29 novembre 2020 - INIZIA L'ANNO LITURGICO B: l'Avvento è come un orizzonte che si allarga

News del 29/11/2020 Torna all'elenco delle news

L'Avvento è come una porta che si apre, un orizzonte che si allarga, una breccia nelle mura, un buco nella rete, una fessura nel soffitto, una manciata di luce che la liturgia ci getta in faccia. Non per abbagliarci, ma per svegliarci. Per aiutarci a spingere verso l'alto, con tutte le forze, ogni cielo nero che incontriamo. «Al di là della notte ci aspetterà spero il sapore di un nuovo azzurro» (N. Hikmet). Il Vangelo oggi racconta di una notte, stende l'elenco faticoso delle sue tappe: «non sapete quando arriverà, se alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, o al mattino» (Mc 13,35). Una cosa è certa: che arriverà. Ma intanto Isaia lotta, a nome nostro, contro il ritardo di Dio: ritorna per amore dei tuoi servi... se tu squarciassi i cieli e discendessi.

Non è l'essere umano che dà la scalata al cielo, è il Signore delle Alleanze che discende, in cammino su tutte le strade, pellegrino senza casa, che cerca casa, e la cerca proprio in me. Isaia capovolge la nostra idea di conversione, che è il girarsi della creatura verso il Creatore. Ha la sfrontatezza di invocare la conversione di Dio, gli chiede di girarsi verso di noi, ritornare, squarciare i cieli, scendere: di convertirsi alle sue creature.

Profezia del nome nuovo di Dio. Finisce la ricerca di Dio e inizia il tempo dell'accoglienza: ecco, io sto alla porta e busso...

«Le cose più importanti non vanno cercate, vanno attese» (S. Weil). Anche un essere umano va sempre atteso. Ci sembra poca cosa, perché noi vogliamo essere attivi, fare, costruire, determinare le cose e gli eventi. Invece Dio non si merita, si accoglie; non si conquista, si attende. Gesù nel Vangelo di questa domenica non si stanca di ripetere il ritornello di due atteggiamenti, nostro equipaggiamento spirituale per il percorso dell'attesa: state attenti e vegliate (Mc 13,33.35.37). L'attenzione ha la stessa radice di attesa: è un tendere a... Tutti abbiamo conosciuto giorni in cui la vita non tendeva a niente; sappiamo tutti cos'è una vita distratta, fare una cosa ed avere la testa da un'altra parte; incontrare una persona e non ricordare il colore dei suoi occhi; camminare sulla terra e calpestare tesori di bellezza. Distratti. L'amore è attenzione. L'attenzione è già una forma di preghiera, ed è la grammatica elementare che salva la mia vita interiore.

Il secondo atteggiamento: vegliate. Non permettete a nessuno di addormentarvi o di comprarvi. Vegliate sui primi passi della pace, della luce dell'alba che si posa sul muro della notte, o in fondo al tunnel di questa pandemia. Vegliate e custodite tutti i germogli, tutto ciò che nasce e spunta porta una carezza e una sillaba di Dio.

Commento di padre Ermes Ronchi

 

Salvare la fede dal sonno. L'Avvento riparte

Con la Prima Domenica di Avvento inizia un nuovo Anno Liturgico. Tale rinnovato inizio è per tutti un invito a ripartire, un’occasione per ricominciare. Nessuno più di noi che stiamo vivendo il tempo difficile della pandemia sa cosa significhino i termini “ripartire”,“ricominciare”. Si riparte! Si ricomincia! Ecco l’atteggiamento che ci permette di tenere vive la fede, la speranza, l’amore.

Un atteggiamento ben espresso dall’efficace esortazione di Papa Francesco di “non farci rubare la speranza”. Questa tentazione infatti è accovacciata alla porta di tutti, e rispetto ad essa mai possiamo dirci veramente forti e preparati. Ecco allora l’altra parola che ci permette di vivere bene l’Avvento e tutta la nostra vita: “prepararci”. Qual è lo strumento migliore, l’alimento più certo, la medicina più efficace per perseguire tale preparazione se non la Parola di Dio? Ecco perché per tutti è bello ricominciare, è bello ripartire, illuminati dalla Parola di Dio che, di domenica in domenica, leggeremo, mediteremo e approfondiremo, con l’augurio di passare dalla fase mentale alla fase vitale, o meglio passare dalle parole ai fatti, facendo sì che la Parola non scivoli sopra la nostra pelle, ma penetri fino al cuore. “Dalla pelle al cuore”, come recita una canzone di musica leggera. Facciamoci allora illuminare dal Vangelo della Domenica, certi di trovare in esso tutto ciò che serve per la nostra vita di ogni giorno, tutto ciò che serve ad essere pronti per l’incontro definitivo con il Signore, sicuri che “Lui verrà e ci salverà”. Ecco allora ritornare il senso dell’Avvento, che ci apprestiamo a vivere insieme, il tempo dell’attesa che celebriamo liturgicamente preparandoci al Natale del Signore, ma che viviamo praticamente, preparandoci alla seconda venuta del Signore (la Parusia), quando Lui ritornerà nella gloria. Questa attesa non è un tempo sterile e morto, ma è tempo carico di impegno e di azione. Come vivere allora questa “meravigliosa” attesa? Ce lo dice a chiare lettere il Vangelo di questa prima domenica, gridandoci forte: “Vegliate”.

Il testo di Marco, che sarà il vangelo che ci accompagnerà nel cammino di fede per tutto il prossimo anno liturgico, avvalora e rafforza il verbo“vegliare” con l‘espressione “fate attenzione”. Mi vengono in mente le parole dei nostri papà e delle nostre mamme, quando una volta, a noi ancora bambini, ci dicevano “iapriti l’occhi”, “aprite gli occhi”. Essi non si soffermavano poi a darci molte spiegazioni sui rischi e pericoli della vita, non ci davano lezioni di educazione civica o di morale sessuale, bastava quella parola per dire tutto.“Aprire gli occhi” significava“fare attenzione”, essere pronti a tutto, guardarsi bene per ogni evenienza o imprevisto. Eppure questa parola non ci metteva ansia, paura e preoccupazione; in fondo sapevamo che loro erano lì pronti a seguirci, a prendersi cura di noi, nella retroguardia, ma sempre presenti e premurosi. Quindi non provavamo sfiducia o diffidenza negli amici o compagni o amici di scuola, ma vivevamo sereni le nostre relazioni, seppur attenti e guardinghi. Come cristiani dovremmo riscoprire questo atteggiamento di fiducia e di confidenza nel Signore e nel prossimo, ridestandoci dal sonno della paura di Dio e del sospetto verso i fratelli, per sperimentare la bellezza di un dono reciproco che coinvolge tutta la vita.

Ci viene detto anche il motivo di questa nostra necessaria attenzione e indispensabile vicinanza: perché non sapete quando è il momento”, non conoscete “quando il Padrone di casa ritornerà”. Una attesa allora per un incontro, quello con il nostro Re e Signore. Un incontro che in altri testi del vangeli ci viene presentato come un banchetto di nozze, una festa, un party, come si direbbe oggi. Non più e non tanto il “dies irae”, il giorno dell’ira di Dio, del tremendo giudizio, ma della festa e della letizia, perché il padrone ritorna per incontrare i suoi servi, perché il Re viene di nuovo per sedere a mensa con il suo popolo, che lo accoglie festante e acclama esultante. Per questo incontro sembra, stranamente, più preoccupato il veniente Signore, che i servi attendenti. Sì, Lui è più preoccupato di noi che giungendo all’improvviso non ci trovi addormentati. Che triste farsi trovare sonnolenti, oserei dire “anestetizzati” da mille cose che certamente non aiutano il senso dell’attesa per la felice venuta. Vivere bene il tempo dell’Avvento è l’unico modo possibile per accogliere e incontrare il Signore, per essere con Lui nella gioia e nella festa, per sempre.

Commento di monsignor Giacomo D'Anna

 

L'attesa è l'alfabeto vero dell'amore.

Solo chi ama attende. Anzi potremmo dire che il metro vero dell'amore lo si misura dalle attese. Ma solitamente a noi non piace attendere, perché l'attesa è anche il tempo dell'incertezza, della lotta con ciò che vorrebbe distrarci,  o della paura che alla fine non ne valga la pena. Chi ama  attende, e per questo si sottopone a un silenzioso processo di purificazione interiore. Infatti lo scopo dell'attesa è proprio quello di liberarci dalle nostre aspettative per fare spazio all'altro così com'è e non così come ce lo immaginiamo. L'avvento ha questo scopo: imparare ad attendere Gesù liberandoci dalle aspettative che abbiamo su di Lui. Anche il popolo di Israele immaginava un Messia guerriero, ma invece di un condottiero si è presentato un fragile bambino. Lo pensavano vittorioso e invece si è lasciato inchiodare sulla croce. Si potrebbe pensare che le attese di Israele siano state tradite, ma la verità è che l'unica cosa ad essere andata in frantumi sono le loro aspettative, ma la loro attesa invece si è compiuta in un modo per loro (e per noi) inimmaginabile). Questa prima domenica d'avvento sembra domandarci: come sta la tua attesa? Che è un pò come dire: come sta la tua capacità d'amare? Sei disposto a rinunciare alle tue aspettative per vedere realizzate le tue attese? Se si, allora rimani sveglio!

Commento di Don Luigi Maria Epicoco