26 febbraio 2020 - Mercoledì delle Ceneri: punto di partenza di ogni vera conversione è la memoria profonda di chi siamo
News del 26/02/2020 Torna all'elenco delle news
Con la celebrazione di questa sera comincia il tempo di Quaresima, che ci aiutera' a vivere nel modo piu' sincero che sia possibile la Pasqua di Gesu'. Ci vengono consegnati: una parola, quella di Dio che ci invita a camminare sulla via del continuo rinnovamento della mente e del cuore; un segno, la cenere che riceviamo sulla fronte, che ci vuol comunicare il suo messaggio di umilta' e conversione; tre impegni: preghiera, digiuno ed elemosina, che vogliono ricordarci le tre direzioni importanti della nostra vita.
1) La cura della relazione con Dio, che è ascolto della sua parola, preghiera personale e in famiglia, prendersi un tempo per partecipare anche in giorno feriale alla celebrazione dell'eucaristia, vivere il sacramento della riconciliazione.
2) La cura della relazione con noi stessi, significata dal digiuno, che se vissuto bene aiuta l'autocontrollo e la ricerca di equilibri ai quali non pensiamo spesso, ad esempio potrebbe essere per me l'occasione di riscrivere la mia personalissima scala di valori, la rinuncia al superfluo, perché tutto possa diventare aiuto concreto ai più bisognosi ed indifesi.
3) La cura della relazione con il nostro prossimo, perché quello è il senso dell'elemosina. lo ripeto ancora una volta perché fa bene soprattutto a me: la parola elemosina viene dal verbo greco eleao che indica non tanto un aiuto materiale, quanto un coinvolgimento nella vita dell'altro, un farsi prossimo, un avere compassione, un entrare dentro le situazioni. Elemosina è carità, comprensione, amabilità, perdono, verso i vicini e verso i lontani.
Il segno della cenere allora, non è mai facile da spiegare (almeno io mi trovo sempre in difficoltà). Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai: è una delle due formule che si usano quando vengono imposte le ceneri. Certo lo sappiamo che tutto passa ed ha una fine (nei giorni scorsi le prime letture ci hanno fatto meditare proprio sulle opere dell'uomo che per quanto maestose poi crollano) e non siamo qui per un "pistolotto" sullo stile: state in guardia... attenti che poi... (alcuni lo facevano per tempo, magari tirando fuori un teschio per far più impressione ai fedeli). Molto semplicemente vogliamo avere una attenzione speciale a far si che quella tendenza a vivere e centrarsi troppo sul presente che naturalmente abbiamo, possa lasciare spazio a quel guardare oltre che tanto abbiamo sottolineato nel cammino parrocchiale, sia per quello che riguarda le omelie domenicali sia per quello che riguarda il cammino dei gruppi giovani. Per questo, dopo aver ricevuto la cenere baceremo il libro dei vangeli e ascolteremo la seconda formula: convertiti e credi al vangelo, credi alla parola eterna, credi alla parola che non passerà e che ci assicura che il nostro destino è la risurrezione.
La cenere ci parla di penitenza, ma non e' questione di mortificarsi e farsi del male, no! Il mondo di oggi (io!!!) ha bisogno di austerità, di sobrietà perché sciupiamo, consumiamo troppo. E al mondo possiamo dire che la sobrietà è libertà e che invece di consumare possiamo "dare la festa della condivisione"! e anche in un giorno mesto come il mercoledì della ceneri la chiesa può esercitare il ministero dell'allegria e della gioia: ricevo le ceneri per cominciare a vivere lo slancio della carità!
La cenere ci parla di umiltà: non ha certo lo splendore del fuoco, o la sua forza; non ha la vitalità dell'acqua o la fecondità della terra; non ha la bellezza delle pietre preziose ne' la fragranza di un profumo. Sì, concima bene, ma ci sono altre cose che concimano bene e il paragone non è poi così edificante. Mi fa bene pensare che ricevo sulla fronte qualcosa che non serve a nulla, perché è bene che io senta e faccia i conti (almeno oggi!!!) con la mia incapacità, che io faccia un bagno di umiltà; però, è anche vero che non siamo destinati ad essere pura polvere, perché su questa polvere del suolo, Dio ha soffiato il suo soffio che è spirito di vita. Riceviamo le ceneri, ma baciamo idealmente anche la polvere della terra dalla quale veniamo, dalla quale siamo nati, la terra che sono i nostri cari, la terra che sono coloro i quali ci sono stati d'esempio, le persone che ci hanno amato e ci hanno parlato di Gesù. Baciamo con gratitudine questa terra, perché prima di noi l'ha baciata e l'ha amata Dio.
Omelia di don Maurizio Prandi
Il trinomio prezioso
Gioele (Prima lettura) descrive la penuria e la fame in cui versa il popolo di'Israele in seguito a un'invasione di cavallette che ha distrutto il raccolto, ma facendosi portavoce di Dio invita tutti alla conversione e al pentimento: è stato il peccato del popolo a causare codesta disfatta. Ora occorre dare segno di pentimento e di conversione, soprattutto con la penitenza, la mortificazione e il digiuno. Il mondo cambia a partire dalla coscienza del singolo uomo e nessun vantaggio e mai possibile se non lo precede lo sforzo di rinnovamento e di radicale trasformazione interiore. L'imperfezione è il primo ostacolo d'abbattere per ritrovare se stessi e la precarietà e la miseria morale sono pericoli da combattere nella persona singola e nella società. Così sempre, e non soltanto nel popolo d'Israele oppresso dalla penuria e dalla carestia. Un coefficiente valido per optare per il rinnovamento è il digiuno. Esso era considerato nell'Antico Testamento un mezzo per umiliarsi davanti a Dio e per entrare nel vivo della comunione con lui; con il digiuno si fa esperienza del divino e si incrementa la familiarità con l'Assoluto. Rinunciare al cibo o ridurlo alla frugalità è un espediente che favorisce l'alleggerimento, lo svuotamento di se stessi per accrescere quell'umiltà che ci conduce a Dio e che ci predispone ad amare il prossimo. Per questo il digiuno è associato alla preghiera e alle opere di carità, senza le quali esso non avrebbe alcun valore se non di mera esteriorità innecessaria. La carità è reale ed effettiva quando deriva dall'umiltà e dalla fede e quando è anzi una conseguenza di queste. Se allora il digiuno non serve ad accrescere il nostro essere umili e devoti, non sarà mai vero digiuno e non condurrà mai alla carità concreta. Preghiera e digiuno in altri termini ci portano all'umiltà e questa conduce alla carità.
Ed è proprio questa la sintesi del Mercoledi delle Ceneri, che vede affollate le nostre chiese solitamente semideserte nei giorni feriali dell'inverno, perché ciascuno riceva sul capo un granello di polvere. Essa ci indica innanzitutto il valore dell'umiltà, la necessità di dover ammettere la nostra insufficienza e la nostra precarietà, riconoscendo di dover dipendere da Qualcuno che ci sovrasta ma che ci ama. L'umiltà per la quale consideriamo noi stessi nient'altro che polvere e cenere e che è stata alimentata dall'astinenza dai pasti (o almeno da una pietanza) prevista nella giornata di oggi e che avrà la sua concretezza nel bene che saremo in grado di fare ai fratelli. L'umiltà ci spinge a cercare Dio considerato come bene supremo e a orientare la nostra vita a Lui in un continuo processo ininterrotto chiamato conversione. Se sei polvere e cenere e se Dio ti ama, ebbene convertiti e credi al Vangelo, è la frase che vi viene detta al momento in cui veniamo cosparsi delle sacre ceneri.
Il Vangelo di oggi, che inaugura liturgicamente l'inizio di un percorso di rinnovamento spirituale che interessa l'interiorità del singolo e l'intera comunità ecclesiale, ci parla della vera carità, scaturente dall'umiltà e dalla mortificazione che conducono alla fede: "Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
La metafora esprime che è necessaria l'umiltà e la fuga dalla vanagloria. Praticare la carità gonfi di presunzione e di vano orgoglio non fa altro che rendere ridicoli, poiché dimostra l'inutilità stessa delle nostre presunte opere di bene. Inutilità in tal modo palesata sia davanti a Dio sia davanti agli uomini, per il semplice fatto che non vi è difficoltà alcuna a fare il bene quando questo non ci costa nulla e non ottiene certo dei meriti il compiere delle buone azioni al solo scopo di ottenere il plauso e l'approvazione di chi ci sta osservando. In casi come questi si è capaci di buone azioni che sapremo fare solo in quella circostanza, ma che non saremo in grado di ripetere in futuro, con la conseguenza di sterile falsità e ipocrisia da parte nostra. Quando si esercita l'amore ravvivati da una profonda umiltà e da una vera disposizione di cuore, la nostra trasparenza sarà indubbia e la sincerità con cui si a il bene sarà di edificazione agli altri. La carità deriva infatti da uno sprone che può darci solamente un cuore puro e uno spirito ben disposto, riceve la spinta iniziale dall'umiltà e nella fede trova la sua continua forza di inerzia.
In queste settimane privilegiate che ci attendono saremo condotti all'esercizio dell'umiltà perché saremo spronati a guardare a Dio che da parte sua non cessa di chiamarci a conversione e ad instaurare una relazione di amore con noi nel suo Figlio Gesù Cristo. Corrisponderemo all'appello di Dio che ci invita alla comunione con sé radunandoci nel suo Figlio Gesù e rendendoci consapevoli di essere sempre amati e prediletti nonostante le deficienze di cui è causa il nostro peccato. L'umiltà consisterà nel riconoscerci effettivamente bisognosi di questa comunione con Cristo e di saperci insufficienti e privi di orientamento quando essa venga a mancare; essa è la risorsa privilegiata che ci pone sempre di fronte al nostro peccato, ravvivando in noi la coscienza di manchevolezza verso Dio che rovina peraltro noi stessi e la nostra convivenza. L'umiltà cancella l'orgoglio e la presunzione aprendo le porte al dono della fede, che in essa viene coltivato, approfondito e alimentato e la fede non potrà che condurre al "prestare attenzione" al fratello, concependo così la carità sincera, disinvolta e disinteressata.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Commento su Mt 6,1-6.16-18
Questo brano fa parte del discorso della Montagna di Matteo. Dopo le sei antitesi, con cui Gesù supera e completa la legge di Mosè, egli sottolinea il modo giusto con cui praticare i tre atti di religiosità più diffusi nella sua società: l'elemosina, la preghiera e il digiuno. Il vangelo di Matteo è attraversato dal senso della giustizia, la giustizia che deriva dalla giusta osservanza della Legge e della volontà di Dio. In modo ancora più specifico il discorso della montagna ricorda ai suoi uditori che la loro giustizia deve essere superiore a quella di scribi e farisei, i quali con le loro opere buone cercavano soprattutto un riconoscimento da parte degli altri uomini. Questo brano è stato scelto per iniziare il cammino di Quaresima poiché ci ricorda le opere da compiere in modo speciale in questo periodo il loro vero significato.
Omelia a cura del Monastero Domenicano Matris Domini leggi tutto su www.lachiesa.it
La Quaresima ci sorprende con le sue domeniche, i suoi quaranta giorni, apparentemente sempre uguali, mentre noi non lo siamo. Per questo nella fede, come nell’amore non c’è mai il rischio della ripetitività. Il motivo per cui dobbiamo affrontare questi giorni di conversione è radicalmente diverso dai motivi degli anni passati e da quelli degli anni futuri. “L’Egitto” da cui dobbiamo uscire quest’anno ha dei nomi propri. Forse quest’anno riguarda la nostra famiglia, o il nostro lavoro, o la nostra storia, o la nostra capacità di amare, o tantissime altre cose che sarebbe difficile elencare. L’intensità della nostra conversione non è mai scontata e non è mai chiusa. Noi non siamo mai degli “arrivati”, siamo costantemente in cammino. Possiamo solo diventare un po’ più esperti nel muoverci tra le cose di Dio, ma sicuramente non siamo abilitati a pensare che la cosa non riguarda più noi. La cenere che segna le nostre teste all’inizio di questo cammino Quaresimale ha profumi di novità. Non serve solo a mescolarsi con le nostre preoccupazioni. Serve a segnare il territorio di una battaglia che ci vedrà impegnati sino a Pasqua. E non c’è punto di partenza migliore che quello di ricordarci del nostro “niente”. Quella cenere è quel “niente” che siamo, eppure per amore di questo “niente” Dio manda Suo Figlio a morire per noi. Così quella cenere è solo la scorza sporca di un capolavoro che ha bisogno di venire fuori, di mostrarsi, di rendersi visibile. Non disertiamo questo shampoo di umiltà. Non scostiamo le nostre fronti davanti a questa terra grigia. Lasciamoci segnare e decidiamo di prendere la strada che ci porterà fuori dalla schiavitù, verso la terra promessa di ciò che ci può rendere felici. E quale potrebbe essere il primo passo? Togliere le maschere: “Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Credere non è una maschera tra le tante, ma la decisione di toglierla.
Omelia di don Luigi Maria Epicoco (www.cercoiltuovolto.it)
C'è un«solus cum Solo», un rapporto intimo e unico con Dio che è fondamentale nella vita spirituale. Tale rapporto, essendo una relazione d'amore e non solo una relazione legalista, richiede una dedizione e un'attenzione affinché Dio non sia una fra le tante cose della nostra vita, ma, come professa lo shema', «unico». Inoltre, questo rapporto richiede una costruzione e una custodia dell'intimità con il Signore, perché non ci accada, come succede nell'era dei social che andiamo nei posti e ai ristoranti per condividere le foto e i selfies. In questo tempo di quaresima, tempo favorevole di penitenza, digiuno e preghiera, investiamo in questa direzione. Vi auguro che in questo tempo l'Amato, conducendovi nel deserto, parli al vostro cuore, lo trasformi e lo unisca al Suo. Amen.
Robert Cheaib (#pregolaParola)
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