3 gennaio 2021 - II Domenica dopo Natale: prima di tutto, l'Amore

News del 03/01/2021 Torna all'elenco delle news

Come mai, nella Bibbia, l'Antico Testamento inizia con le parole ?In principio Dio creò il cielo e la terra?, mentre il Nuovo Testamento - almeno stando al Vangelo di Giovanni - inizia dicendo che ?In principio era il Verbo?? Chi ha ragione? Che cosa è, o meglio, ?chi è? Dio, prima di tutto, in principio? È un Dio creatore o un Dio Verbo, Parola? È un Dio che si dà subito da fare oppure è un Dio che prima di fare vuole farci udire la sua voce? Toccasse a noi scegliere, credo che non avremmo dubbi nell'esprimere la nostra preferenza: piuttosto di uno che parla, preferiamo uno che faccia i fatti. In questo, siamo ovviamente condizionati dalle preferenze che esprimiamo solitamente nei confronti delle persone: i parlatori, gli oratori, o per dirla in maniera più popolare, i ?ciarlatani?, non rientrano certo nella cerchia delle persone che amiamo avere al nostro fianco, optando invece per gente che di parole ne fa poche e punta a fare i fatti. Dando per assodato che stiamo parlando di Dio e quindi certamente non di un ciarlatano, ci resta da capire cosa ci vuol dire Giovanni attraverso le parole di quello che è considerato uno dei brani di più difficile comprensione di tutto il Nuovo Testamento, ma che insieme costituisce il nocciolo fondamentale del quarto Vangelo: cosa ci vuol dire il discepolo amato dal Signore con questo ?Cantico del Verbo? con cui apre il suo Vangelo e che abbiamo più volte ascoltato in questi giorni di Natale?

Facciamo un esercizio particolare, oggi, e partiamo dal fondo, ovvero dalle ultime parole di questo Prologo: ?Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato?. Per noi, non è affatto un problema accettare questa affermazione: credo che nessuno di noi possa affermare di aver visto Dio, almeno in stato di sobrietà... Ma per la comunità cristiana di Giovanni, formata da persone che venivano dalla fede giudaica, questa affermazione suonava come un'offesa nei confronti dell'eroe per eccellenza dell'ebraismo, Mosè, del quale nel libro dell'Esodo si diceva che ?il Signore parlava con lui faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico?: ed è proprio dall'insieme delle conversazioni tra Dio e Mosè che scaturisce l'elemento fondamentale della salvezza di ogni israelita, la Torah, la Legge. Giovanni sa di essere entrato in un campo minato, e allora, andando a ritroso nella lettura del prologo, notiamo come si sia affrettato a chiarire la questione: ?Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo?. Nessuno, quindi, nega la grandezza di Mosè e della sua Legge per il popolo d'Israele, e comunque, il fatto che lui abbia scritto la Legge vedendo Dio faccia a faccia, non significa che abbia dato al popolo la possibilità di vedere Dio come lo fu per lui. Invece il Figlio di Dio, Gesù, ?ci ha rivelato Dio?, ce lo ha mostrato, ce lo ha fatto conoscere di persona. Come? Non con il dono della Legge (che c'era già, peraltro), ma con ?la grazia e la verità?.

In queste due parole sta la chiave per aprire la porta della comprensione di questo testo: ?grazia e verità?, per il cristiano, hanno lo stesso valore che ha la Legge per l'israelita, ovvero rappresentano la sua salvezza. La grazia è ciò che permette all'uomo di venire fuori da una situazione di disperazione che sembrava ormai compromessa a causa del peccato: pensiamo alla grazia concessa a un condannato a morte! La verità è ciò a cui ogni uomo aspira nella propria vita: ognuno di noi vorrebbe sapere la verità sulla propria esistenza, sui propri progetti, sulle proprie idee, sul proprio lavoro, sugli affetti, sulle persone che gli stanno vicine... che bello, se potessimo avere le idee chiare, certe, vere, su tutto ciò che facciamo! Grazia e verità sono le uniche cose di cui abbiamo bisogno per vivere: qualcosa che ci salvi sempre dalle situazioni di pericolo e che ci dica qual è la strada da percorrere.

C'è una sola cosa, nella vita dell'uomo, capace di salvarlo e di guidarlo: e si chiama amore. Solo l'amore per ciò che facciamo è capace di guidarci a fare le scelte giuste nella vita; solo l'amore delle persone che ci amano e che noi amiamo è disposto a salvarci dalle situazioni pericolose nelle quali cadiamo. Perché solo l'amore ha una forza che nessun'altra realtà possiede; solo l'amore salva, solo l'amore è credibile. E Giovanni sa bene questo perché l'ha provato sulla sua pelle: al punto che nel suo Vangelo, quando parla di sé, non scrive mai il suo nome, bensì ?il discepolo che Gesù amava?; al punto che scriverà una delle sue lettere dedicandola esclusivamente all'amore di Dio. È incredibile come il tema del Prologo di Giovanni sia proprio l'amore, e come egli ne parli senza mai scrivere una sola volta la parola ?amore?. Preferisce usare questa combinazione di parole: ?grazia e verità?.

Ci resta da capire, ora, dove possiamo andare ad attingere questo amore, questa ?grazia e verità?. Qualche capitolo più avanti, ancora all'inizio del Vangelo, una donna di Samaria andrà ad attingere questo amore non più dal pozzo di Sichem, ma direttamente dal pozzo della Parola del Maestro; noi che leggiamo il Vangelo di Giovanni, possiamo attingere questa pienezza di grazia e di verità ?dal Figlio unigenito che viene dal Padre?, prima ancora di ascoltare la sua Parola, perché questa Parola, ancora prima di essere da noi ascoltata, è da noi contemplata nel mistero del Natale. ?Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità?.

Qui arriviamo al vertice più alto non solo del testo del Prologo di Giovanni, ma di tutta l'essenza del Cristianesimo: la nostra salvezza ci viene dalla grazia e dalla verità, in una parola sola, dall'amore di Dio. L'amore di Dio ce lo ha rivelato suo Figlio Gesù: nella sua vita e nel suo ministero, lo ha fatto con la Parola, ma prima ancora che iniziasse ad essere espressa, questa Parola si è fatta sentire ?facendosi carne?. Non solo ?facendosi uomo?, cioè venendo al mondo, ma ?facendosi carne?, ovvero umanità assoluta, debolezza, fragilità umana, umanesimo allo stato puro, quotidianità, con le sue ricchezze e le sue miserie di ogni giorno. Nulla di campato in aria, allora, ma qualcosa ?fatto di carne?, qualcosa di molto concreto, di terreno, come è l'amore che ci è dato di sperimentare ogni giorno, con le sue bellezze e le sue fatiche.

E non è finita qui, perché ?dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia?. Vuol dire che questo amore si moltiplica; vuol dire che la grazia di Dio si moltiplica ogni volta che amiamo; vuol dire che l'amore è contagioso.

Che bello, iniziare il nuovo anno sapendo che non è solo un terribile virus ad essere contagioso: lo è anche l'amore, ogni forma di amore. Allora, certo, ?in principio Dio creò il cielo e la terra?; ?in principio era il Verbo?; ma prima di tutto, c'è l'amore.

Non c'è che dire: un bel modo d'iniziare l'anno nuovo!

Commento di don Alberto Brignoli

 

Siamo fili dell'unico arazzo dell'essere

Un Vangelo che toglie il fiato, che impedisce piccoli pensieri e spalanca su di noi le porte dell'infinito e dell'eterno. Giovanni non inizia raccontando un episodio, ma componendo un poema, un volo d'aquila che proietta Gesù di Nazaret verso i confini del cosmo e del tempo. In principio era il Verbo... e il Verbo era Dio. In principio: prima parola della Bibbia. Non solo un lontano cominciamento temporale, ma architettura profonda delle cose, forma e senso delle creature: «Nel principio e nel profondo, nel tempo e fuori del tempo, tu, o Verbo di Dio, sei e sarai anima e vita di ciò che esiste» (G. Vannucci).

Un avvio di Vangelo grandioso che poi plana fra le tende dello sterminato accampamento umano: e venne ad abitare in mezzo a noi. Poi Giovanni apre di nuovo le ali e si lancia verso l'origine delle cose che sono: tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Nulla di nulla, senza di lui. «In principio», «tutto», «nulla», «Dio», parole assolute, che ci mettono in rapporto con la totalità e con l'eternità, con Dio e con tutte le creature del cosmo, tutti connessi insieme, nell'unico meraviglioso arazzo dell'essere. Senza di lui, nulla di nulla. Non solo gli esseri umani, ma il filo d'erba e la pietra e il passero intirizzito sul ramo, tutto riceve senso ed è plasmato da lui, suo messaggio e sua carezza, sua lettera d'amore. In lui era la vita. Cristo non è venuto a portarci un sistema di pensiero o una nuova teoria religiosa, ci ha comunicato vita, e ha acceso in noi il desiderio di ulteriore più grande vita: «Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

E la vita era la luce degli uomini. Cerchi luce? Contempla la vita: è una grande parabola intrisa d'ombra e di luce, imbevuta di Dio. Il Vangelo ci insegna a sorprendere perfino nelle pozzanghere della vita il riflesso del cielo, a intuire gli ultimi tempi già in un piccolo germoglio di fico a primavera. Cerchi luce? Ama la vita, amala come l'ama Dio, con i suoi turbini e le sue tempeste, ma anche con il suo sole e le sue primule appena nate. Sii amico e abbine cura, perché è la tenda immensa del Verbo, le vene per le quali scorre nel mondo. A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio. L'abbiamo sentito dire così tante volte, che non ci pensiamo più. Ma cosa significhi l'ha spiegato benissimo papa Francesco nell'omelia di Natale: «Dio viene nel mondo come figlio per renderci figli. Oggi Dio ci meraviglia. Dice a ciascuno di noi: tu sei una meraviglia». Non sei inadeguato, non sei sbagliato; no, sei figlio di Dio. Sentirsi figlio vuol dire sentire la sua voce che ti sussurra nel cuore: ?tu sei una meraviglia?! Figlio diventi quando spingi gli altri alla vita, come fa Dio. E la domanda ultima sarà: dopo di te, dove sei passato, è rimasta più vita o meno vita?

Commento di padre Ermes Ronchi

 

ANGELUS DI PAPA FRANCESCO

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa seconda domenica dopo Natale la Parola di Dio non ci offre un episodio della vita di Gesù, ma ci parla di Lui prima che nascesse. Ci porta indietro, per svelarci qualcosa su Gesù prima che venisse tra noi. Lo fa soprattutto nel prologo del Vangelo di Giovanni, che inizia così: «In principio era il Verbo» (Gv 1,1). In principio: sono le prime parole della Bibbia, le stesse con cui comincia il racconto della creazione: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Oggi il Vangelo dice che Colui che abbiamo contemplato nel suo Natale, come bambino, Gesù, esisteva prima: prima dell’inizio delle cose, prima dell’universo, prima di tutto. Egli è prima dello spazio e del tempo. «In Lui era la vita» (Gv 1,4) prima che la vita apparisse.

San Giovanni lo chiama Verbo, cioè Parola. Che cosa vuole dirci con ciò? La parola serve per comunicare: non si parla da soli, si parla a qualcuno. Sempre si parla a qualcuno. Quando noi per la strada vediamo gente che parla da sola, diciamo: “Questa persona, qualcosa le succede…”. No, noi parliamo sempre a qualcuno. Ora, il fatto che Gesù sia fin dal principio la Parola significa che dall’inizio Dio vuole comunicare con noi, vuole parlarci. Il Figlio unigenito del Padre (cfr v. 14) vuole dirci la bellezza di essere figli di Dio; è «la luce vera» (v. 9) e vuole allontanarci dalle tenebre del male; è «la vita» (v. 4), che conosce le nostre vite e vuole dirci che da sempre le ama. Ci ama tutti. Ecco lo stupendo messaggio di oggi: Gesù è la Parola, la Parola eterna di Dio, che da sempre pensa a noi e desidera comunicare con noi.

E per farlo, è andato oltre le parole. Infatti, al cuore del Vangelo di oggi ci viene detto che la Parola «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (v. 14). Si fece carne: perché san Giovanni usa questa espressione, “carne”? Non poteva dire, in modo più elegante, che si fece uomo? No, utilizza la parola carne perché essa indica la nostra condizione umana in tutta la sua debolezza, in tutta la sua fragilità. Ci dice che Dio si è fatto fragilità per toccare da vicino le nostre fragilità. Dunque, dal momento che il Signore si è fatto carne, niente della nostra vita gli è estraneo. Non c’è nulla che Egli disdegni, tutto possiamo condividere con Lui, tutto. Caro fratello, cara sorella, Dio si è fatto carne per dirci, per dirti che ti ama proprio lì, che ci ama proprio lì, nelle nostre fragilità, nelle tue fragilità; proprio lì, dove noi ci vergogniamo di più, dove tu ti vergogni di più. È audace questo, è audace la decisione di Dio: si fece carne proprio lì dove noi tante volte ci vergogniamo; entra nella nostra vergogna, per farsi fratello nostro, per condividere la strada della vita.

Si fece carne e non è tornato indietro. Non ha preso la nostra umanità come un vestito, che si mette e si toglie. No, non si è più staccato dalla nostra carne. E non se ne separerà mai: ora e per sempre Egli è in cielo con il suo corpo di carne umana. Si è unito per sempre alla nostra umanità, potremmo dire che l’ha “sposata”. A me piace pensare che quando il Signore prega il Padre per noi, non soltanto parla: gli fa vedere le ferite della carne, gli fa vedere le piaghe che ha sofferto per noi. Questo è Gesù: con la sua carne è l’intercessore, ha voluto portare anche i segni della sofferenza. Gesù, con la sua carne è davanti al Padre. Il Vangelo dice infatti che venne ad abitare in mezzo a noi. Non è venuto a farci una visita e poi se n’è andato, è venuto ad abitare con noi, a stare con noi. Che cosa desidera allora da noi? Desidera una grande intimità. Vuole che noi condividiamo con Lui gioie e dolori, desideri e paure, speranze e tristezze, persone e situazioni. Facciamolo, con fiducia: apriamogli il cuore, raccontiamogli tutto. Fermiamoci in silenzio davanti al presepe a gustare la tenerezza di Dio fattosi vicino, fattosi carne. E senza timore invitiamolo da noi, a casa nostra, nella nostra famiglia. E anche – ognuno lo sa bene – invitiamolo nelle nostre fragilità. Invitiamolo, che Lui veda le nostre piaghe. Verrà e la vita cambierà.

La Santa Madre di Dio, nella quale il Verbo si fece carne, ci aiuti ad accogliere Gesù, che bussa alla porta del cuore per abitare con noi.

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

rinnovo a tutti voi i miei auguri per l’anno appena iniziato. Come cristiani rifuggiamo dalla mentalità fatalistica o magica: sappiamo che le cose andranno meglio nella misura in cui, con l’aiuto di Dio, lavoreremo insieme per il bene comune, mettendo al centro i più deboli e svantaggiati. Non sappiamo che cosa ci riserverà il 2021, ma ciò che ognuno di noi e tutti insieme possiamo fare è di impegnarci un po’ di più a prenderci cura gli uni degli altri e del creato, la nostra casa comune.

È vero, c’è la tentazione di prendersi cura soltanto dei propri interessi, continuare a fare la guerra, per esempio, concentrarsi solo sul profilo economico, vivere edonisticamente, cioè cercando solamente di soddisfare il proprio piacere… C’è, quella tentazione. Ho letto sui giornali una cosa che mi ha rattristato abbastanza: in un Paese, non ricordo quale, per fuggire dal lockdown e fare le vacanze bene, sono usciti quel pomeriggio più di 40 aerei. Ma quella gente, che è gente buona, ma non ha pensato a coloro che rimanevano a casa, ai problemi economici di tanta gente che il lockdown ha buttato a terra, agli ammalati? Soltanto, fare le vacanze e fare il proprio piacere. Questo mi ha addolorato tanto.

Rivolgo un particolare saluto a quanti iniziano il nuovo anno con maggiori difficoltà, ai malati, ai disoccupati, a quanti vivono situazioni di oppressione o sfruttamento. E con affetto desidero salutare tutte le famiglie, specialmente quelle in cui ci sono bambini piccoli o che aspettano una nascita. Sempre una nascita è una promessa di speranza. Sono vicino a queste famiglie: il Signore vi benedica!

A tutti auguro una buona domenica,pensando sempre a Gesù che si fece carne proprio per abitare con noi, nelle cose buone e in quelle brutte, sempre. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA II DOMENICA DOPO NATALE 3 GENNAIO 2020 

tratto da www.lachiesa.it