La fedeltà  alla Legge di Dio e l'esigenza di un amore senza "se" e "ma"

News del 12/02/2011 Torna all'elenco delle news

Il brano del Vangelo di Matteo, che ci viene annunciato in questa VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A), continua la lettura del sermone della montagna con la sezione che viene chiamata "Discorso delle antitesi", ove si solleva il decisivo problema del rapporto tra Gesù e la legge, tra il Vangelo e le norme etiche.

Con una frase che a guisa di ritornello scandisce i versetti 17-37, sembra che Gesù prenda una drastica posizione contro la Legge: "Avete inteso che fu detto... ma io vi dico". In verità subito aggiunge: "Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento".

Ed è proprio il "compimento" della Legge il cuore di questo brano evangelico. Per Gesù, compiere la Legge, vuol dire diventare "perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (v. 48). Avendo presente questo esigente obiettivo non fa meraviglia ascoltare l'ammonizione che apre l'odierna pericope: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". È a dire che ad essere buoni alla pari dei farisei vale lo stesso che esserlo per nulla. La giustizia dei farisei viene giudicata da Gesù così poco grande, che nemmeno basta per entrare nella salvezza. È un giudizio durissimo, che non può non stupire se si tiene conto che il fariseismo del tempo agli occhi dei più era cosa assolutamente rispettabile e rispettata.
Eppure la giustizia dei discepoli del Vangelo deve essere superiore, e di molto, a quella dei farisei. Gesù non intende parlare qui di una maggiore quantità di precetti da osservare. In altra parte del Vangelo rimprovera proprio su questo i farisei: "Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili" (Lc 11,46). Egli parla di una giustizia diversa. È una giustizia che non va neppure confusa con quella di cui si tratta sul piano legislativo. La giustizia di cui parla Gesù va collegata all'agire di Dio, il quale non si comporta come un freddo calcolatore che bilancia il dare e l'avere, le colpe e i meriti. Dio agisce con un cuore grande e misericordioso. La giustizia di Dio, potremmo dire, è andare oltre ogni limite, anche quello della legge. Il problema non è sul rapporto tra precetto ed osservanza, bensì tra amore e indifferenza, o se si vuole, tra calore e freddezza. Non è in gioco, infatti, la semplice osservanza delle leggi, che è semplicemente una sorta di primo gradino nella scala della convivenza, bensì la vita stessa della comunità.
Il primo tema che Gesù tocca è tratto dal quinto comandamento: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio". Come appare chiaro non si tratta di una nuova casistica (con le altre due scansioni: chi dice "stupido" o "pazzo" al proprio fratello) o di una nuova prassi giuridica, magari più severa della precedente, bensì di un nuovo modo di intendere e di praticare il comando del "non uccidere". Sono in gioco i rapporti tra di noi e il rapporto con Dio. Questi rapporti, vuol dire Gesù, sono a tal punto importanti da decidere del destino definitivo di una persona. È un modo diverso per dire che l'amore, tra noi e con Dio, è il compimento della Legge. In tal senso si tratta di passare, anche verbalmente, da un precetto in negativo all'affermazione del primato dell'amore. Suona perciò molto lontano dal Vangelo quel detto popolare che tante volte sentiamo ripetere: "Non ho fatto male a nessuno; mi sento la coscienza a posto". Non è questione di non fare il male, quanto piuttosto di fare il bene. È l'amore, la giustizia chiesta ai discepoli del Vangelo.

Gesù giunge a dire: "Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono". Non dice "se tu hai qualcosa contro tuo fratello", ma "se lui ha qualcosa contro di te", per indicare che la riconciliazione va fatta anche se la colpa è dell'altro e non nostra. Ebbene, Gesù chiede di interrompere persino l'atto supremo del culto, per ristabilire l'armonia del perdono e dell'amicizia. La "misericordia" vale più del "sacrificio". Il culto, inteso come segno della relazione con Dio, non può prescindere da un rapporto umanamente serio e amichevole tra gli uomini. È in questo contesto che va intesa anche l'affermazione seguente: "Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore".
Viene poi la questione del giuramento: "Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non giurerai il falso... ma io vi dico: non giurate affatto". La proposta evangelica esclude qualsiasi forma di giuramento nella sua duplice valenza, religiosa e sociale. Il giuramento viene visto come un abuso dell'autorità di Dio, chiamato a coprire la deficienza di veracità delle parole e degli impegni umani. Il Signore ha creato l'uomo con la dignità della parola (purtroppo, anche se motivi storici lo hanno sollecitato, la pratica cristiana ha persino istituito canonicamente il giuramento). Gesù dice: "Sia invece il vostro parlare: sì sì, no no; il resto viene dal maligno". Gesù crede davvero alla parola degli uomini. Così si conclude il brano evangelico di questa domenica. Esso ci riporta al principio della parola evangelica, nella sua novità e nella sua forza. Chi ha mai osato pronunciare parole come queste? L'apostolo Paolo afferma che si tratta di una "sapienza che non è di questo mondo" e aggiunge: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito" (1 Cor 2,9). È la consegna ai credenti di una nuova "legge", non fatta di norme o di disposizioni giuridiche, ma di un cuore nuovo, di uno spirito nuovo. 
 
Testo di mons. Vincenzo Paglia

 

Il Vangelo di questa Domenica 13 febbraio 2011 può apparire di una grande durezza, sulla bocca di Gesù. Ma non è così.
L'amore e la giustizia devono possedere quella nettezza di verità che è nella loro stessa natura: non possono subire contraddizioni, che ne farebbero perdere la profonda e grande bellezza. Leggendo il Vangelo di oggi possiamo misurarci tutti su ciò che davvero siamo agli occhi di Dio.
Possono davvero apparire dure le parole che oggi Gesù ci rivolge, ma Lui, Verità suprema, non poteva sottomettersi alle ambiguità, tante volte nostre, per cui non sappiamo rendere il nostro parlare un netto sì o no, ossia un autentico servizio alla verità.
Oggi tira un'aria così nebbiosa di confusione e gelida di relativismo, che a volte tanti si arrogano 'il diritto' di farsi arbitri di ciò che è bene o male, a seconda della convenienza personale, travolgendo così gli eterni valori, fino a proporne altri....riduttivi o personalizzati, miseri se non scadenti, ma comunque sempre effimeri.
E può così capitare che – anche senza l'autorevolezza che Gesù oggi manifesta – ma con il solo accennare alla necessità di essere giusti secondo Dio, operando, quindi, con coscienza retta, fedeli alla legge del Signore, si sia considerati come guardiani assurdi di un passato che, per 'essere moderni', è doveroso seppellire!
Quante volte, forse, davanti alla nostra dimostrazione della verità della vita, ci si sente investiti dal rifiuto_ come fossimo noiosi o invadenti testimoni di ciò che non è più 'di moda'.
E come voler mandare in soffitta la voglia di verità, l'eroismo dell'amore, la bellezza della giustizia. Quello che così facendo ci rimane... è nell'esperienza, a volte anche drammatica, di tutti: il rischio di definire buono ciò che è dannoso, tanto da considerare 'mentalità da Medioevo' la denuncia degli scandali, che troppo spesso si ripetono in mille modi tra noi.
Ma un uomo senza fedeltà alla legge di Dio – unica via ad una piena realizzazione umana e spirituale – è come una casa tirata su senza i criteri che ne assicurino la stabilità, destinata presto o tardi a finire in rovina.
Per capire, accogliere e vivere quanto Gesù afferma oggi, dovremmo ricordare una verità che tante volte è ignorata: Dio ci ha creati simili a Sé nella Santità, che non ammette ombre. Su questa consapevolezza di Santità – 'Chiunque è stato generato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui' (I Gv 3,9) - si può comprendere il linguaggio del Maestro oggi.
Tutti sappiamo quanto costi aderire totalmente alla legge del Signore nella carità, nella giustizia, nella povertà. La nostra innata debolezza, purtroppo, a volte va esattamente contro la Parola. Gesù la conosce, perché l'ha assunta nella Sua Umanità, e così sa come venire in nostro aiuto. Non solo. Egli, il Misericordioso, sa ben distinguere tra la debolezza e l'accettazione del male come regola di vita: quest'ultima Gesù condanna!
Nel Vangelo di oggi più volte ripete: `...Ma Io vi dico...' per sottolineare la distanza del suo modo di agire dal nostro, e ricordarci che, se davvero amiamo la Verità, è al Suo modo di pensare e vivere che dobbiamo conformare il nostro.
Nella I Lettura di oggi, come a sottolineare quanto poi Gesù dirà, dall'Antico Testamento è tratto il brano del Siracide:
"Se vuoi osservare i suoi comandamenti, l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la Sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. I suoi occhi sono su coloro che lo temono, Egli conosce ogni azione degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare". (Sir. 15, 16-21)
Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli, oggi, di fronte al dilagante permissivismo.
Ma noi 'parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.... Come sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano'. (I Cor. 2, 7-9)
E’ la logica della giustizia e dell'amore. •E la ricerca della santità che deve vincere. Non quindi un'osservanza fredda, senza cuore, che rischia di scivolare nel rifiuto, ma la volontà amorosa di dire sempre 'sì' al Signore, che ci vuole bene ed è l'Unico a conoscere quale sia il 'nostro' vero Bene: diventare simili a Lui'.
A volte seguire il Vangelo, che è seguire Gesù, chiede non solo generosità, testimonianza, ma anche eroismo, che è il segno dell'amore totale.
Scriveva Paolo VI:
`Tacciano un istante i nostri animi ed ascoltiamo: 'Io vi do un comandamento nuovo, amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi... '. Ancora si parla di amore. Ma questa volta l'amore deve partire da noi. All'amore ricevuto da Cristo, deve seguire il nostro per i nostri simili, per la comunità in cui ci troviamo e deve farsi riunione spirituale, perpetua.
Una nuova circolazione di carità ci deve rendere da nemici amici, da estranei fratelli.
Con questo paradossale impegno: dobbiamo amare come Lui ci ha amati. E quel 'come' dà le vertigini. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza. Ci avverte che il precetto della carità contiene in sé sviluppi potenziali, che nessuna filantropia potrà mai eguagliare.
Purtroppo la carità è ancora contratta e racchiusa entro confini di costumi, di interessi, di egoismi, che crediamo essere dilatati. E, a nostro stimolo, e forse a nostro rimprovero, dalle labbra soavi e tremende di Cristo piovono queste indimenticabili parole: 'Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri, come lo ho amato voi'.
L'amore è così distintivo dell'autenticità cristiana, sempre, davanti ad ogni caso". (aprile 1968) Con il Salmo 118 preghiamo:
"Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore."


Testo di mons. Antonio Riboldi


Adempimento

Gesù riprende ogni realtà della nostra vita, inserendola nella Sua vita.
Anche quello che è contrario a Lui, viene da Lui rivisitato e compreso nel suo progetto in un modo nuovo e inaspettato.
Anche una prova e una sofferenza, venute per la contrarietà della vita, in Gesù diventano una grazia, una prova della fede e della sua maturazione.

Ogni cosa in Gesù ottiene il suo adempimento naturale.
E' come se tutto venisse orientato a Lui dalla natura delle cose, e quindi ogni realtà viene valutata e diretta nel suo valore proprio dall'orientamento che ha o non ha a Gesù.

In Gesù si raccoglie anche la più piccola realtà.
Niente sfugge al suo sguardo e alla sua considerazione.
Anche la minima parola, il più piccolo gesto e il futile pensiero umano, davanti a Gesù vengono a trovare adempimento, compimento.
Un piccolo gesto di saluto, in Gesù orienta la storia umana e la compie in quel momento, la realizza attraverso quel gesto assunto a caratteristica del Regno.

E anche noi siamo chiamati a fare come Gesù, esercitandoci a orientare in modo naturale ogni realtà che ci passa dentro o davanti nella nostra storia, rammentando che niente va abolito, ma tutto va considerato come significativo, in bene o in male, nel procedere nostro e altrui verso il pieno compimento del Regno, racchiuso in ogni attimo.

Testo di don Luciano Sanvito 

approfondimento: Matteo e i cinque Discorsi di Gesù tratto da www.gliscritti.it
 
Liturgia della VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 13 febbraio 2011 

Liturgia della Parola della VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 13 febbraio 2011