22 marzo 2020 - IV Domenica di Quaresima "Laetare": Siamo tutti come ciechi in cerca della luce
News del 21/03/2020 Torna all'elenco delle news
Il protagonista del racconto è l'ultimo della città, un mendicante cieco dalla nascita, che non ha mai visto il sole né il viso di sua madre. Così povero che non ha nulla, possiede solo se stesso. E Gesù si ferma per lui, senza che gli abbia chiesto nulla. Fa un po' di fango con polvere e saliva, come creta di una minima creazione nuova, e lo stende su quelle palpebre che coprono il buio. In questo racconto di polvere, saliva, luce, dita, Gesù è Dio che si contamina con l'uomo, ed è anche l'uomo che si contagia di cielo; abbiamo uno sguardo meticcio, con una parte terrena e una parte celeste. Ogni bambino che nasce ?viene alla luce? (partorire è un ?dare alla luce?), ognuno è una mescolanza di terra e di cielo, di polvere e di luce divina. «Noi tutti nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto» (M. Zambrano).
La nostra vita è un albeggiare continuo. Dio albeggia in noi. Gesù è il custode delle nostre albe, il custode della pienezza della vita e seguirlo è rinascere; aver fede è acquisire «una visione nuova delle cose» (G. Vannucci). Il cieco è dato alla luce, nasce di nuovo con i suoi occhi nuovi, raccontati dal filo rosso di una domanda ripetuta sette volte: come ti si sono aperti gli occhi? Tutti vogliono sapere ?come?, impadronirsi del segreto di occhi invasi dalla luce, tutti con occhi non nati ancora. La domanda incalzante (come si aprono gli occhi?) indica un desiderio di più luce che abita tutti; desiderio vitale, ma che non matura, un germoglio subito soffocato dalla polvere sterile della ideologia dell'istituzione. L'uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi, ma la ?sana? dottrina. E avviano un processo per eresia, perché è stato guarito di sabato e di sabato non si può, è peccato... Ma che religione è questa che non guarda al bene dell'uomo, ma solo a se stessa e alle sue regole? Per difendere la dottrina negano l'evidenza, per difendere la legge negano la vita. Sanno tutto delle regole morali e sono analfabeti dell'uomo. Anziché godere della luce, preferirebbero che tornasse cieco, così avrebbero ragione loro e non Gesù. Dicono: Dio vuole che di sabato i ciechi restino ciechi! Niente miracoli il sabato! Gloria di Dio sono i precetti osservati. Mettono Dio contro l'uomo, ed è il peggio che possa capitare alla nostra fede. E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo che torna a vita piena, «un uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).
E il suo sguardo luminoso, che passa e illumina, dà gioia a Dio più di tutti i comandamenti osservati!
Commento di padre Ermes Ronchi
Chi crede è nella luce
L’uomo, con le sue sole forze, dinanzi ad una malattia inguaribile non può fare altro che attestarne l’ineluttabilità, oppure, come accade nel racconto del cieco nato, cercare un colpevole. Gesù invece scardina la mentalità corrente, che attribuiva la causa del male al peccato, ossia la tentazione di pensare che Dio punisca l’uomo, e dichiara solennemente che il buio del dolore diventa occasione per far splendere la vera luce, Se stesso: «sono la luce del mondo».
Il gesto di guarigione che subito dopo compie è un atto creativo: la saliva è il suo Spirito condensato, presente nella genesi del mondo e infuso al primo uomo, così come il fango richiama l’opera del Creatore che plasma la sua creatura. Il nome della piscina, «Inviato», conferma che Gesù è stato mandato per ricreare l’uomo, riportandolo alla sua vera natura di vedente. Tutt’intorno invece permangono persone che pur vedendo sono cieche: i Giudei, i farisei, i genitori dell’uomo; nel dialogo col cieco guarito esse dimostrano che non credere in Cristo è la vera tenebra. Tali manifestazioni di incredulità si consumano mentre Gesù è uscito di scena, a significare che la mancanza di fede determina l’assenza di Dio dalla propria vita, come accade oggi, in cui Egli sembra estromesso da tanti contesti umani. Tuttavia, mentre esplicitamente si dichiara l’assenza di Dio o ci si vanta della propria lontananza da Lui, il Signore continua a rendersi presente mediante la testimonianza dei suoi fedeli. L’uomo che ha sperimentato la guarigione riferisce ciò che ha ricevuto, perché annunciare il vangelo vuol dire semplicemente raccontare l’opera di Dio nella propria storia. Siccome l’opera divina infrange tutti gli schemi precostituiti, in questo caso viola il precetto del Sabato, la testimonianza del credente incontra l’ostilità degli uomini religiosi, incapaci di discostarsi dall’idea di un Dio esigente ma prevedibile, e per questo controllabile, così come era controllabile il popolo attraverso l’imposizione di precetti rigidi. Mentre cresce l’opposizione dei farisei verso il cieco guarito, cresce la sua capacità di rendere testimonianza, che diventa anche provocazione ad accogliere la persona di Cristo: «volete forse diventare anche voi suoi discepoli?», e comunque provocazione a pensare: «se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Colpisce anche la solitudine dell’uomo, che è stato abbandonato dai genitori per paura che i Giudei li espellessero dalla sinagoga. È il prezzo della fede, che comporta una certa solitudine, soprattutto quando il Signore invita a prendere le distanze da retaggi culturali e familiari che tante volte vorrebbero farti rimanere quello che sei, impedendoti di aprirti a quella novità che per sua natura l’adesione a Cristo comporta. Quando sei stato toccato da Gesù, dunque, inizia un cammino in salita: chi ti conosce da sempre, adesso non ti riconosce più. Tu cominci a cambiare e gli altri non sanno più chi sei, ma tu insisti: «sono io!», perché adesso sai chi sei. Il contatto con Gesù ci fa vedere anzitutto cosa noi siamo veramente, creature ‘viste’: lo sguardo del Signore ci fa uscire dalla terra di abbandono in cui eravamo confinati; e cosa importa se poi chi ti giudica ti allontana? Ciò che importa è sapere di essere accolti da chi ti ama e si è chinato su di te. L’uomo viene cacciato fuori, come Gesù verrà cacciato e giustiziato fuori dalle mura della città, e diventa così figura del perfetto discepolo, che segue il Maestro nell’ignominia della croce. Ecco che, proprio quando sperimentiamo l’abbandono, il Signore si fa incontro a noi per confermarci e consolarci, alla maniera degli angeli che ristorano Gesù nel deserto, e più ancora del Padre, che al Battesimo e alla Trasfigurazione fa sentire la sua voce a favore del Figlio. È bellissimo il dialogo tra Gesù e l’uomo, è un invito ad una adesione affettiva ancora più profonda alla persona di Gesù. Dobbiamo stare attenti a non confondere la fede con altri ideali in sé nobilissimi, come la lotta all’ingiustizia o alla povertà. Queste ultime naturalmente sono il frutto di una scelta di fede, ma credere significa che nel tuo orizzonte si staglia la persona di Gesù, che il suo volto è sempre dinanzi a te. Domandiamoci se per noi la priorità è la persona di Gesù o le cose che facciamo per Lui: se un consacrato non prega perché ha troppi impegni di apostolato, non ha più Cristo come priorità. Tutte le volte che sostiamo con Gesù in un dialogo orante amoroso, le energie si moltiplicano, il cuore si dilata di gioia…il mal di testa passa!
Commento di don Tonino Sgrò tratto da www.reggiobova.it
LITURGIA E LITURGIA DELA PAROLA DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA "LAETARE" (ANNO A) 22 MARZO 2020
tratta da www.lachiesa.it