Domenica di Pasqua: la celebrazione in Cattedrale
News del 31/03/2024 Torna all'elenco delle news
L’arcivescovo Fortunato Morrone ha presieduto la liturgia pontificale in occasione della Solennità di Pasqua alle ore 11 in Cattedrale e, nella sua omelia, ha offerto una riflessione centrata su alcune domande esistenziali. Interrogativi che appaiono inevitabili, ma anche scomodi: l’episodio della scoperta del sepolcro vuoto raccontato dall’evangelista Giovanni, riporta alla dinamica che quotidianamente collega l’esperienza della vita a quella della morte.
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Lo stato d'animo dei discepoli e la scoiperta del sepolcro vuoto
L’arcivescovo Morrone evidenzia come «Lo smarrimento e lo sconcerto dei discepoli di Gesù di fronte al maestro crocifisso, è ben comprensibile. Evidentemente senza il mostrarsi vivo di Gesù a loro dopo la sua crocifissione, noi oggi non saremmo qui. Possiamo anche immaginare che gli amici di Gesù, dopo un primo momenti di sbandamento, non si sono arresi di fronte all’evidente “sconfitta” del loro Maestro in cui avevano riposto tutte le loro speranze messianiche. E però c’è un dato, riportano da tutti i Vangeli, che rimane insolubile senza un’azione esterna che rilancia la speranza dei suoi. Si tratta del sepolcro trovato vuoto».
Nel racconto tratto dal Vangelo secondo Giovanni proclamato durante la celebrazione eucaristica, «la parola sepolcro l’abbiamo udita sette volte. Se non siamo superficiali è un termine che ci inquieta, ci rimanda al nostro limite, al nostro essere mortali. In greco sepolcro mnemeion ha la stessa radice di ricordo, anamnesis: è quella parola con cui dobbiamo fare i conti, ma che preferiamo mettere tra parentesi, eliminare. In realtà per noi sepolcro è “memoria” di ciò che rimane di una persona, specie quella amata».
Il sepolcro e il pensiero della nostra morte
La parola “sepolcro”, continua Morrone, «rimanda ai resti mortali che ci rimandano alla persona di cui facciamo memoria, la portiamo dentro di noi perché per esempio ci ha insegnato a vivere, ha segnato la nostra personalità. Ebbene, il sepolcro mi ricorda che lì ci saranno anche i miei resti mortali consumati nel ciclo biologico o accelerati con la cremazione. Ma di me che ne sarà? Rimarrà un semplice ricordo che nel tempo sfumerà? Qualcuno potrà farmi uscire da lì, da quella condizione che mi relega in un ricordo che prima o poi si perderà nel vento del tempo? Entreremo nello spazio cosmico come energia, particella di un’universale coscienza di cui anche la materia è parte integrante?».
«Insomma, conclude il presule, di fronte ad ogni sepolcro, specialmente quello delle persone amate, le domande restano sostanzialmente irrisolte».
L’arcivescovo, poi, prosegue nella sua riflessione. Il vero punto interrogativo «non è tanto se Cristo è risorto con tutte le problematiche annesse. In fondo non siamo qui perché lo confessiamo Vivente in mezzo a noi? O no?». L’evangelista Giovanni, prosegue Morrone, «ci parla di un incontro, un’esperienza del Risorto che ha dato alla sua e alla vita dei suoi amici e amiche al seguito di Gesù fino alla sua crocifissione, uno sguardo nuovo sulla stessa identità del Maestro e di conseguenza una nuova visione del mondo umano e di quel Dio che Gesù ha chiamato papà, Padre suo e di tutte le creature umane».
Nella pericope del vangelo secondo Giovanni, chiarisce l’arcivescovo, «non compare Gesù, non ci sono apparizioni di personaggi misteriosi o di angeli che spiegano come mai il sepolcro è vuoto, ma si narra l’esperienza dei primi discepoli di fronte al sepolcro vuoto».
Questo è il cuore di tutta la narrazione del vangelo di oggi, «si tratta di un’esperienza personale e insieme comunitaria di resurrezione, esperienza decisiva per la fede cristiana, senza la quale rimaniamo ancora nell’ambito della religione consolatoria, fatta di riti fini a sé stessi senza alcuna incidenza nella vita di ogni giorno».
La «catena dei testimoni» prende avvio da Maria di Magdala
Nella concitata “alba” di quel “terzo giorno”, «il messaggio di Maria ai due discepoli che entrano in scena è molto crudo: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Forte è il sentimento di una mancanza, l’incapacità di capire e di sapere cosa sia realmente successo».
In qualche modo, commenta Morrone, «sono dinamiche e interrogativi che fanno parte del mistero della nostra vita di fronte al vuoto lasciato dalla perdita di una persona cara».
Poi, l’arcivescovo si sofferma sulle dinamiche della comunità apostolica: «Lo stesso Pietro, una volta arrivato, non può che constatare la medesima e sorprendente realtà: il sepolcro è vuoto. Ma c’è l’altro discepolo, arrivato di corsa al sepolcro prima di Pietro, che vede le stesse cose, ma crede che Gesù è risorto. Quale luce interiore ha permesso a questo altro discepolo, cioè alla prima comunità dei discepoli, di “vedere” e credere che il Crocifisso è vivo? È la stessa luce che permetterà, successivamente, a Maria di Madgala di riconoscere la voce del Maestro risorto. È lei è ad avviare quella catena di testimoni senza le quali la fede non sarebbe giunta fino a noi».
Secondo Morrone, «l’evangelista Giovanni ci sta suggerendo, diciamo rivelando, quello che in qualche misura appartiene anche alla nostra esperienza: solo l’amore fa vedere in profondità, solo l’amore ha occhi di fede, o meglio per credere è necessario amare, e amare come ha amato il Maestro, come ha vissuto Lui».
Dall’amore della croce alla quotidianità della nostra vita
«Un amore così può essere distrutto? Può perire nel nulla cosmico?», si chiede ancora Morrone.
«“Chi crede in me anche se muore vivrà”, ricorda il presule. E moriremo senz’altro, siamo mortali, ma il Soffio della vita, l’Amore che distrugge ogni mortificazione dei figli di Dio, regalataci nella vicenda pasquale del Signore Gesù ci fa vivere da risorti fin d’ora. Questa è la sfida della fede cristiana nel Risorto».
«Pertanto, prosegue l’arcivescovo, se Cristo è risorto che cosa a che fare la nostra fede in Lui con la guerra, con l’odio, con la sopraffazione, con la violenza. O diversamente se Cristo non è risorto allora che senso ha il mio essere qui per voi vescovo, che senso la sofferenza, perché lottare contro ogni ingiustizia, perché ricercare ad ogni costo la pace tra i popoli, e il perdono, e il servizio appassionato di tanti che dedicano la vita per gli ultimi, o il servizio alto della politica a vantaggio di tutti nessuno escluso, e le Beatitudini, se Gesù, il Crocifisso, non è risorto, non sono una squallida presa in giro per gente frustata e fumata di testa?».
«Ma Dio l’ha risuscitato» conclude Morrone. «L’annuncio di fede di Pietro possiamo intenderlo così: solo l’esistenza di Gesù sta in piedi per sempre, il Crocifisso è sempre vivo e intercede per noi, cammina con noi sulle strade della nostra vita legato a filo doppio al nostro destino perché il suo destino di vita e gioia eterna sia anche nostro e di tutti i figli e le figlie di Dio, Padre di Gesù e nostro».