2 febbraio 2020 - Festa della Presentazione del Signore: le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese

News del 02/02/2021 Torna all'elenco delle news

Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia, col suo primo bambino, arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e il più prezioso dono del mondo: un bambino. Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna. Che attendevano, dice Luca, «perché le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese» (Simone Weil). Perché quando il discepolo è pronto, il maestro arriva.

Non sono i sacerdoti ad accogliere il bambino, ma due laici, che non ricoprono nessun ruolo ufficiale, ma sono due innamorati di Dio, occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. E lei, Anna, è la terza profetessa del Nuovo Testamento, dopo Elisabetta e Maria. Perché Gesù non appartiene all'istituzione, non è dei sacerdoti, ma dell'umanità. È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro e come vita» (M. Marcolini).

Simeone pronuncia una profezia di parole immense su Maria, tre parole che attraversano i secoli e raggiungono ciascuno di noi: il bambino è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione perché siano svelati i cuori. Caduta, è la prima parola. «Cristo, mia dolce rovina» canta padre Turoldo, che rovini non l'uomo ma le sue ombre, la vita insufficiente, la vita morente, il mio mondo di maschere e di bugie, che rovini la vita illusa. Segno di contraddizione, la seconda. Lui che contraddice le nostre vie con le sue vie, i nostri pensieri con i suoi pensieri, la falsa immagine che nutriamo di Dio con il volto inedito di un abbà dalle grandi braccia e dal cuore di luce, contraddizione di tutto ciò che contraddice l'amore.

Egli è qui per la risurrezione, è la terza parola: per lui nessuno è dato per perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare ed essere nuovi. Sarà una mano che ti prende per mano, che ripeterà a ogni alba ciò che ha detto alla figlia di Giairo: talità kum, bambina alzati! Giovane vita, alzati, levati, sorgi, risplendi, riprendi la strada e la lotta. Tre parole che danno respiro alla vita.

Festa della presentazione. Il bambino Gesù è portato al tempio, davanti a Dio, perché non è semplicemente il figlio di Giuseppe e Maria: «i figli non sono nostri» (Kalil Gibran), appartengono a Dio, al mondo, al futuro, alla loro vocazione e ai loro sogni, sono la freschezza di una profezia "biologica". A noi spetta salvare, come Simeone ed Anna, almeno lo stupore.

Omelia di padre Ermes Ronchi (Un figlio appartiene a Dio, non ai genitori)

 

Cristo Luce è il Signore del mio istante

La famiglia di Nàzaret è in movimento. Maria e Giuseppe adempiono fedelmente la Legge, e «portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore». Si trattava dell’offerta dei primogeniti maschi, sia uomini che animali, a Yhwh, che nell’evento della liberazione dall’Egitto aveva risparmiato i primi nati degli Ebrei dalla furia dell’angelo distruttore. In un secondo momento la Legge ne previde il riscatto, mediante il pagamento di cinque sicli d’argento. Gesù però non viene riscattato con il pagamento di una somma di denaro, perché sarà Lui a redimere con la propria vita il popolo dal peccato; Egli in realtà viene presentato al Padre come già santo fin dalla nascita, adempiendosi così le parole dell’angelo a Maria: «colui che nascerà sarà santo».

A questo rito Luca aggiunge come concomitante quello della purificazione della donna dopo il parto, poiché nascita, morte, seme e ovulazione erano collegati ai riti di purificazione a motivo della loro sacralità; in realtà anche qui emerge il dato teologico del Signore che entra nel tempio e lo purifica con la sua presenza. La famiglia di Nàzaret mostra piena consonanza con le usanze religiose ebraiche; la vita della famiglia va infatti affidata a Dio, perché pensare di gestirla in maniera autodiretta significa consegnarla non alla armonica sapienza del Padre celeste, forte e al contempo tenera, quanto piuttosto alla contraddittoria pedagogia umana, spesso rigida e fragile insieme.

Che insegnamento grande per tanti genitori che non si lasciano neanche sfiorare dall’idea di condurre una vita familiare ispirata dall’ascolto della Parola e dalla sapienza di Dio! Di ascolto e sapienza sono intrise le parti successive del testo, che presentano le figure di Simeone e Anna. I due anziani possono facilmente essere assimilati ai nonni, che dovrebbero occupare in seno alla famiglia un ruolo insostituibile, e non solo per il fatto che oggi più che mai foraggiano con la loro pensione giovani nuclei familiari in difficoltà. I nonni hanno tempo per ascoltare a parlare mentre i giovani corrono, e Simeone, il cui nome significa “docile all’ascolto”, ha ascoltato dallo Spirito la promessa «che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore». I nonni attendono costantemente e con pazienza la visita di figli e nipoti, e Simeone, descritto da Luca come “aspettante” questo Figlio di Dio, vive persino gli ultimi anni, quelli del disincanto, senza mai perdere la speranza che si adempia la promessa di Dio.

La sua fede resiste al tempo che passa fino a quell’ultimo passo percorso “nello Spirito” verso il tempio, che gli permette di vedere la sua ragione di vita. La fedeltà di Dio e la fedeltà dell’uomo si incontrano in un abbraccio, e l’uomo che vede compiersi il senso della propria esistenza rivela una sapienza inaudita: Simeone non chiede più vita, non si attacca disperatamente all’esistenza fisica, attacca soltanto le braccia a quel bambino, pronto a perdere il frammento di vita che gli rimane nel tutto dell’Amore, riconosciuto come salvezza, luce, gloria. La novità di Gesù è profetizzata da Simeone nel presentare ulteriormente il bambino come inviato «per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione».

Cristo è venuto a svelare i pensieri contraddittori di molti cuori ostili al bene e, smascherandoli, a invitarli all’obbedienza alla verità. Questo comporterà la sua persecuzione fino al dono della vita, e anche la madre verrà associata sulla croce a questo sacrificio di salvezza, ricevendo l’annuncio profetico che il suo amore sarà reso fecondo dal dolore. Amore e dolore costellano anche la vita della profetessa Anna, rimasta vedova fin da giovane. Ella trova appoggio solo nell’amore di Dio, «servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere»: solo l’amore ti fa svegliare all’alba, ti fa andare a letto tardi, ti rende instancabile.

E lei amava, amava Dio e amava tutti coloro che Dio le faceva incontrare dentro il suo servizio. Amava ed era felice. Perché però un attimo prima si dice che «non si allontanava mai dal tempio» e subito dopo che era «sopraggiunta in quel momento»? Forse un grande monito per noi, per tutte le volte che ci sentiamo al sicuro, che pensiamo di aver raggiunto la maturità spirituale. Attenzione alla tentazione di rilassarci, perché anche Anna, che era una grande profetessa, innamorata di Dio, si è allontanata, anche solo per poco, forse un istante, ma in quell’istante è giunta la salvezza! Essere salvato significa proclamare Gesù il Signore del mio istante!

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Crescere e fortificarsi, colmarsi di sapienza e grazia davanti a Dio

A descriverci questo momento importantissimo della vita del Bambino Gesù è san Luca nel Vangelo di questa domenica che costituisce la base della nostra riflessione e il testo biblico di riferimento per capire questa festa, che si aggancia al Natale. La celebrazione eucaristica è, infatti, preceduta dalla benedizione delle candele e dalla processione.

Il sacerdote ricorda all'inizio del rito che da Natale sono passati quaranta giorni. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito - ci viene ricordato - che il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l'attendeva nella fede. Si fa poi riferimento ai personaggi coinvolti in questo rito. Infatti, "guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza".

Rivivendo la stessa esperienza dei santi Simeone e Anna, "anche noi qui riuniti dallo pirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell'attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria£.

Dopo questa monizione segue la benedizione delle candele, per cui questo giorno passa, da sempre, come la "Candelora", con tanti significati e detti popolari che essa porta in se.

Ma ritornando al testo del Vangelo è bene evidenziare, anche all'indomani della domenica della Parola di Dio, che abbiamo celebrato tutti la scorsa settimana, concentrarsi su quanto Luca scrive (...)Maria e Giuseppe sono due genitori attenti ed osservanti della legge mosaica e portano Gesù al Tempio di Gerusalemme per consacrarlo al Signore. Dio che si consacra a se stesso. Bella questa immagine di Gesù Bambino che viene portata da Maria e Giuseppe per essere consacrato: il consacrato e il consacrante coincidono perfettamente nella seconda persona della Santissima Trinità, Gesù Figlio di Dio, l'Unto del Padre ed inviato nel mondo per la salvezza del genere umano.

Cosa succede in quel solenne ingresso nel Tempio? Una cosa mai verificatasi prima: (...)Ecco il grande dono che ricevere questo uomo giusto e pio, Simeone, di prendere tra le braccia Gesù. Un desiderio che aspettava da una vita e che in quel momento si realizza pienamente. Il Messia, il Salvatore e lì, sta tra le sue braccia, un tenero bambino, in braccio ad un anziano sacerdote che officiava nel tempio. Quello che esce dal cuore e dalle labbra di questo santo vegliardo, Luca ce lo riporta integralmente, nella celebre preghiera del "Nunc dimittis", che Simeone alzando gli occhi e il Bambino al cielo pronuncia con l'impeto del cuore, colmo di gioia e pronto al passaggio all'eternità(...). La scena della presentazione del Signore non si esaurisce qui, va a spaziare oltre i confini di quel momento e si proietta già nel futuro di quel Bambino che il profeta Simeone indica come Salvatore. Simeone benedisse i genitori di Gesù (...) La spada di cui parla Simeone è la croce di Cristo, la sofferenza di quel Bambino che una madre dovrà accettare con lo stesso "si" detto a Dio nel momento dell'incarnazione di Gesù, nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo. La croce si apre davanti agli occhi di Maria, attraverso quelle parole che vanno direttamente al cuore di una mamma.Gioia e dolore camminano sempre insieme nella vita di ogni credente a partire da Gesù, per interessare la sua mamma ed arrivare fino a noi poveri esseri mortaliù

Il terzo atto di questo meraviglioso scorcio di paradiso in terra, è la narrazione che Luca fa della presenza della profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Una donna avanti negli anni, aveva 84 anni, ed aveva vissuto con il marito appena sette anni dopo il suo matrimonio, ma era poi rimasta vedova. Rimasta vedova e probabilmente senza figli, viveva praticamente nel Tempio, da cui non si allontanava mai... Donna di preghiera e di servizio liturgico viene anche lei premiata, in quanto ha la possibilità di partecipare al rito della presentazione di Gesù Bambino... Il saluto finale avviene con un altro atto di amore verso Gesù e verso quanti lo attendevano nel loro cuore...Da quel momento in poi sappiamo solo dal testo del Vangelo di Luca che "il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui".

Crescere e fortificarsi, colmarsi di sapienza e grazia è il messaggio finale che arriva a tutti i cristiani da questa celebrazione annuale e che riguarda in modo speciale i consacrati, i religiosi, le religiose e tutti i consacrati al mondo che, a vario titolo e con modalità diverse si sono votati totalmente a Dio, mediante la scelta dei consigli evangelici di povertà, castità ed obbedienza.

...

Omelia di padre Antonio Rungi

 

In questa festa della luce donami, o Signore, la fedeltà di Maria e la sua capacità di abbracciare la croce, la trasparenza della fede del vecchio Simeone e la capacità di parlare di te della profetessa Anna che ti offrì la sua vita nella lode e nel servizio. Aiuta oggi, o Signore, in modo particolare tutti i più anziani, rendili capaci di continuare a vivere in te, sapendo accettare con serenità il compiersi del tempo. Da’ a tutti la gioia della consapevolezza del cammino verso la Luce.

Don Pasqualino Catanese


La festa della Presentazione di Gesù al Tempio è accompagnata dal brano del vangelo che ne racconta la storia. L’attesa di Simeone non ci racconta semplicemente la vicenda di quest’uomo, ma ci racconta la struttura che alla base di ogni uomo e di ogni donna. È una struttura di attesa. Noi ci definiamo spesso in rapporto alle nostre attese. Noi siamo le nostre attese. E senza rendercene conto la sostanza vera di ogni nostra attesa è sempre Cristo. È lui il compimento vero di ciò che ci portiamo nel cuore. La cosa che forse dovremmo cercare di fare tutti è cercare Cristo ravvivando le nostre attese. Non è facile incontrare Cristo se non si hanno delle attese. Una vita che non ha attese è sempre una vita malata, una vita piena di peso e di senso di morte. La ricerca di Cristo coincide con la presa di coscienza forte di una rinascita di una grande attesa nel nostro cuore. Ma mai come nel Vangelo di oggi il tema della Luce è così ben espresso: “luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Luce che dissipa le tenebre. Luce che rivela il contenuto delle tenebre. Luce che riscatta le tenebre dalla dittatura della confusione e della paura. E tutto questo è ricapitolato in un bambino. Gesù ha un compito specifico dentro la nostra vita. Ha il compito di accendere luci lì dove ci sono solo tenebre. Perché solo quando chiamiamo per nome i nostri mali, i nostri peccati, le cose che ci spaventano, le cose su cui zoppichiamo, solo allora siamo abilitati a estirparli dalla nostra vita. Oggi è la festa della “luce accesa”. Oggi dobbiamo avere il coraggio di fermarci e di chiamare per nome tutto quello che è “contro” la nostra gioia, tutto quello che non ci permette di volare alto: rapporti sbagliati, abitudini distorte, paure sedimentate, insicurezze strutturate, bisogni inconfessati. Oggi non dobbiamo avere paura di questa luce, perché solo dopo questa salutare “denuncia” può iniziare dentro la nostra vita una “novità” che la teologia chiama salvezza.

Don Luigi Maria Epicoco

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE  2 FEBBRAIO 2021

tratto da www.lachiesa.it