6 dicembre 2020 - Seconda domenica di Avvento: convertirsi senza scoraggiarsi
News del 06/12/2020 Torna all'elenco delle news
Ricominciare dall'Avvento: Gesù ci apre la strada
Il Vangelo odierno ci spiega ancora meglio il senso del tempo liturgico che stiamo vivendo. Già domenica scorsa abbiamo parlato dell’importanza dell’Avvento come il tempo della ripartenza, del nuovo inizio. La Parola di Dio interpella noi, che ancora facciamo fatica a uscire da questo triste e quasi interminabile tempo di pandemia, con una domanda perentoria: come volete ricominciare? E come sempre è essa stessa che ci dà la risposta già nel primo rigo del vangelo dell’anno, quello di Marco: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio Dio”. Mentre ricordiamo che la parola “Evangelo” significa “buona notizia”, “lieta novella”, siamo invitati a credere che la vera lieta notizia è Cristo, che non c’è inizio, non si riparte senza il suo vangelo. È Gesù che, sempre attuale e capace di parlare al cuore di ogni uomo, ci apre la strada, ci dà forza per ricominciare.
Detto questo, il testo ci mostra un personaggio biblico importante per la storia della salvezza, fondamentale per il nostro itinerario di fede: Giovanni Battista. Qui viene presentato innanzitutto come il precursore. Pre-currere è il verbo latino che ci ricorda il precedere, l’andare avanti, l’aprire la strada. Che compito meraviglioso! Dove possiamo andare senza una guida? Dove possiamo giungere senza qualcuno che batta per primo la strada? Solo dirupi, burroni e baratri si aprono davanti a noi, ma non abbiamo paura, non ci scoraggiamo, non indietreggiamo mai, perché qualcuno ha aperto la strada, l’ha tracciata per noi, l’ha percorsa per nostra utilità e vantaggio. Giovanni è stato il primo a svolgere questo importante ruolo, questa possente missione, e ancora lo svolge per coloro che ne vogliono seguire le orme, per chi lo accoglie come esempio e modello da seguire. Ecco allora il compito, o meglio la missione di ogni cristiano, per questo Avvento e per tutta la nostra vita: preparare la strada del Signore, aprire la sua via, affinché possa più facilmente venire e incontrare i fratelli. Pensiamo a quanti oggi hanno bisogno di trovare o ritrovare il Signore! E noi cosa facciamo? Se non lo impediamo con le nostre cattive testimonianze e contraddizioni, certamente non ce ne preoccupiamo più di tanto! Eppure il Signore manda anche noi, come il primo precursore, nel deserto. Voce di uno che grida nel deserto. “Nel deserto? E a chi grido se nel deserto non c’è nessuno?”, si potrebbero chiedere i lettori inesperti. Comprendiamo allora che il deserto non è tanto un luogo geografico da raggiungere in qualche parte sperduta del mondo, ma è, come dicono i teologi, una situazione di vita, un atteggiamento di fondo, quello di chi vive l’aridità del cuore, il deserto dell’anima appunto, che certamente non permette di star bene, di vivere. L’Avvento potrebbe essere il tempo prezioso nel quale ci prepariamo così al Natale del Signore e alla sua venuta nella gloria (Parusia), preoccupandoci dei fratelli smarriti, lontani, che tanta sete di amore hanno nel cuore, nel deserto della vita moderna, con l’intento di portare loro un sorso d’acqua fresca. Si tratta quindi di comunicare il Vangelo che cambia il mondo, cambia anche le situazioni più disperate dell’esistenza umana trasformando il deserto del cuore nel giardino più bello e rigoglioso che esista, perché colmo della presenza di Dio, dissetato dalla sua Parola, sfamato dal suo vero cibo (Eucaristia).
L’atteggiamento di fondo non può allora essere quello degli “illuminati” o peggio degli “arrivati”, di quelli cioè che sanno tutto (onniscienti) o che fanno tutto (onnipotenti) e vivono serenamente beati, “sorseggiando il proprio caffè nelle sacrestie delle nostre parrocchie” (Papa Francesco), ma rivestendosi, cingendosi e nutrendosi di un unico indispensabile atteggiamento della vita cristiana: l’umiltà. A noi vuoti presuntuosi dell’effimero, Giovanni insegna a dire, almeno ogni tanto: “Non sono io”; a noi accecati di saccenza e perbenismo, invita ad affermare: “Viene dopo di me uno che era prima di me”; a noi tracotanti di superbia e di prepotenza, fa dichiarare: “Non sono degno di slegare i lacci dei suoi sandali”.
Questa è la nostra vera conversione, l’unica indispensabile, per essere veramente cristiani, per preparare bene la via del Signore, per accelerare i tempi della sua salvifica venuta nella nostra e altrui esistenza, per scorgere e far scorgere al mondo la perenne novità di Dio che ci assicura che “il deserto fiorirà”.
Commento di mons. Giacomo D'Anna
E' una buona notizia a far ripartire la nostra vita
Il Vangelo odierno ci spiega ancora meglio il senso del tempo liturgico che stiamo vivendo. Già domenica scorsa abbiamo parlato dell’importanza dell’Avvento come il tempo della ripartenza, del nuovo inizio. La Parola di Dio interpella noi, che ancora facciamo fatica a uscire da questo triste e quasi interminabile tempo di pandemia, con una domanda perentoria: come volete ricominciare? E come sempre è essa stessa che ci dà la risposta già nel primo rigo del vangelo dell’anno, quello di Marco: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio Dio”. Mentre ricordiamo che la parola “Evangelo” significa “buona notizia”, “lieta novella”, siamo invitati a credere che la vera lieta notizia è Cristo, che non c’è inizio, non si riparte senza il suo vangelo. È Gesù che, sempre attuale e capace di parlare al cuore di ogni uomo, ci apre la strada, ci dà forza per ricominciare.
Detto questo, il testo ci mostra un personaggio biblico importante per la storia della salvezza, fondamentale per il nostro itinerario di fede: Giovanni Battista. Qui viene presentato innanzitutto come il precursore. Pre-currere è il verbo latino che ci ricorda il precedere, l’andare avanti, l’aprire la strada. Che compito meraviglioso! Dove possiamo andare senza una guida? Dove possiamo giungere senza qualcuno che batta per primo la strada? Solo dirupi, burroni e baratri si aprono davanti a noi, ma non abbiamo paura, non ci scoraggiamo, non indietreggiamo mai, perché qualcuno ha aperto la strada, l’ha tracciata per noi, l’ha percorsa per nostra utilità e vantaggio. Giovanni è stato il primo a svolgere questo importante ruolo, questa possente missione, e ancora lo svolge per coloro che ne vogliono seguire le orme, per chi lo accoglie come esempio e modello da seguire. Ecco allora il compito, o meglio la missione di ogni cristiano, per questo Avvento e per tutta la nostra vita: preparare la strada del Signore, aprire la sua via, affinché possa più facilmente venire e incontrare i fratelli. Pensiamo a quanti oggi hanno bisogno di trovare o ritrovare il Signore! E noi cosa facciamo? Se non lo impediamo con le nostre cattive testimonianze e contraddizioni, certamente non ce ne preoccupiamo più di tanto! Eppure il Signore manda anche noi, come il primo precursore, nel deserto. Voce di uno che grida nel deserto. “Nel deserto? E a chi grido se nel deserto non c’è nessuno?”, si potrebbero chiedere i lettori inesperti. Comprendiamo allora che il deserto non è tanto un luogo geografico da raggiungere in qualche parte sperduta del mondo, ma è, come dicono i teologi, una situazione di vita, un atteggiamento di fondo, quello di chi vive l’aridità del cuore, il deserto dell’anima appunto, che certamente non permette di star bene, di vivere. L’Avvento potrebbe essere il tempo prezioso nel quale ci prepariamo così al Natale del Signore e alla sua venuta nella gloria (Parusia), preoccupandoci dei fratelli smarriti, lontani, che tanta sete di amore hanno nel cuore, nel deserto della vita moderna, con l’intento di portare loro un sorso d’acqua fresca. Si tratta quindi di comunicare il Vangelo che cambia il mondo, cambia anche le situazioni più disperate dell’esistenza umana trasformando il deserto del cuore nel giardino più bello e rigoglioso che esista, perché colmo della presenza di Dio, dissetato dalla sua Parola, sfamato dal suo vero cibo (Eucaristia).
L’atteggiamento di fondo non può allora essere quello degli “illuminati” o peggio degli “arrivati”, di quelli cioè che sanno tutto (onniscienti) o che fanno tutto (onnipotenti) e vivono serenamente beati, “sorseggiando il proprio caffè nelle sacrestie delle nostre parrocchie” (Papa Francesco), ma rivestendosi, cingendosi e nutrendosi di un unico indispensabile atteggiamento della vita cristiana: l’umiltà. A noi vuoti presuntuosi dell’effimero, Giovanni insegna a dire, almeno ogni tanto: “Non sono io”; a noi accecati di saccenza e perbenismo, invita ad affermare: “Viene dopo di me uno che era prima di me”; a noi tracotanti di superbia e di prepotenza, fa dichiarare: “Non sono degno di slegare i lacci dei suoi sandali”.
Questa è la nostra vera conversione, l’unica indispensabile, per essere veramente cristiani, per preparare bene la via del Signore, per accelerare i tempi della sua salvifica venuta nella nostra e altrui esistenza, per scorgere e far scorgere al mondo la perenne novità di Dio che ci assicura che “il deserto fiorirà”.
Commento di padre Ermes Ronchi
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (Mc 1,1-8) presenta la figura e l’opera di Giovanni il Battista. Egli indicò ai suoi contemporanei un itinerario di fede simile a quello che l’Avvento propone a noi, che ci prepariamo a ricevere il Signore nel Natale. Questo itinerario di fede è un itinerario di conversione. Che cosa significa la parola “conversione”? Nella Bibbia vuol dire anzitutto cambiare direzione e orientamento; e quindi anche cambiare il modo di pensare. Nella vita morale e spirituale, convertirsi significa rivolgersi dal male al bene, dal peccato all’amore di Dio. E questo è quello che insegnava il Battista, che nel deserto della Giudea «proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (v. 4). Ricevere il battesimo era segno esterno e visibile della conversione di coloro che ascoltavano la sua predicazione e si decidevano a fare penitenza. Quel battesimo avveniva con l’immersione nel Giordano, nell’acqua, ma esso risultava inutile, era un segno soltanto e risultava inutile se non c’era la disponibilità a pentirsi e cambiare vita.
La conversione comporta il dolore per i peccati commessi, il desiderio di liberarsene, il proposito di escluderli per sempre dalla propria vita. Per escludere il peccato, bisogna rifiutare anche tutto ciò che è legato ad esso, le cose che sono legate al peccato e cioè bisogna rifiutare la mentalità mondana, la stima eccessiva delle comodità, la stima eccessiva del piacere, del benessere, delle ricchezze. L’esempio di questo distacco ci viene ancora una volta dal Vangelo di oggi nella figura di Giovanni il Battista: un uomo austero, che rinuncia al superfluo e ricerca l’essenziale. Ecco il primo aspetto della conversione: distacco dal peccato e dalla mondanità. Incominciare un cammino di distacco da queste cose.
L’altro aspetto della conversione è la fine del cammino, cioè la ricerca di Dio e del suo regno. Distacco dalle cose mondane e ricerca di Dio e del suo regno. L’abbandono delle comodità e della mentalità mondana non è fine a sé stesso, non è un’ascesi solo per fare penitenza: il cristiano non fa “il fachiro”. È un’altra cosa. Non è fine a sé stesso, il distacco, ma è finalizzato alconseguimento di qualcosa di più grande, cioè il regno di Dio, la comunione con Dio, l’amicizia con Dio. Ma questo non è facile, perché sono tanti i legami che ci tengono vicini al peccato, e non è facile… La tentazione sempre tira giù, tira giù, e così i legami che ci tengono vicini al peccato: l’incostanza, lo scoraggiamento, la malizia, gli ambienti nocivi, i cattivi esempi. A volte è troppo debole la spinta che sentiamo verso il Signore e sembra quasi che Dio taccia; ci sembrano lontane e irreali le sue promesse di consolazione, come l’immagine del pastore premuroso e sollecito, che risuona oggi nella lettura di Isaia (cfr Is 40,1.11). E allora si è tentati di dire che è impossibile convertirsi veramente. Quante volte abbiamo sentito questo scoraggiamento! “No, non ce la faccio. Io incomincio un po’ e poi torno indietro”. E questo è brutto. Ma è possibile, è possibile. Quando ti viene questo pensiero di scoraggiarti, non rimanere lì, perché questo è sabbia mobile, è sabbia mobile: la sabbia mobile di un’esistenza mediocre. La mediocrità è questo. Che cosa si può fare in questi casi, quando uno vorrebbe andare ma sente che non ce la fa? Prima di tutto ricordarci che la conversione è una grazia: nessuno può convertirsi con le proprie forze. È una grazia che ti dà il Signore, e pertanto da chiedere a Dio con forza, chiedere a Dio che Lui ci converta, che davvero noi possiamo convertirci, nella misura in cui ci apriamo alla bellezza, alla bontà, alla tenerezza di Dio. Pensate alla tenerezza di Dio. Dio non è un padre brutto, un padre cattivo, no. È tenero, ci ama tanto, come il buon Pastore, che cerca l’ultima del suo gregge. È amore, e la conversione è questo: una grazia di Dio. Tu incomincia a camminare, perché è Lui che ti muove a camminare, e tu vedrai come Lui arriverà. Prega, cammina e sempre si farà un passo in avanti.
Maria Santissima, che dopodomani celebreremo come l’Immacolata, ci aiuti a staccarci sempre più dal peccato e dalle mondanità, per aprirci a Dio, alla sua parola, al suo amore che rigenera e salva.
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