Signore, accresci in noi la fede!
News del 02/10/2010 Torna all'elenco delle news
La liturgia della XXVII Domenica del Tempo Ordinario ci fa leggere solamente gli ultimi versetti (Lc.17,5-10) di un brano (Lc.17,1-10) con cui si conclude la seconda tappa del viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Lc.13,22-17,11): si tratta della sintesi di ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli come risposta alla proposta di entrare nel progetto del Padre che è di fare dell'umanità una famiglia raccolta attorno all'unica mensa, dove si sperimenta l'amore, la condivisione, la fraternità, dove i primi posti sono riservati agli ultimi, perché non sono i meriti che danno diritti particolari ai migliori, ma solo la gratuità della misericordia del Padre rende il cuore di chi si lascia amare capace di gustare la gioia e la bellezza della mensa comune.
Così, il cammino verso Gerusalemme lascia intravedere "la grande gioia" (Lc.24,52) che è la meta alla quale Gesù vuole condurre i suoi discepoli., ma alla quale si arriva solo passando attraverso la croce.
La seconda tappa del cammino che Luca ci ha fatto percorrere con Gesù in queste ultime domeniche ha precisamente questo scopo: annunciarci che siamo chiamati ad una vita bella quale solo l'amore ci fa gustare, ma occorre credere l'Amore, avere il coraggio di scelte radicali per liberarci dall'idolatria dell'attaccamento a noi stessi e alle nostre ricchezze che, illudendoci, conducono solo alla infelicità e alla tristezza.
Il brano con cui Luca chiude questa tappa del cammino ci cala nel vissuto della sua comunità, rendendoci partecipi delle difficoltà concrete che essa incontra nella sua esperienza di fede e ci educa in questo modo ad affrontare le nostre, senza paure, mostrandoci come proprio attraverso le nostre crisi passa l'esperienza dell'Amore che ci cambia la vita.
Certo, per una corretta lettura del brano, dovremmo poter conoscere esattamente le situazioni in cui si trova a vivere la comunità cristiana di Luca. E' importante comunque ricordare che il Vangelo non è mai riducibile ad un trattato teorico di morale, ma è la testimonianza di una comunità che vive la fede in un contesto concreto.
"Disse ai suoi discepoli": comincia così il cap.17 di Luca, rivolgendosi ai "discepoli" di Gesù, quindi all'interno della comunità e non più agli "scribi e farisei".
"E' inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per il quale avvengono. E' meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi. Se il tuo fratello commette una colpa, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: "Sono pentito", tu gli perdonerai". Questi versetti omessi, purtroppo, dalla lettura liturgica di questa domenica, sono di una importanza essenziale per illuminare il cammino di fede della comunità cristiana e sono di un altrettanto raffinata profonda precisione: la loro lettura richiede una particolare attenzione.
Si parla di scandali come inevitabili: è indice del realismo concreto della vita della comunità cristiana. Lo scandalo è l'ostacolo in cui si inciampa e si cade: Luca parla di atteggiamenti precisi di alcuni che nella comunità con il loro comportamento ostacolano l'esperienza della fede di coloro che hanno un desiderio e un bisogno grande di sperimentare l'amore del Padre.
E sottolineando la gravità del comportamento di chi è responsabile degli scandali, tanto da dire: "è meglio che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato in mare", insiste: "State attenti a voi stessi". Questo richiamo alla responsabilità rivolto alla comunità ("voi stessi"). collega la forte denuncia degli scandali e delle persone precise che ne sono la causa, con la risposta che la comunità credente è chiamata a dare: l'attenzione rivolta verso se stessi è la premessa necessaria perché la comunità affronti il problema nell'autenticità di una viva esperienza di fede.
"Se il tuo fratello commette una colpa, rimproveralo…": il rapporto fraterno è la condizione normale ed essenziale di coloro che condividono la fede in Gesù. L'autenticità del rapporto fraterno permette la chiarezza costruttiva, anche dura, tra coloro che si amano: l'amore diventa richiamo, diventa perdono, che è l'amore al livello più alto, capace di fare nuova la persona che ha commesso anche il peccato più grave.
Il perdono è il rapporto interpersonale più preciso, è l'amore senza limite: è l'Amore che caratterizza la vita della comunità cristiana, che muove il discepolo che ha creduto in Gesù che ha amato fino al dono totale di sé, che ha perdonato i suoi crocifissori. Solo chi si lascia perdonare da Gesù sa che cosa è il perdono e impara a perdonare.
"Accresci in noi la fede": chi partecipa della vita della comunità cristiana, condivide la fragilità, la complessità, il limite, sperimenta quanto sia impossibile alle forze umane vivere l'Amore di Cristo.
La bellezza della esperienza da Lui proposta diventa solo un sogno se lasciato all'iniziativa umana, se la comunità cristiana diventa solo una esperienza psicologica o sociologica: "aumenta la nostra fede" è la preghiera che sgorga dal cuore di chi impara a credere e a vivere la fede nella concretezza della quotidianità della vita. Ma la risposta di Gesù è pure illuminante: non si tratta di avere una fede più grande. E' anche questa una illusione, pensare che una fede "più grande" produca effetti più grandi: solo una logica umana pensa di poter misurare gli effetti della fede. Gesù chiede solo la fede, l'abbandono in Lui: essenziale è credere, non credere molto. La fede opera come tale, al di là di ogni nostro desiderio di verifica. La fede cambia i cuori, sposta le montagne, sradica i gelsi.
E ancora: la logica della comunità cristiana non è quella del potere umano, di qualsiasi tipo si tratti, potere della ricchezza, potere dell'intelligenza, potere della forza, potere della politica.
Luca in tutto il suo Vangelo ci parla della logica di Dio, che è la logica del capovolgimento dei valori: Dio fa grandi cose in chi è piccolo, depone i potenti dai troni ed innalza gli umili. La logica della comunità cristiana è la fraternità, l'amicizia, il servizio: è ancora la logica della fede.
La forza della comunità è il Signore risorto, il servo di Dio che ha offerto la sua vita per tutti gli uomini: il servizio nella comunità cristiana è la continua memoria del dono di Cristo al Padre perché tutti gli uomini vivano della vita di Dio. Servizio al Padre per i fratelli è l'esercizio dell'autorità nella comunità: ogni persona in diversi modi esercita un'autorità. Ognuno nella comunità deve sentirsi solo "servo" di Dio per i fratelli: il coraggio di abdicare ad ogni forma di dominio, della spogliazione dal proprio egoismo, di imporre se stessi agli altri, per essere servi gli uni degli altri, è la via che rende possibile la gioia della vita nuova in Cristo.
Testo di mons. Gianfranco Poma
Nesso tra le letture
Il tema dominante, in questa domenica, è la fede, che si menziona nelle tre letture. Alla fine della prima lettura leggiamo: "Il giusto vive della fede", frase che sarà ripresa da Paolo ed avrà poi una enorme risonanza nella dogmatica cristiana. Gesù nel vangelo si fissa sull'efficacia della fede, perfino della fede piccola come un granello di senapa. Infine Paolo esorta Timoteo a dare testimonianza della sua fede in Cristo Gesù, e ad accettare con fede e con amore il messaggio trasmesso da Paolo (seconda lettura).
Vivere la fede in situazione. Il credente, di qualsiasi epoca e luogo, non può non praticare la sua fede incarnandola nella vita. Fede e vita o si sostengono insieme, o insieme crollano. Abacuc è un uomo di fede, che vede intorno a sé violenza, oppressione, rapina, discordia (assedio di Gerusalemme da parte dei caldei nell'anno 597 a.C.). Di fronte a questa situazione odiosa e piena di dolore, come reagisce questo uomo di fede? Lo fa con due grandi interrogativi, che portano il duplice e contrastante carico della fiducia in Dio e della indignazione davanti all'assedio e al male. "Fino a quando, Jahvé? Perché?". Non è forse Dio il re dei re e il signore dei signori? Perché tanta disgrazia, tanta ingiustizia, tanta distruzione? Perché non interviene Dio ormai, adesso? Domande che nascono da una situazione, ma che valgono per ogni persona e per tutti i tempi. Nel corso della storia, questi interrogativi si sono inchiodati nell'anima degli uomini di tutte le latitudini, e, in certo modo, nell'anima di ogni uomo. Dio non lascia senza risposta i lamenti fiduciosi di Abacuc. Innanzitutto lo invita alla piena fiducia nel fatto che Egli risponderà alle sue domande, sebbene non lo faccia con l'immediatezza in cui il profeta lo aspetterebbe: "Dio ha scritta questa data nei suoi disegni". Poi, lo invita a mantenere una pazienza piena di speranza, perché la risposta "verrà certamente, senza indugio". Infine, Dio assicura il profeta che l'empio soccomberà, mentre il giusto vivrà grazie alla sua fede-fedeltà.
Diversa è la situazione dei discepoli che chiedono a Gesù: "Aumenta la nostra fede", come anche quella di Timoteo, responsabile della comunità di Efeso, che deve essere il primo ad accettare la fede che Paolo gli ha insegnato, e a darne testimonianza, perfino, se necessario, con il martirio. I discepoli, che convivono con Gesù, hanno visto l'enorme "fede" di Gesù che rende efficace la sua parola e le sue opere (guarigioni, miracoli). Di fronte a codesta fede gigantesca, la loro risulta insignificante e minima. Per questo, chiedono che Gesù gliela accresca. La situazione di persecuzione in cui vivono Timoteo e la sua comunità mette alla prova la sua fede e la sua fedeltà al Vangelo. Da qui le parole con cui Paolo lo esorta. Nel momento presente, si deve tener conto della dimensione storica della fede, come accadde già nel passato. Come vivere, oggi, nel nostro ambiente, nel mondo attuale, la fede di sempre?
Qualità della fede. Nei testi liturgici è possibile scoprire alcune delle qualità che deve possedere la fede vissuta in situazione. 1) Una fede basata su una profonda umiltà. Gesù Cristo, nel vangelo, dopo aver messo in risalto la potenza della fede, mette in evidenza che codesta efficacia proviene dalla convinzione credente della propria piccolezza: "Non siamo altro che dei poveri servi; abbiamo fatto soltanto ciò che dovevamo fare". Che cos'è ciò che dobbiamo fare? Servire Dio e fare la sua volontà. 2) Una fede piena di speranza. Le tribolazioni, le sofferenze, le disgrazie non potranno diminuire minimamente la nostra attesa e la nostra speranza nell'intervento di Dio. Non si deve dubitare, perché l'azione di Dio giungerà. Quando? Come? Dobbiamo lasciare che Dio risponda con piena libertà, con la sicurezza che Egli fa tutto con giustizia e per il bene di quelli che ama. 3) Una fede testimoniata. La fede è un dono che Dio ci dà, ed è un compito che Dio ci affida. Come compito, dobbiamo realizzarla giorno per giorno, nelle circostanze concrete che a volte possono essere ardue e difficili. Di una fede umile, speranzosa e martiriale, abbiamo bisogno anche noi, cristiani di oggi, in un ambiente molte volte carente di fede, perfino ostile ad essa.
Fino a quando? Perché? Queste domande insidiano l'uomo in momenti di pericolo o di disgrazia, sia personale che collettiva. Soprattutto, quando il pericolo incombe su persone innocenti. Ancor di più, se codeste persone innocenti sono da noi conosciute o amate. Perché questo incidente d'auto in cui, senza colpa propria, sono morti due amici? Perché questo orribile cancro, che va consumando inesorabilmente la vitalità dello sposo o della sposa? Che cosa ho fatto, perché questa figlia mia viva sommersa nell'abisso della droga? Fino a quando dovrò sopportare tutte le sofferenze fisiche e morali che mi procura questo figlio handicappato? Fino a dove devo essere paziente davanti al brutto carattere e ai cattivi comportamenti di mio marito? Perché questi dolori, che mi risultano insopportabili? Interrogativi che, per molti, restano in sospeso. E allora si prendono delle decisioni sbagliate e tristi. "E' meglio morire che stare a soffrire tanto", e da qui deriva il suicidio o l'eutanasia, che è un modo eufemistico di dire la stessa cosa. "Preferisco il divorzio piuttosto che continuare ad essere trattata ingiustamente", e ti separi, invece di cercare delle soluzioni alternative migliori, sebbene più esigenti, e soprattutto più cristiane. "Non vale la pena di continuare a credere. A che scopo?", e ti ribelli contro Dio, ed abbandoni la tua fede e la tua pratica cristiana, perché Dio non si adatta ai tuoi gusti, né si lascia manipolare dalla tua volontà.
Ma ci sono anche molti, cristiani e non cristiani, che ascoltano nella loro coscienza una risposta. La risposta dell'umanesimo, che vede nell'accettazione rassegnata della sofferenza e della disgrazia un cammino aspro, a volte eroico, sempre nobile, di umanizzazione e di elevazione morale.
C'è la riposta cristiana, che eleva il dolore, la prova, l'angoscia a un rango superiore di redenzione, perché tutto ciò costituisce la propria croce, che si fonde misteriosamente con la croce salvatrice di Gesù Cristo. Qual è la tua risposta personale e non trasferibile a tali interrogativi, che prima o poi tutti ci poniamo?
La fede continua a fare miracoli. Ci sono "piccoli miracoli", ignorati, conosciuti soltanto da Dio, che si danno nella vita quotidiana di molti cristiani, dei tuoi vicini, dei fedeli della tua parrocchia. Il miracolo del "perdono" sincero e franco. Il miracolo del "servizio" costante, abnegato, disinteressato, motivato unicamente dall'amore cristiano. Il miracolo della "consacrazione" a Dio della bellezza tanto ammirata da molti, del conto milionario in banca, della libertà di fare unicamente ciò che Dio vuole. Il miracolo della "fedeltà" alla parola data al momento di ricevere il sacramento del matrimonio o dell'ordine sacerdotale. Il miracolo della "conversione" davanti alla testimonianza di una persona amica o di fronte a un'esperienza forte in una chiesa o in un santuario. Esistono anche oggi i "grandi miracoli". Codesti miracoli che Dio continua a realizzare per intercessione dei suoi santi, oggi come nel passato, e che sono richiesti perché un cristiano possa essere beatificato o canonizzato. Si danno ugualmente "grandi miracoli", che Dio fa per mediazione di persone vive, sante, e che non sono pubblici, perché la santità è sempre discreta, e a Dio è più gradito che codeste grazie speciali restino entro la cerchia degli intimi. I piccoli e grandi miracoli sono ancora dei segni con cui Dio scuote la nostra coscienza, ci interpella, e desidera continuare ad offrirci la salvezza.
Testo di Totustuus
Liturgia della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 3 ottobre 2010
Liturgia della Parola della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 3 ottobre 2010
tratti da www.lachiesa.it