1 dicembre 2019 - INIZIA L'ANNO LITURGICO A - I Domenica di Avvento: se ami sai vigilare e attendere

News del 30/11/2019 Torna all'elenco delle news

La sonnolenza del cuore rivela una povertà nell'amore. Svegliarsi dal sonno, essere desti, saper attendere, manifesta, al contrario, un desiderio di amore incontenibile. Fino a toglierci il sonno.

L'attesa è desiderio, e il desiderio è promessa di amore.

Avvento tempo di Dio, destinato all'attesa e alla vigilanza.

Difficilmente noi sappiamo attendere. Vogliamo cogliere il frutto subito. Un frutto maturo per gli occhi ma acerbo per il gusto.

L'ingordigia si tramuta in delusione. Un dono che poteva essere prezioso, ci lascia inappagati.

Saper attendere e vegliare è una beatitudine severa che prepara alla speranza e all'incontro di amore.

Chi non ha il coraggio di guardare la sua vita e di accogliere le domande più pressanti che la agitano, tiene chiusi gli occhi.

Non attende e non vigila per alimentare il desiderio che gli rivelerà il senso vero dell'esistenza. Sta mettendo uno schermo alla chiarezza che il Signore diffonde.

Le realtà più grandi, più preziose e più profonde, si percepiscono nell'attesa e nella vigilanza serena che sanno dare tempo alla crescita, finché il frutto non maturi.

Ma come si riscalda il desiderio?

Gettando via le opere delle tenebre e indossando le armi della Luce.

La tenebra dell'anima è un labirinto inestricabile: andiamo, ritorniamo, riproviamo. Non facciamo altro che contorcerci in noi stessi. Soltanto le armi della Luce ci fanno camminare come in pieno giorno.

Abbandonarsi al capriccio dell'istinto e alle risposte immediate falsamente appaganti; rimanere travolti da ogni impurità, dai litigi e dalle gelosie, significa immettersi in un tunnel asfissiante senza uscita.

La strada vera che ci porta verso il compimento del desiderio suscitato in noi dallo Spirito, consiste nel rivestirci del Signore Gesù Cristo. Gesù è la salvezza sempre più vicina.

Il grazia dell'Avvento, che inizia con un invito pressante a vegliare, è una chiamata a dare un'impronta totalmente diversa alla vita. Se viviamo nell'incoscienza, senza percepire il nostro tempo, la nostra storia, i drammi e le infedeltà del nostro cuore, ci troviamo senza accorgercene nel precipizio.

Noi possiamo mangiare, bere, divertirci, cercare soddisfazioni. Ma se perdiamo il senso della vita, la vita si svuota, la vita diventa un peso insopportabile che ci sovrasta, la vita diventa insignificante.

Gesù ci incalza, invitandoci a vegliare: perché non sappiamo quando il Signore verrà. Non sta insinuando la paura che toglie il gusto di esistere. Tutt'altro. Sta alimentando il desiderio, per sentirci innamorati di un Dio sposo, che viene per rivelare il suo amore misterioso e incomprensibile alla sposa.

E' straordinariamente appagante tenersi pronti perché viene il Figlio dell'uomo, quando meno lo immaginiamo. L'amore è fatto così. E' sempre una sorpresa.

Se ci smarriamo nei meandri della superficialità, non sperimentiamo l'amore, ma tocchiamo con mano una solitudine disperante e l'insoddisfazione inappagata del piacere. Non proviamo, tuttavia, il desiderio di chi ama.

La felicità dell'amore si manifesta nella prontezza del cuore. Si scopre nella tensione gioiosa della vigilanza. Si inizia a gustare nei momenti felici dell'attesa.

L'Avvento è questo tempo di gioia soave, dolce, pacata, misurata ma promettente. Una gioia che inizia ad albeggiare all'orizzonte, appena iniziamo a sentire il misterioso profumo del Signore che viene. L'avamposto dell'attesa è il Monte, il Tempio di Dio, dice Isaia. Il desiderio cresce camminando per i sentieri che portano alla sommità. Come faccio a vigilare e ad attendere con desiderio, se non mi fermo a contemplare l'incontemplabile? Se non do tempo, nella preghiera, al Signore viene? Noi sentiamo che Gesù è in noi. L'amore, tuttavia, ci chiede di sperimentare, giorno dopo giorno, l'ebbrezza del bisogno di Lui. Quando finalmente lo contempleremo il nostro cuore scoppierà di felicità, dopo aver vissuto la graduale e sicura pace del cuore raccontata da Isaia come trasformazione delle spade in aratri, delle lance in falci, dell'aggressività in accoglienza e amore. La Parola di Dio insistentemente ci invita. Ci sprona. Ci accompagna e ci dice: ?Venite camminiamo nella Luce del Signore?. A noi è affidata l'avventura di andare con gioia incontro al Dio-che-viene, come in un grande pellegrinaggio di fratelli che apprendono, lungo il viaggio, il linguaggio della pace, della fraternità, della comunione e del perdono.

Gesù, inizio questo tempo di attesa con un cuore stanco di attendere. La disillusione, davanti a tante delusioni, mi porta ad assumere un atteggiamento rassegnato. Chi devo attendere ancora? Forse Te, Gesù, che in molti momenti ho sperimentato lontano e assente? Forse gli altri che hanno le loro strade, difficilmente conciliabili con le mie? Strade che non si incontrano mai?

Eppure, Gesù, mi sento attratto dal bisogno di attendere la Tua venuta. Mi manchi, se io non ti aspetto.

Mi manca il tuo amore, se io amo le realtà vuote di ogni giorno. Mi manca la gioia del desiderio, se io non voglio nemmeno preoccuparmi di desiderare e preferisco rassegnarmi e lasciarmi vivere.

Gesù, ridesta in me la brama dell'attesa. Il desiderio assetato di Te. Il bisogno di saperti in cammino verso di me. L'incontro non sarà un fatto che avviene per caso. L'incontro sarà l'esito della vigilanza ritrovata.

Gesù, non te l'ho mai detto, ma tanta stanchezza del cuore, il vuoto inspiegabile del cuore, trovano appagamento nel sonno. In questa fuga dall'esistenza, dolorosa ma comoda; debole ma capace di togliermi le responsabilità.

Gesù, Tu sai quante volte vorrei proprio dormire, soltanto dormire per scappare, per non affrontare le difficoltà, per non entrare nella barca della salvezza che mi porta verso di Te?

In certi momenti mi sento talmente stanco, che rifiuto il salvagente e preferisco sprofondare nel mare, inghiottito dal nulla.

Gesù, non ti sto dicendo cose che Tu non sai già. Tu le conosci tutte e fino in fondo.

Scuotimi dall'apatia. Rivestimi dei tuoi abiti di Luce. Rivestimi di Te.

Più che un disperato, vorrei sentirmi una sposa morsa dall'inquietudine per l'attesa dello Sposo. In alcuni momenti della mia esperienza umana, ho toccato con mano questa gioia. Voglio riviverla Gesù. Io sono sveglio e in attesa. Ti lascio la porta aperta. Quando Tu vieni entra. Ho bisogno di incontrarti. Ho bisogno di amarti. Ho bisogno di dare senso a un amore che rispecchi il Tuo amore.

Gesù, l'uscio di casa è aperto: vieni! Te lo ripeterò fino a importunare il tuo cuore. Te lo dirò fino al giorno in cui non sarò esaudito.

Vieni Gesù. Nella mia solitudine muoio.

Vieni Gesù. Trasforma la mia solitudine in desiderio.

Vieni. Ti desidero Gesù.

Ti desidero fino a provare smarrimento, se non Ti vedo comparire al mio orizzonte.

Ti desidero ancora di più quando non ci sei.

Ti desidero perché, anche se non ci sei, verrai. E' una certezza. Questo bramo con tutto me stesso: che il mio desiderio diventi certezza. Diventi riconoscimento di Te per il Tuo profumo. Diventi riconoscimento di Te per il Tuo abbraccio. Diventi riconoscimento di Te per il Tuo perdono. Non desidero altro.

Voglio camminare accompagnato da Te, in ogni momento. Anche quando mi fermo, anche quando sbaglio, anche quando ti insulto.

Voglio camminare accompagnato da Te che sei lo Sposo, l'Amato del mio cuore.

Omelia di don Mario Simula

 

L'Avvento è attesa: questo mondo ne porta un altro nel suo grembo

Al tempo di Noè gli uomini mangiavano e bevevano... e non si accorsero di nulla. Non si accorsero che quel mondo era finito. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «il vizio supremo della nostra epoca» (R. Panikkar). L'Avvento che inizia è invece un tempo per accorgerci. Per vivere con attenzione, rendendo profondo ogni momento.

L'immagine conduttrice è Miriam di Nazaret nell'attesa del parto, incinta di Dio, gravida di luce. Attendere, infinito del verbo amare. Le donne, le madri, sanno nel loro corpo che cosa è l'attesa, la conoscono dall'interno. Avvento è vita che nasce, dice che questo mondo porta un altro mondo nel grembo; tempo per accorgerci, come madri in attesa, che germogli di vita crescono e si arrampicano in noi. Tempo per guardare in alto e più lontano. Anch'io vivo giorni come quelli di Noè, quando neppure mi accorgo di chi mi sfiora in casa e magari ha gli occhi gonfi, di chi mi rivolge la parola; di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pianeta depredato, di un altro kamikaze a Bagdad.

È possibile vivere senza accorgersi dei volti. Ed è questo il diluvio! Vivere senza volti: volti di popoli in guerra; di bambini vittime di violenza, di fame, di abusi, di abbandono; volti di donne violate, comprate, vendute; volti di esiliati, di profughi, di migranti in cerca di sopravvivenza e dignità; volti di carcerati nelle infinite carceri del mondo, di ammalati, di lavoratori precari, senza garanzia e speranza, derubati del loro futuro; è possibile, come allora, mangiare e bere e non accorgersi di nulla. I giorni di Noè sono i miei, quando dimentico che il segreto della mia vita è oltre me, placo la fame di cielo con larghe sorsate di terra, e non so più sognare.

Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro... Mi ha sempre inquietato l'immagine del Signore descritto come un ladro di notte. Cerco di capire meglio: perché so che Dio non è ladro di vita. Solo pensarlo mi sembra una bestemmia. Dio viene, ma non è la morte il suo momento. Verrà, già viene, nell'ora che non immagini, cioè adesso, e ti sorprende là dove non lo aspetti, nell'abbraccio di un amico, in un bimbo che nasce, in una illuminazione improvvisa, in un brivido di gioia che ti coglie e non sai perché. È un ladro ben strano: è incremento d'umano, accrescimento di umanità, intensificazione di vita, Natale.

Tenetevi pronti perché nell'ora che non immaginate viene il Figlio dell'Uomo. Tenersi pronti non per evitare, ma per non mancare l'incontro, per non sbagliare l'appuntamento con un Dio che viene non come rapina ma come dono, come Incarnazione, «tenerezza di Dio caduta sulla terra come un bacio» (Benedetto Calati).

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Avvento, dalla mancanza di visione alla visione di Dio

«Viene il Figlio dell’uomo». L’annuncio del ritorno di Cristo può suonare come una minaccia o come una speranza, o più spesso come una parola vuota. Da cosa dipende? Da come hai impostato la vita, dal posto che hai riservato a Gesù all’interno della tua visione.

Papa Francesco ha parlato già da cardinale di ‘visione’ e ancor di più di ‘mancanza di visione’: è l’esaltazione del «presente come unica dimensione del tempo, che pone l’occupazione di spazi come fine ultimo dell’attività politica, sociale ed economica». Se la vita si risolve nel presente, è la conclusione dell’esistenza, non la prospettiva di un oltre a determinare il modo di vivere; sicché io cercherò di succhiare il più possibile la linfa della vita attraverso esperienze e godimenti molteplici, pensando che la mia pienezza consista nel soddisfare sempre più bisogni; in quest’ottica, ogni fallimento sarà visto come motivo di frustrazione insopportabile. Se invece la vita è un tratteggiare un’opera meravigliosa che Dio ispira, di volta in volta completa e alla fine renderà perfetta, essendo l’eternità il rivestimento ultimo che l’Amore pone a quanto realizzato in comunione col Signore, anche i tentativi umani falliti, ma concepiti in buona fede, si trasformeranno nell’attesa fiduciosa dell’intervento benefico di Dio. Nel primo caso l’uomo sceglie di vivere da solo e attribuisce a sé meriti e insuccessi; nel secondo fa tutto con Dio, e l’esperienza ci dice che nella vita ha valore duraturo soltanto ciò che facciamo con Gesù, mentre quanto fatto indipendentemente da Lui finisce nel nulla. L’inizio di un nuovo anno liturgico può costituire dunque un ripensamento della nostra visione, dalla mancanza di essa al desiderio un giorno della visione del Figlio dell’uomo, che ci introdurrà nel regno d’amore eterno. La generazione del diluvio era schiacciata su un presente materialistico; quando è così, l’amore non trova spazio perché ha bisogno di un respiro ampio. Mangiare e accoppiarsi, le funzioni vitali dell’uomo, «come nei giorni che precedettero il diluvio», possono rimanere operazioni puramente naturali o diventare il veicolo dell’amore che vuole «avviare processi», altra espressione tipica del Pontefice, ossia generare relazioni e opere che abbiano la forza del seme che cresce e dà frutto duraturo. Se c’è un’intenzionalità di amore in tutto ciò che faccio, neanche la morte può sorprendermi; se sto con Gesù, vivrò sulla mia pelle che persino la morte si arrende a Lui. Noi sperimentiamo già da questa terra la vittoria dell’amore sulla morte quando ci sacrifichiamo per amore di qualcuno, fino all’offerta totale della vita: una mamma che antepone alla propria esistenza quella del figlio che porta in grembo, in realtà non muore, dà la vita. La storia di Noè dovrebbe esserci maestra e succederà anche a noi: pur nell’uguaglianza delle occupazioni, «uno verrà portato via e l’altro lasciato», uno sarà coinvolto nel disegno di salvezza e l’altro rimarrà fuori, a seconda di come conduce la vita, della dedizione alla volontà di Dio in ogni cosa compiuta. Il linguaggio apocalittico non vuole terrorizzarci ma svegliare dal torpore chi ritiene di poter rimandare l’unica cosa che conta, l’amare, e in tal modo ci aiuta a dare ad ogni istante della vita un contenuto di amore. Ovviamente ciò richiede un grande impegno e l’immagine successiva del macinare la mola può ben rendere l’idea di un lavoro che deve essere generativo di vita evangelica. Se è vero che in Esodo e in Isaia la rappresentazione della donna che macina è usata per descrivere il giudizio punitivo di Dio che si abbatte su un’attività familiare ed essenziale in quanto ordinata al nutrimento, tanto più che è compiuta da una donna, responsabile del sostentamento della casa, è bello cogliere nella medesima immagine un residuo di speranza: il grano è l’elemento materiale dell’Eucaristia, quasi a dire anche qui che chi pone gesti eucaristici, donando se stesso, non muore mai. L’ultima metafora è quella del padrone di casa che conosce l’ora del ladro e non si lascia derubare. Noi conosciamo ‘l’ora’ del Figlio: è quella presente, è ogni ora; per questo non saremo sorpresi dal suo passaggio ultimo o penultimo nella nostra vita. Il richiamo alla vigilanza è l’appello forte che il vangelo ci rivolge. Se sei vigile, puoi dire fin da adesso di vedere l’invisibile, puoi tracciare linee di speranza, perché diventi la sentinella che annuncia a tutti il tempo della liberazione ormai alle porte. «Viene il Figlio dell’uomo», per rivelarci il Padre, per ricordarci che siamo figli.

Omelia di don Tonino Sgrò (tratta da www.reggiobova.it)

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA I DOMENICA DI AVVENTO (ANNOA) 1 DICEMBRE 2019

tratta da www.lachiesa.it