Santo del giorno 23 giugno: San Giuseppe Cafasso
News del 23/06/2024 Torna all'elenco delle news
San Giuseppe Cafasso sacerdote e patrono delle carceri e dei detenuti e dei condannati a morte. Nasce a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese di san Giovanni Bosco, nel Piemonte ottocentesco caratterizzato da gravi problemi sociali, ma anche da tanti santi che si impegnavano a porvi rimedio, legati tra loro. La sorella Marianna è la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Dopo il sacerdozio fa il suo ingresso nel luogo che per lui resterà la fondamentale ed unica “tappa” della sua vita sacerdotale: il “Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi” a Torino. Entrato per perfezionarsi nella pastorale, qui egli mette a frutto le sue doti di direttore spirituale e il suo grande spirito di carità. Una felice espressione di san Giovanni Bosco, sintetizza il senso del lavoro educativo in quella Comunità: “al Convitto si imparava ad essere preti”. Cerca di realizzare questo modello nella formazione dei giovani sacerdoti, affinché, a loro volta, diventino formatori di altri preti, religiosi e laici, secondo una speciale ed efficace catena. Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime”. E' determinante per l’importante opera compiuta dal suo coetaneo e concittadino Giovanni Bosco, a favore dei giovani sbandati di Torino: quando egli intende partire missionario in paesi lontani e chiede a Don Cafasso di indirizzarlo verso la sua vera missione, la sua risposta è: «La tua missione è qui, a Torino, in mezzo ai ragazzi abbandonati e analfabeti. A loro devi pensare, al loro futuro». Da lui, per avere consiglio, si rivolgono futuri santi e beati come San Giovanni Bosco, la Venerabile Giulia Falletti di Barolo e il Beato Francesco Faà di Bruno. Chi si confessa da Don Giuseppe Cafasso spesso si converte e cambia vita. Viene ricordato per le sue visite ai malati e, soprattutto, per il suo impegno all’interno delle carceri torinesi che versavano in condizioni disumane. Con la sua dolcezza, le sue parole di conforto e il suo affetto porta sollievo ai detenuti, molti dei quali si riconciliano con il Signore e si pentono degli errori commessi. Il suo sostegno si estende anche ai familiari dei carcerati e ai reclusi che vengono dimessi e proiettati in una realtà ostile. Muore il 23 giugno 1860, dopo una vita offerta interamente al Signore e consumata per il prossimo. E' sepolto all'interno del Santuario della Consolata di Torino.
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Martirologio Romano: A Torino, san Giuseppe Cafasso, sacerdote, che si dedicò alla formazione spirituale e culturale dei futuri sacerdoti e a riconciliare a Dio i poveri carcerati e i condannati a morte
Chi l’avrebbe detto che quel ragazzino smilzo, pallido e con la colonna vertebrale ricurva sarebbe diventato santo?! Giuseppe Cafasso, nato nel 1811 in Piemonte, a Castelnuovo Don Bosco (Asti), a scuola veniva deriso dai compagni per il suo parlare con un filo di voce e la sua goffaggine, a causa del suo modo di camminare ricurvo. Figlio di poveri contadini molto religiosi, Giuseppe ama Gesù. Il ragazzo vuole dedicare la sua vita al servizio del prossimo e aspira a diventare prete. Entra in seminario a Chieri (Torino) dimostrando grandi capacità come educatore. È piccolo di statura, il suo fisico è gracilissimo e la sua salute malferma, eppure riesce a compiere gesti straordinari.
Ordinato sacerdote già a ventidue anni, viene nominato rettore del convitto ecclesiastico di Torino, laddove era entrato come semplice allievo. Come docente di teologia riesce a formare non solo sacerdoti, ma anche futuri vescovi e cardinali, insegnando loro a divulgare la fede dimostrandosi sereni e comprensivi con i dubbiosi.
Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale.
Ma un altro elemento caratterizza il ministero del nostro Santo: l’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso.
Con il passare del tempo, privilegiò la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell’adesione alla Sua volontà, dell’utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l’incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita. I condannati a morte furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali. Egli accompagnò al patibolo, dopo averli confessati ed aver amministrato loro l’Eucaristia, 57 condannati a morte. Li accompagnava con profondo amore fino all’ultimo respiro della loro esistenza terrena.
Nasce a Castelnuovo d'Asti nel 1811, frequenta le scuole pubbliche al suo paese e poi entra nel Seminario di Chieri (Torino). E' di salute malferma, ma sacerdote già a 22 anni, e con un solido ascendente sui compagni. Viene accolto dal teologo Luigi Guala nel convitto ecclesiastico da lui aperto a Torino. Questi lo spinge a compiere opera di catechesi verso i giovani muratori e i carcerati, poi lo vuole a fianco nella cattedra di teologia morale. In 24 anni di insegnamento Giuseppe forma generazioni di sacerdoti, dedicandosi anche ad un'intensa opera pastorale verso tutti bisognosi: condivide le ore estreme con i condannati a morte ed opera tra i carcerati, cui non fa mancare buone parole e sigari, includendo nel suo servizio anche l'aiuto alle famiglie e il soccorso ai dimessi. Succeduto al Guala, ne perfeziona l'opera, rifiutando sempre ogni titolo onorifico. Grande amico di don Giovanni Bosco (che lo definirà «modello di vita sacerdotale»), lo aiuta materialmente e moralmente nella sua missione. Papa Pio XII lo ccanonizzò il 22 giugno 1947.
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