15 aprile 2012: Ottava di Pasqua o Domenica in albis o Domenica della Divina Misericordia
News del 12/04/2012 Torna all'elenco delle news
La seconda domenica di Pasqua è chiamata "in albis" perché coloro che hanno ricevuto il battesimo nella notte di Pasqua portano una seconda volta la veste bianca, segno della nuova nascita in Cristo.
Recentemente, per iniziativa di Giovanni Paolo II, è diventata "la domenica della misericordia", facendo eco alla prima lettera di Pietro (1,3): "nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediate la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia, non marcisce".
E' chiamata anche "la domenica di Tommaso" perché ogni anno, in questa domenica, la Liturgia ci fa leggere il brano del Vangelo di Giovanni (Giov.20,19-31) che parla di lui, uno dei Dodici.
Si tratta, della manifestazione di Gesù agli apostoli: Gesù tra i suoi, può essere il titolo di questa pagina che la Liturgia ci fa sperimentare. Attraverso il linguaggio narrativo, Giovanni presenta le modalità con cui Gesù viene e rimane nella Chiesa ed educa i discepoli perché "vedano" i segni della sua presenza e "credano" nella sua carne umana il Cristo, il Figlio di Dio e "credendo abbiano la vita nel suo nome".
Questa pagina è in qualche modo, la sintesi di tutto il Vangelo: riattualizzandola nella Liturgia, siamo condotti a gustarne la inesauribile ricchezza mentre ci sentiamo rinati per una vita incontenibile. Se il Vangelo parla di "Gesù tra i suoi" intende farci sperimentare "Gesù con noi".
Tutto comincia alla sera di Pasqua: Maria di Magdala ha visto il Signore e ha ricevuto da lui la missione di annunciarlo ai discepoli (Giov.20,11-18), Piero e il discepolo che Gesù amava hanno visto la tomba vuota (Giov.20, 1-10).
Ma i discepoli sono ancora chiusi: stretti tra loro per paura delle autorità giudaiche, le loro porte rimangono sprangate.
E' destinata a noi la descrizione di Giovanni: sono i discepoli di Gesù, riuniti tra loro, ma in loro prevale la paura, le porte sono sbarrate per potersi difendere mentre "scende la sera di quel giorno, il primo dopo il sabato". L'annuncio della risurrezione non ha ancora afferrato la loro vita: il loro stare insieme è ancora in preda alla paura, pieno di ambiguità. Ed è sorprendente il seguito del racconto del Vangelo: dice quanto di più sconvolgente ed inatteso si possa pensare, ma lo dice in modo semplice, quasi ovvio.
Questo per avvertirci che ciò che importa all'evangelista non né spiegarci come si sono svolti gli avvenimenti ma annunciarci una realtà, nuova e totalmente imprevedibile, che è entrata nella storia per liberare l'uomo da ogni paura e condizionamento e dargli la possibilità di realizzarsi al di là di ogni suo desiderio o progetto: "quando scendeva la sera… venne Gesù e stette in mezzo a loro". Questo è il lieto annuncio: là dove i suoi discepoli sono riuniti, fragili, deboli, sempre pieni di paura, lui "viene e rimane con loro". Gesù viene nella Chiesa, lungo la storia, continuamente: non la porta fuori dalla storia, la Chiesa condivide la fragilità e le paure di tutti gli uomini. Ma lui viene e rimane in mezzo ai suoi discepoli: hanno paura, ma la paura non li schiaccia; sentono la loro insicurezza ma non è la chiusura delle porte che garantisce la loro sopravvivenza. Lui viene e dice: "Pace a voi". Il primo giorno è iniziato: non è tutto finito nella tenebra della sera.
C'è una forza nuova che vince tutte le forze avverse; non si misura sul loro stesso piano ma le svuota superandole. Lui "che conosce il soffrire" sa che i suoi discepoli saranno sempre immersi nelle difficoltà, ma lui che conosce l'amore del Padre, offre a loro la pienezza dei suoi doni, "la pace", la tranquillità interiore, la vera forza perché il male non vinca.
La gioia è la condizione nuova dei discepoli perché "hanno visto il Signore": l'hanno visto nel suo mostrare le mani e il costato, hanno visto il suo amore senza limite. Come è possibile rimanere nella tristezza, nella paura, quando si sperimenta un tale Amore? E' incontenibile la ricchezza dei doni che la sua presenza comunica ai suoi discepoli: e nasce la loro missione verso il mondo E comincia il mondo nuovo: non è fatto dagli sforzi umani ma dal dono dello Spirito che lui, il Signore risorto effonde. E' un mondo nuovo perché nato da un Amore che ha perdonato il peccato di chi lo ha crocifisso, mostra la sua novità nel perdono che è la forza che vince l'odio, la pace che vince la guerra, la gioia che vince la tristezza, la libertà che vince ogni forma di schiavitù.
La comunità dei discepoli di Gesù trova il motivo della sua esistenza nella proclamazione: "Abbiamo visto il Signore!", nel mostrare la ricchezza dell'esperienza vissuta con lui che "viene e rimane in mezzo a loro", nel gustare la gioia per la pace che egli comunica, la forza nuova, la libertà, nello sperimentare la novità di una vita vissuta nello Spirito e la passione che spinge ad andare nel mondo per proclamare il coraggio di una vita che può osare tutto perché l'ostacolo più grande, il peccato, è stato vinto.
E' così bella la vita con lui, il risorto! Potremmo volare! Ma il Vangelo ci riporta alla vita concreta e lo fa presentandoci l'esperienza di Tommaso, il "gemello". Ma gemello di chi? Di ciascuno di noi, che in lui, nella sua diffidenza e poi nella sua fede, può trovarsi completamente. Secondo alcuni esegeti, più che "gemello", Tommaso è "doppiato" (a due volti): figura estremamente significativa di ogni discepolo di Gesù. I sinottici hanno sottolineato che "tutti i discepoli dubitarono". Per Giovanni, Tommaso li riassume tutti: è assente la sera della prima venuta di Gesù, ma ha la nostalgia di lui. E lui viene di nuovo (è già la domenica!). Viene ad implorare Tommaso: "Tocca i segni del mio amore: non rimanere non credente ma credente".
E Tommaso esprime l'atto di fede più intenso fatto da un discepolo in tutto il Vangelo: ha conosciuto "interiormente" chi è Gesù, il suo amore che non si ferma di fronte al dubbio umano, che cerca senza sosta chi è fragile, che non abbandona chi rimane sempre debole. E Tommaso, il discepolo a doppio volto, svolge un ruolo essenziale per la fede che deve diventare la vita per il mondo intero: egli ha visto e ha creduto e ha testimoniato per coloro che non vedendo, nella fatica quotidiana, nell'oscurità sempre rinascente, nella concretezza della mediocrità di una Chiesa sempre dubbiosa, sono chiamati a credere, a sperimentare la presenza di Gesù, sempre nuova, sempre così ricca, da rendere felice la vita di coloro che gridano a lui: "Mio Signore e mio Dio!"
Testo di mons. Gianfranco Poma (I discepoli gioirono al vedere il Signore)
La Pasqua senza la croce è vuota
«Se non vedo, se non tocco, io non credo». Non crede Tommaso neppure a dieci apostoli: «non viene da voi la prova di cui ho bisogno. Io voglio sentire Cristo che tocca Lui la mia vita, Cristo che entra, apre, solleva, e traccia strade. Non mi accontento di parole, ho bisogno di 'sentire' Dio, di un Dio sensibile, udibile, visibile; non di un racconto, ma di un avvenimento. Ho bisogno che la sua vita scuota la mia vita, e sentire che è per me, che è mio». Ed ecco che Tommaso non ricerca segni gloriosi o trionfalistici, ma vuole toccare le ferite vive e aperte della passione, rivedere il corpo dato, il sangue versato: lì è condensata l'essenza della fede. Finché non partecipi, finché non sei coinvolto nell'immenso gioco dell'amore e del dolore di Dio, non puoi dire: io credo, Signore!
«Metti qui il tuo dito, tendi la tua mano!». Gesù si fa vicino, voce che non giudica ma incoraggia, e i segni dei chiodi sono a distanza di mano e di cuore: il risorto è il crocifisso. La Pasqua senza la croce è vuota. La croce senza la Pasqua è cieca. Tommaso si arrende a un crocifisso amore che accondiscende alla sua fatica di credere e consegna ancora il suo corpo; si arrende a quel foro nel fianco e neppure si dice che lo abbia toccato. Si arrende all'amore che ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebile alfabeto, come l'amore. A ciascuno di noi Gesù ripete: «guarda, stendi la mano, tocca le piaghe, ritorna ai giorni della croce; guarda a fondo, fino alla vertigine, in quei fori; porta i tuoi dubbi al legno della croce, troveranno risposta; non stancarti di ascoltare la passione di Dio».
E Tommaso passa dall'incredulità all'estasi: «Mio Signore e mio Dio». Voglio custodire in me questo aggettivo, come una riserva di coraggio per la mia fede: «Mio». Piccola parola che cambia tutto, che non evoca il Dio dei libri o degli altri, ma il Dio intrecciato con la mia vita, mia luce e mia ombra, assenza e poi più ardente presenza. Tommaso come l'amata del Cantico dei Cantici dice: «Il mio amato è per me e io sono per lui». Mio, non di possesso, ma di appartenenza. Mio, in cui mi riconosco perché da lui sono riconosciuto. Mio, perché esiste per me, mia luce e mio dolore. Mio come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei.
Testo di padre Ermes Ronchi
Non si è cristiani se non si crede che Gesù è risorto
Alle donne recatesi al sepolcro, il mattino di Pasqua, l'angelo disse: "Non abbiate paura. Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto!". Ma è veramente risorto, Gesù? Quali garanzie abbiamo che si tratta di un fatto realmente accaduto, e non di una invenzione o di una suggestione? San Paolo, scrivendo a non più di venticinque anni di distanza dai fatti, elenca tutte le persone che lo hanno visto dopo la sua risurrezione, la maggioranza dei quali era ancora in vita (1 Cor 15,8). Di quale fatto dell'antichità abbiamo testimonianze così forti come di questo?
Ma a convincerci della verità del fatto è anche un'osservazione generale. Al momento della morte di Gesù i discepoli si sono dispersi; il suo caso è dato per chiuso: "Noi speravamo che fosse lui...", dicono i discepoli di Emmaus. Evidentemente, non lo sperano più. Ed ecco che, improvvisamente, vediamo questi stessi uomini proclamare unanimi che Gesù è vivo, affrontare, per questa testimonianza, processi, persecuzioni e infine, uno dopo l'altro, il martirio e la morte. Che cosa ha potuto determinare un cambiamento così totale, se non la certezza che egli era veramente risorto?
Non possono essersi ingannati, perché hanno parlato e mangiato con lui dopo la sua risurrezione; e poi erano uomini pratici, tutt'altro che facili a esaltarsi. Essi stessi sulle prime dubitano e oppongono non poca resistenza a credere. Neppure possono aver voluto ingannare gli altri, perché, se Gesù non era risorto, i primi ad essere stati traditi e a rimetterci (la stessa vita!) erano proprio loro. Senza il fatto della risurrezione, la nascita del cristianesimo e della Chiesa diventa un mistero ancora più difficile da spiegare che la risurrezione stessa.
Questi sono alcuni argomenti storici, oggettivi, ma la prova più forte che Cristo è risorto, è che è vivo! Vivo, non perché noi lo teniamo in vita parlandone, ma perché lui tiene in vita noi, ci comunica il senso della sua presenza, ci fa sperare. "Tocca Cristo chi crede in Cristo", diceva sant'Agostino e i veri credenti fanno l'esperienza della verità di questa affermazione.
Quelli che non credono nella realtà della risurrezione hanno sempre avanzato l'ipotesi che si sia trattato di fenomeni di autosuggestione; gli apostoli hanno creduto di vedere. Ma questo, se fosse vero, costituirebbe, alla fine, un miracolo non meno grande di quello che si vuole evitare di ammettere. Suppone infatti che persone diverse, in situazioni e luoghi diversi, abbiano avuto tutte la stessa allucinazione. Le visioni immaginarie arrivano di solito a chi le aspetta e le desidera intensamente, ma gli apostoli, dopo i fatti del venerdì santo, non aspettavano più nulla.
La risurrezione di Cristo è, per l'universo spirituale, quello che fu per l'universo fisico, secondo una teoria moderna, il Big-bang iniziale: un'esplosione tale di energia da imprimere al cosmo quel movimento di espansione che dura ancora oggi, a distanza di miliardi di anni. Togli alla Chiesa la fede nella risurrezione e tutto si ferma e si spegne, come quando in una casa cade la corrente elettrica. San Paolo scrive: "Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rom 10,9). "La fede dei cristiani è la risurrezione di Cristo", diceva sant'Agostino. Tutti credono che Gesù sia morto, anche i pagani, gli agnostici lo credono. Ma solo i cristiani credono che è anche risorto e non si è cristiani se non lo si crede. Risuscitandolo da morte, è come se Dio avallasse l'operato di Cristo, vi imprimesse il suo sigillo. "Dio ha dato a tutti gli uomini una prova sicura su Gesù, risuscitandolo da morte" (Atti 17,31).
Testo di padre Raniero Cantalamessa
Tommaso, il patrono dei ritardatari
È gelida la risposta di Tommaso. No, non crede. Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene. Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace. Torna Gesù, apposta per lui.
Testo di don Mario Campisi
Liturgia della II Domenica di Pasqua (Anno B): 15 aprile 2012
Liturgia della Parola della II Domenica di Pasqua (Anno B): 15 aprile 2012