostra vita cristiana, ma lo è perché ci fa sentire la necessità di un "Altro" al quale "egli non è degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali": è importante conoscere profondamente Giovanni, accorgerci quanto egli, sul quale "è venuta la Parola di Dio", risvegli in noi il desiderio di una esistenza autentica, ma è essenziale accogliere da lui stesso l'invito ad andare oltre lui. Giovanni risveglia il bisogno di autenticità, crea un popolo "in attesa", mette in piedi l'uomo che rischia di sedersi nelle sue illusioni o nelle sue delusioni, ma con estrema chiarezza e libertà, eliminando ogni rischio di strumentalizzazioni o di manipolazioni, "al popolo che era in attesa e a tutti che si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo", "a tutti rispondeva dicendo: Viene Colui che è più forte di me". Conoscere Giovanni è la via per incontrare Gesù, ascoltare la sua parola significa aprirsi per ascoltare Gesù che è la Parola. Il Vangelo di Luca, in modo mirabile, ci descrive l'itinerario che Giovanni stesso ha dovuto compiere per essere fedele alla Parola di Dio, per scendere profondamente dentro la propria interiorità e per aprirsi a Gesù, il più forte che lui stesso aspettava, ma che anche a lui ha chiesto il coraggio di accoglierlo nella sorprendente e inattesa modalità dell'Amore. Gesù stesso di Giovanni dirà: "Tra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui" (Lc.7,28).

Il brano che la Liturgia di questa domenica ci fa leggere (Lc.3,10-18), ci presenta, dunque, la figura di Giovanni, e fa risuonare per noi il suo messaggio.

Nei versetti che precedono immediatamente, Luca ci avverte del successo della parola di Giovanni: mosso dalla Parola di Dio, la sua parola, piena del vigore degli antichi profeti, mette in movimento la folla e il popolo di Dio che sembra ormai disfatto, comincia a rinascere. L'urgenza del tempo, l'insufficienza di una appartenenza solo sociologica al popolo di Dio, l'illusione del possesso esclusivo di questa appartenenza quasi fosse un diritto acquisito, l'affermazione della libertà di Dio che opera ben oltre confini definiti, l' abbandono dell'equivoco che bastino le radici per affermare la bontà dell'albero, dimenticando l'importanza della qualità dei frutti, sono i grandi temi del programma di Giovanni.

"Che cosa dobbiamo fare?": le folle cominciano ad interrogare Giovanni. Qualcosa di nuovo comincia ad accadere: la Parola è all'opera. La risposta di Giovanni è semplice e straordinaria nello stesso tempo: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto". La condivisione dei beni suppone un cuore fraterno e una mentalità nuova capace di progettare una società nuova.

"Maestro, che cosa dobbiamo fare?": è la domanda posta da alcuni pubblicani venuti a farsi battezzare. Anche per loro il rito del battesimo esprime la decisione di cambiamento di vita che inizia dal riconoscimento di un nuovo maestro che li guidi nell'ascolto della Parola di Dio. E la risposta di Giovanni è ancora semplice e straordinaria: "Non esigete nulla di più di quanto sia stato fissato". I pubblicani sono gli esattori delle tasse: a loro Giovanni indica la via di ciò che noi oggi chiamiamo l' "onestà fiscale". Non chiedere nulla di più, ma chiedere ciò che è stato fissato. Promuovere e attuare l'onestà fiscale suppone ancora il senso della partecipazione alla costruzione di una società fraterna, condivisa e responsabile: anche questo è frutto di una onestà del cuore.

"E noi, che cosa dobbiamo fare?": anche alcuni soldati pongono la stessa domanda. La Parola del profeta ha raggiunto tutte le categorie, anche quelle che potevano essere ritenute più insensibili. Ai soldati abituati a sentirsi autorizzati ad agire al di fuori di ogni controllo, la risposta di Giovanni ancora una volta è semplice e straordinaria: "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, accontentatevi delle vostre paghe". Anche a loro indica l'onestà, la non sopraffazione, il non approfittare della loro forza, l'equilibrio nel modo di comportarsi: anche questo è la conseguenza di un cambiamento interiore che vede nell'altro una persona da rispettare, da servire, da amare.

La Parola di Giovanni apre in chi lo ascolta la speranza meravigliosa di una società nuova e al tempo stesso risveglia la necessità di un impegno responsabile per attuarla: una società fraterna in cui sia bello vivere, che richiede l'impegno personale di tutti.

"Tutti in cuor loro si chiedevano se non fosse lui il Cristo": è così bella la prospettiva accesa nel cuore di tutti che tutti cominciano a chiedersi se non sia arrivato il Messia e non siano giunti i tempi messianici.

Sarebbe tutto deludente se la Parola di Giovanni fosse solo una irraggiungibile utopia: è bella una società fraterna, onesta e giusta, ma gli uomini che pure si risvegliano a questo annuncio, sono capaci di realizzarla? Nel cuore di tutti si apre il desiderio del Messia. Giovanni con grande onestà proclama di non essere lui il Messia ma, lui, "il servo della Parola di Dio" è chiamato a proclamare che l'attesa non va delusa: viene un altro più forte di Giovanni, che immergerà gli uomini nello Spirito e nel fuoco, li trasformerà e darà loro la forza di realizzare il meraviglioso progetto annunciato da Giovanni.

Il brano di Luca termina dicendo che "con molte e altre esortazioni, Giovanni portava il lieto annuncio al popolo": quelle di Giovanni non sono esortazioni deludenti, egli continua a portare il lieto annuncio (il verbo all'imperfetto significa appunto una azione che continua). Viene il Messia, è Gesù, che cambia il cuore degli uomini perché sappiano amarsi come fratelli, vivere di onestà e di giustizia e realizzare una società nuova. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma


Per stare bene l'uomo deve dare

«Esulterà, si ralle­grerà, griderà di gioia per te, co­me nei giorni di festa». Nel­le parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Sofonia racconta un Dio fe­lice il cui grido di festa at­traversa questo tempo d'avvento e ogni tempo dell'uomo e ripete, a me, a te, ad ogni creatura: «tu mi fai felice». Tu, festa di Dio.
Dio seduce proprio perché parla il linguaggio della gioia, perché «il problema della vita coincide con quello della felicità» (Nietz­sche). Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parla­to, sussurrato, tuonato, a­veva la voce dei sogni; solo qui, solo per amore Dio gri­da. Non per minacciare, so­lo per amare. Mentre il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, il Battista risponde alla do­manda più feriale, che sa di mani e di fatica e incide nei giorni: «che cosa dobbiamo fare?». E l'uomo che non possiede nemmeno una veste degna di questo no­me, risponde: «chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha».
Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, caval­lette e miele selvatico, risponde: «chi ha da man­giare ne dia a chi non ne ha». Nell'ingranaggio del mondo Giovanni getta un verbo forte, «dare». Il primo verbo di un futuro nuovo.
In tutto il Vangelo il verbo a­mare si traduce con il ver­bo dare (non c'è amore più grande che dare la vita; chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca; c'è più gioia nel da­re che nel ricevere...). È leg­ge della vita: per stare bene l'uomo deve dare.
Vengono pubblicani e sol­dati, pilastri del potere: «e noi che cosa faremo?». «Non prendete, non estor­cete nulla, non accumula­te». Tre risposte per un pro­gramma unico: tessere il mondo della fraternità, co­struire una terra da cui sal­ga giustizia. Il profeta sa che Dio si trasmette attraverso un atteggiamento di rispet­to e di venerazione verso tutti gli uomini, e si tra­smette come energia libe­ratrice dalle ombre della paura che invecchiano il cuore. L'amore rinnova ( Sofonia), la paura invec­chia il cuore. «E io, che cosa devo fare?». Non di grandi profeti ab­biamo bisogno ma di tanti piccoli profeti, che là dove sono chiamati a vivere, an­che non visti, giorno per giorno, siano generosi di giustizia, di pace, di onestà, che sappiano dialogare con l'essenza dell'uomo, por­tando se non la Parola di Dio almeno il suo respiro alto dentro le cose di ogni giorno.
Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessu­to buono del mondo. 

Omelia di padre Ermes Ronchi

Conversione, fede, amore... cioè gioia

L'episodio del pressante interrogatorio a cui Giovanni il Battista sulle rive del Giordano riassume le caratteristiche portanti dell'avvento: conversione, fede, amore. Egli viene infatti interpellato innanzitutto dalla gente comune, che vuol sapere da lui quale sia l'atteggiamento da assumere in questo momento importante in cui vanno "raddrizzati i sentieri del Signore"; ad essa Giovanni fornisce una risposta proporzionata ed equilibrata: fuggite la mediocrità e datevi alla generosità disinteressata secondo le vostre forze. Come diceva una canzone: "Si può dare di più, senza essere eroi". Anche i pubblicani - noti per la loro disonestà interessata - si avvicinano a lui per porgli lo stesso quesito e anch'essi ricevono una risposta proporzionata al loro stato e alla loro condizione: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato", cioè non ricorrete ai raggiri e alle truffe per ottenere guadagni illeciti e immeritati. E infine anche i soldati chiedono orientamento e ottengono ancora una volta una risposta consona e appropriata a loro: "Non maltrattate e non estorcete nulla a nessuno", cioè non ricorrete alla violenza e al furto. Ciascuno insomma si comporti rettamente, considerando la propria formazione e la propria condizione attuale, l'importante è realizzare concretamente il bene, facendo frutti di conversione. Giovanni stava di fatto battezzando con un rito esteriore che significava l'avvenuto pentimento dai peccati da parte di chi veniva bagnato sul capo, che così intendeva convertirsi e attendere con fede la venuta del Messia. Giovanni predica insomma l'amore, ma non da intendersi nel senso filantropico o comunque restrittivo. Egli insegna a praticare l'amore che scaturisce dall'avvenuta trasformazione interiore e che ha dato vita alla fede nel Dio che è Amore e che si manifesterà in Gesù Cristo Figlio di Dio. Siffatto amore raggiunge tutti e vuole avere la corrispondenza da parte di tutti, quindi ciascuno vi può aderire e corrispondere proporzionatamente alle proprie possibilità.
Nell'amore siamo invitati anche ad essere latori di giustizia e di equità, e ad instaurare un sistema di convivenza valevole per tutti, nel quale vi siano le condizioni per godere ciascuno del proprio diritto avendo riconosciuta la propria dignità. La ricerca della giustizia vuole però che prima ancora di ogni sistema di legiferazione ciascuno di noi sia effettivamente giusto, che accolga cioè nella propria vita il fatto che Dio vuole renderlo giusto e integro.
Ma in sintonia con il profeta Sofonia, che nella Prima Lettura annunciava la liberazione e la pacificazione universale, Giovanni in tutto questo processo ci ragguaglia che la venuta del Signore è indice di gioia, poiché l'obiettivo della conversione, della fede e della carità non può essere che questo: la gioia contrassegnata dall'attesa fiduciosa che il Signore venga.
La venuta di Dio si va avvicinando e l'attesa, che ha assunto connotati di conversione e di predisposizione, adesso diventa anche sinonimo di gioia. L'arrivo del Signore a Natale ci rallegrerà, motiverà le nostre speranze, accrescerà il vigore della nostra attesa, accentuerà la nostra preparazione, questo perché è in se stessa un'attesa di gioia e non di trepidazione. La gioia comporta certamente serenità interiore e fiducia, benessere e stabilità d'animo, ma per ciò stesso comporta apertura al prossimo nella condivisione e nella carità. Chi gioisce dona e moltiplica il dono di se stesso: "Non angustiatevi per nulla... siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!" Come Giovanni Battista aveva promesso la novità di vita per ciascuno ("Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio") così anche Paolo si mostra esultante nel monito alla gioia e alla letizia in vista della prossima venuta del Signore.
E in effetti non può essere diversamente: la presenza di Dio nella nostra vita ci da' motivo di estinguere le nostre apprensioni e di scongiurare la disperazione e la resa; ci dona il coraggio e la fiducia che scaturiscono dalla fede, la quale ci rende costanti nella prova, risoluti e determinati nel bene. La speranza, che poggia sulla fede e da essa si dirama (Moltmann), dandoci la certezza della vicinanza di Dio, accresce la confidenza verso Dio e aiuta ad attendere con fiducia il suo intervento nelle nostre vicende.
La motivazione e lo slancio che ci derivano dalla comunione con Dio producono di conseguenza la serenità nei confronti degli altri, dando l'esperienza concreta della certezza che "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20, 20) e che quindi la carità apporta molte più soddisfazioni di quanto ne precludano la protervia e la chiusura egoistica. L'attesa del Signore nella fede, nella speranza e nella carità è quindi motivo di gioia e di contentezza, come pure ragione di letizia è la stessa vicinanza del Dio che esce da se stesso per rendersi uno di noi.  

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

Liturgia della Terza Domenica di Avvento (Anno C): 16 dicembre 2012

Liturgia della Parola della Terza Domenica di Avvento (Anno C): 16 dicembre 2012