Santo del giorno 5 maggio: San Nunzio Sulprizio
News del 05/05/2024 Torna all'elenco delle news
San Nunzio Sulprizio, morto a soli 19 anni, considerato il protettore dei giovani operai, degli invalidi e delle vittime sul lavoro. Tutta dedicata a Dio, la sua vita fu segnata da due grandi amori: l’Eucaristia e la Madonna. Le sue spoglie mortali sono nel Santuario Diocesano di San Nunzio Sulprizio a Napoli Altre reliquie sono custodite nel Santuario San Nunzio Sulprizio - Pescosansonesco (PE) suo paese natale.
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Martirologio romano:
Laico, orfano, malato di cancrena a una gamba e debole nel corpo, tutto sopportò con animo sereno e gioioso; di tutti si prese cura, consolò benevolmente i compagni di sofferenza e, nonostante la sua povertà, cercò di alleviare in ogni modo la miseria dei poveri.
Nunzio Sulprizio nacque il 13 aprile 1817 a Pescosansonesco, in provincia di Pescara. I genitori, il papà Domenico di professione calzolaio e la mamma Rosa, filatrice, erano persone di grande dignità, devoti e timorati di Dio. Lo stesso giorno della nascita fu battezzato. Nunzio fu l’unico frutto di questo amore. Al terzo anno di età ricevette la cresima. Dopo soli tre mesi da questa data, il papà morì: questa fu la prima ferita al cuore di Nunzio, la cui vita si preannunciava tutt’altro che facile.
La madre, anche per assicurare una certezza economica al figlio, passò a nuove nozze con Giacomo Antonio De Fabiis di Corvara (Pescara).
A Corvara, il bambino venne mandato per la prima volta a scuola da don Giuseppe De Fabiis, dove apprese le prime nozioni della fede cristiana. Una nuova tragedia però era alle porte: il 5 marzo 1823 muore la madre. Rimasto orfano, Nunzio fu mandato dalla nonna materna a Pescosansonesco. Da lei imparò l’amore per l’Eucarestia, per i sacerdoti e per la Santissima Vergine.
Riprese a frequentare la scuola presso don Nicola Fantacci, distinguendosi subito per la mitezza, la bontà e la spiccata intelligenza. Proprio alla nonna rivelò per la prima volta il desiderio di ricevere la Santissima Eucarestia; desiderio purtroppo allora irrealizzabile a causa della prassi ivi diffusa di ammettere alla mensa eucaristica i ragazzi di 14 anni.
Nel 1826, anche la nonna morì e Nunzio, che nel frattempo aveva compiuto nove anni, rimase solo.
Fu così che uno zio materno, Domenico Luciani, fabbro ferraio, burbero e dedito al vino, uomo violento e per niente timorato di Dio, prese Nunzio con sé. Lo zio gli vietò di continuare la scuola e gli impose di recarsi ogni giorno presso la bottega per imparare il mestiere di fabbro ferraio, ma, più che insegnargli il mestiere, egli aveva intenzione di sfruttarlo come garzone della sua officina. Nella bottega il povero Nunzio, di debole costituzione, fu sottoposto ai lavori più faticosi. Il lavoro duro non era adatto né alla sua età né alla sua costituzione fisica tutt’altro che robusta. Fu proprio durante una delle consegne di ferro che lo zio gli impose di fare durante una gelida giornata d’inverno, che si manifestarono i segni evidenti del male che nel frattempo, silenziosamente, stava scavando nelle sue ossa e che inesorabilmente lo avrebbe condotto nel giro di pochi anni alla morte.
La sua povertà era evidente: Nunzio indossava cenci scoloriti e strappati, scarpe grosse e rotte, e quanti lo incontravano erano stupiti dal sorriso che egli mostrava e col quale salutava le persone. Era “adulto” nella pratica del bene, un testimone della gioia che nasce dalla preghiera e dall’incontro con Cristo sofferente. Nel frattempo sul collo del piede sinistro si era ormai formata una piaga purulenta, che dava al povero giovane dolori lancinanti. La sera, terminato il lavoro all’officina, egli sempre più stanco e denutrito si recava presso il torrente per lavare le bende e ripulire la piaga.
In questo luogo Nunzio non solo lavava la ferita, ma elevava anche la mente a Dio, intrattenendosi in preghiera con la Vergine Maria alla quale era devoto fin da bambino.
I dolori divenivano sempre più violenti ma non imprecava né si spazientiva: lo si udiva solo dire Madonna mia, aiutami. La piaga purulenta non curata si allargava sempre di più e le sue forze diminuivano a causa di un’alimentazione scarsa, così che venne ricoverato all’ospedale de L’Aquila alla fine di aprile del 1831. Nell’ospedale aquilano, Nunzio trovò un poco di ristoro alla sua sofferenza morale e fisica.
Sebbene molto sofferente, egli amava andare al capezzale degli altri ammalati per recare loro il conforto della preghiera e qualche piccolo sollievo che era in grado di offrire. Il contatto con il mondo della sofferenza non spaventò il giovanetto, ma suscitò nel suo cuore il desiderio di servire gli altri. I medici, accertata la gravità del suo male, lo dichiararono inguaribile, e poiché quell’ospedale non era per malati cronici, fu dimesso alla fine di maggio del 1831.
Ritornato a Pescosansonesco, uno zio paterno, caporale del primo Reggimento Granatieri di stanza a Napoli, informò sulle condizioni di salute del nipote il suo colonnello, il cavalier Felice Wochinger, uomo di nobile rango, stimato per la sua pietà verso gli ultimi, il quale mosso a compassione per il ragazzo decise di prenderlo sotto la sua protezione. Si stabilì che Nunzio si trasferisse a Napoli. Non aveva un bagaglio con sé, le uniche cose che possedeva erano quelle che indossava: la corona del rosario al polso e il libricino della Beata Vergine Maria.
Il colonnello fu per lui un buon papà tenero e premuroso. Visto che il viaggio da Pescosansonesco a Napoli aveva aggravato le condizioni di Nunzio, si decise di ricoverarlo a Santa Maria del Popolo detta “degl’Incurabili”.
Anche qui, nonostante le sue condizioni fossero gravi, egli aiutava gli altri ricoverati portando loro anche un semplice bicchiere d’acqua. Tante volte digiunava volontariamente, pregava per gli altri oppure donava il pasto, che il colonnello gli faceva portare dal castello, con chi era più solo e povero di lui. Appena avvenne il ricovero ospedaliero Nunzio chiese di poter ricevere la prima Comunione.
Da quel giorno, Nunzio non volle più privarsi del Corpo di Cristo che sempre ricevette con grande devozione e un buon tempo di preparazione. Nonostante la sua scarsa istruzione anche religiosa, era mosso da una conoscenza profonda delle cose di Dio, ne parlava in modo convincente e riusciva a toccare le corde dei cuori più induriti; sentiva nel cuore il desiderio di portare le anime a Dio e riusciva ad avvicinare alla confessione quanti ne erano lontani da molti anni.
Spesso durante la sua permanenza all’ospedale lo si trovava in preghiera disteso per terra nonostante gli avessero proibito di pregare in quel modo perché non giovava alla sua salute. Istruiva egli stesso i bambini ricoverati sulle verità della fede, insegnando loro ad amare Gesù e la Madonna.
Purtroppo il male fisico avanzava e durante i cambiamenti climatici soffriva in modo atroce. Tutte le cure ricevute agl’Incurabili si rivelarono insufficienti e il colonnello Wochinger decise di riprenderlo in casa con sé. Fu così che nell’aprile del 1834, venne dimesso dall’ospedale e fu ospitato presso la casa del colonnello che in quel frangente storico si trovava nel Maschio Angioino, sede a quei tempi di una guarnigione militare.
Nei primi tempi la sua salute migliorò, tanto che abbandonò quasi del tutto il bastone. Al castello si fece chiara in lui la certezza della chiamata al sacerdozio, e allora chiese e ottenne di cominciare a studiare con questa prospettiva. Il colonnello gli fece conoscere un santo sacerdote di Secondigliano (Napoli) che stava maturando la decisione di fondare una Congregazione religiosa, don Gaetano Errico, che sarà canonizzato nel 2008. Al solo vedere Nunzio, il sacerdote trasalì di gioia e gli promise che appena avesse aperto la congregazione l’avrebbe accolto di sicuro.
Intanto la malattia e il dolore diventavano sempre più acuti e Nunzio capì che la sua speranza di entrare nell’ordine religioso veniva meno; trasformò così la sua stanza in una cella, si diede una regola di preghiera e decise di indossare un abito marrone, che venne benedetto da un padre carmelitano. La sua giornata era scandita dalla preghiera; talvolta si faceva accompagnare nella vicina chiesa di santa Brigida dove trascorreva lunghe ore in preghiera. Ma con l’avanzare della malattia, dovette privarsi di queste uscite e quindi pregava solo nella sua camera davanti a un’immagine del Sacro Cuore di Gesù Bambino.
Molte erano le persone che lo conoscevano e gli attribuivano fama di santità, andavano da lui anche solo per vederlo.
Verso la metà del 1835, la salute di Nunzio si aggravò: alla carie ossea, si aggiunse l’idropisia, si pensò all’amputazione della gamba, ma le sue condizioni fisiche non l’avrebbero tollerato.
Nel mese di maggio del 1836, Nunzio era ridotto a letto senza potersi più muovere con fortissimi dolori. Un pomeriggio, destatosi dalla preghiera profonda in cui era immerso, chiese al colonnello di porgergli il crocifisso per poterlo abbracciare, poi domandò di ricevere i sacramenti e accolse Gesù Sacramentato dicendo: Venite Padre mio, Signore mio, Sposo mio, amor mio. Dopo due ore esclamò: la Madonna! vedete come è bella! e spirò. Era il 5 maggio 1836: Nunzio aveva solo 19 anni.
In poche ore la notizia si diffuse per tutta la città, e la gente si affollò per baciare la salma che nel frattempo era stata composta e rivestita di quegli abiti marroni, indossati da Nunzio. La salma rimase esposta nella cappella del castello per cinque giorni senza mostrare alcun segno di decomposizione, ma anzi dal corpo del giovane usciva grande profumo.
Alcuni giorni dopo la sepoltura, il colonnello sentì la voce di Nunzio che lo chiamava e gli diceva: Papà mio, svegliatevi, il castello va a fuoco. Il colonnello, alzatosi dal letto, vide le fiamme alte attorno al castello e con il tempestivo intervento dei soldati si evitò il peggio. Seguirono altri segni prodigiosi, come il profumo che si sentiva nella sua stanza e anche sulle pezzuole con le quali aveva medicata la piaga del piede.
Ma un fatto fu determinante. Durante una battuta di caccia, una dama di compagnia della regina cadde da cavallo battendo il ginocchio a terra; le venne diagnosticata una frattura, ma la frattura all’indomani risultava completamente sparita dopo l’applicazione di una delle pezzuole che il colonnello aveva apposto sul ginocchio della nobildonna. Il re per l’accaduto chiese che venisse aperto il processo canonico del giovane.
Attualmente i resti mortali del Beato riposano nella chiesa parrocchiale di San Domenico Soriano in Napoli, dove ogni giorno egli accoglie centinaia di fedeli che chiedono la sua intercessione e la sua celeste protezione.
da Dicastero delle Cause dei Santi