24 novembre 2019 - Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo: nella Croce la regalità di Cristo e il suo amore per noi

News del 23/11/2019 Torna all'elenco delle news

E' questa l'ultima domenica dell'anno liturgico 2018-2019, la XXXIV del tempo ordinario (Ciclo C) e come tale è una domenica di sintesi del cammino fatto e di riflessione sulla solennità odierna di Cristo Re dell'universo.

Nel brano del Vangelo, la regalità di Cristo è incentrata sul Golgota e nella Passione e Morte del Signore.

L'evangelista Luca nel racconto della passione di Cristo, si concentra proprio sulla sua regalità, riportando non solo le espressioni della gente che era presente sul Golgota, ma anche su quella sintetica iscrizione fissata sul capo del condannato, in cui la motivazione era indicata nella sentenza: «Costui è il re dei Giudei».

Una regalità che diventa misericordia, perdono e riconciliazione per tutti, in quanto Gesù morto in croce, non è solo l'innocente per eccellenza, ma è il Figlio di Dio che si dona al Padre, in riscatto di tutti i nostri peccati e quelli del mondo intero. Ecco perché l'evangelista Luca, continua il suo racconto della morte in croce di Gesù con il dialogo che intercorre tra i due malfattori, crocifissi insieme a Gesù sul Golgota. Uno lo insultava, l'altro gli chiedeva misericordia e perdono.

Al primo Gesù non replica, non risponde, gli concede il tempo necessario per la conversione, per il ripensamento e per il pentimento, essendo, ormai, alla fine della sua problematica esistenza, fatta di devianza nel comportamento.

All'altro, a colui che si è pentito, Gesù risponde con la tenerezza del cuore di un Dio misericordioso, che proprio mentre sta per morire dice parole consolanti per quanti credono nell'eternità e nella misericordia infinita di Dio: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

La regalità di Cristo consiste nell'assicurare a ciascuno di noi un posto nel suo regno, Un regno non di questa terra, ma quello del cielo.

Per la conquista di questo regno, già su questa terra, bisogna lottare e soffrire, come hanno fatto tanti martiri della storia del cristianesimo. Avendo lo sguardo fisso in Gesù, che "sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull'altare della Croce, operò il mistero dell'umana redenzione", noi possiamo camminare verso la gioia eterna di questo Regno di Cristo, in poche parole verso il paradiso, al quale tutti aspiriamo di giungere, dopo aver contribuito ad estendere il suo regno quaggiù, che Gesù stesso è venuto ad instaurare ed inaugurare, nel quale si affermi la giustizia, la pace, la carità, la verità, l'amore, la vita, la grazia, la santità.

Si tratta di camminare nella valle di lacrime, portando gioia e speranza, amore e carità, come abbiamo fatto nel corso di questo anno liturgico, riflettendo sulla parola di Dio e soprattutto mettendola in pratica.

E' un cammino di amore quello che facciamo con la celebrazione e lo svolgimento dell'anno liturgico, che è una vera miniera di grazia e benedizione per quanti vogliono seriamente pensare alla salvezza della propria anima, che, poi, è la cosa più importante della nostra vita, rispetto a quanti si affaticano per conquistare altri beni, che non hanno valenza davanti al Re dei cieli.

La figura di Cristo Re è anticipata da quella di Re Davide nell'Antico Testamento di cui ci parla la prima lettura di questa domenica, tratta dal secondi libro di Samuele, nel quale è raccontato il momento in cui Davide viene consacrato Re con la prassi dell'unzione, affidando a lui la guida di Israele. Davide prefigura di Cristo certamente non fu come Cristo, Lui un Re umano e sanguinario, Cristo un Re che ha versato il sangue per l'umanità e ha salvati tutti con la sua morte in croce. L'identità di Cristo, vero re, vittorioso e glorioso è tracciata dal brano della lettera di San Paolo apostolo ai Colossési, seconda lettura di oggi. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio,, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose?.

Identificato il Cristo nella sua natura è poi messa in evidenza la sua missione: È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Il sangue della croce di Cristo, la sua passione e morte sono l'opera mirabile dell'amore di Dio per noi. E con tutta la chiesa che oggi celebra questa festa di un Re speciale ed unico, servo per amore ci rivolgiamo a Dio con questa preghiera:

Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell'universo, fa' che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, ti serva e ti lodi senza fine e fa' che tutti noi camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Amen

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Le porte del cielo spalancate per noi

Sta morendo, posto in alto, nudo nel vento, e lo deridono tutti: guardatelo, il re! I più scandalizzati sono i devoti osservanti: ma quale Dio è il tuo, un Dio sconfitto che ti lascia finire così? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! E per bocca di uno dei crocifissi, con una prepotenza aggressiva, ritorna anche la sfida del diavolo nel deserto: se tu sei il figlio di Dio... (Lc 4,3). La tentazione che il malfattore introduce è ancora più potente: se sei il Cristo, salva te stesso e noi. È la sfida, alta e definitiva, su quale Messia essere; ancora più insidiosa, ora che si aggiungono sconfitta, vergogna, strazio.

Fino all'ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere secondo le attese di Israele, o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22,26); se il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza mite e indomita. C'è un secondo crocifisso però, un assassino ?misericordioso?, che prova un moto compassione per il compagno di pena, e vorrebbe difenderlo in quella bolgia, pur nella sua impotenza di inchiodato alla morte, e vorrebbe proteggerlo: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio che naviga in questo fiume di lacrime. Che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Che mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l'amato. Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene.

E Gesù lo conferma fino alla fine, perdona i crocifissori, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto e che prima si era preoccupato di lui, instaurando tra i patiboli, sull'orlo della morte, un momento sublime di comunione.

E il ladro misericordioso capisce e si aggrappa alla misericordia: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Gesù non solo si ricorderà, ma lo porterà via con sé, se lo caricherà sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l'ultimo tratto di strada verso casa. Oggi sarai con me in paradiso: la salvezza è un regalo, non un merito.

E se il primo che entra in paradiso è quest'uomo dalla vita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d'amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Il dolore conduce al Paradiso

Ciascuno di noi vorrebbe ‘salvarsi’, scampare il pericolo, sentirsi al sicuro. Siamo consapevoli che spesso questo non dipende da noi, ma sapere che qualcuno lo sta facendo a nostro vantaggio ed essere persuasi che un intervento di tal genere produrrà un effetto benefico, rende sopportabile il dramma di un momento di prova. Quando invece non si intravedono soluzioni soddisfacenti, ci si sente persi, abbandonati anche da Dio.

Questa comune percezione vale per sé ma si tende a proiettarla sugli altri, ed è quanto fanno i capi del popolo, i soldati e uno dei malfattori nei confronti di Gesù. Perché «il Cristo di Dio» non pone in essere la cosa più ovvia? Per quale assurdo motivo non salva se stesso e ciascuno di noi da una sorte atroce? E per di più è innocente! È proprio questo lo scandalo di sempre, l’imperversare della sofferenza innocente che stride con l’idea di un Dio buono e dalla parte dei giusti. Eppure Colui che patisce rimane «l’eletto»; la sua e nostra morte non cancella l’elezione che il Padre conferisce a ciascun figlio, qualunque sia la risposta a tale predilezione divina, l’amore perfetto di Gesù o il peccato degli uomini. La sfida più alta per la nostra fede è infatti credere che il Dio dell’alleanza è ancora il Dio con noi quando la terra promessa è diventata un deserto per il corpo e l’anima. «Il popolo stava a vedere»: è dentro questo spazio di contemplazione che si decide se vivere da arrabbiati o da affidati, se fare della propria esistenza un lamento, più o meno giustificato ma sterile, o un cammino di ricerca del messaggio nascosto dentro ogni sofferenza. Se non si guarda a fondo il dolore non si potranno mai scorgere in esso i segni della presenza di Dio, che ha scelto di abitare il dolore e ne ha fatto una delle esperienze umane che più di altre permettono di incontrare il divino. Tuttavia molti cercano evasioni, scappatoie, non hanno la pazienza di aspettare che la sofferenza dispieghi tutta la bellezza di consolazione e di verità di cui è portatrice e tendono a prendersi con smania tutto ciò che possono prima che sia troppo tardi. Il risultato di tale fuga dalla realtà è purtroppo aggiungere frustrazione a frustrazione, perché non si è fatta l’unica cosa necessaria, abbandonarsi all’amore di Dio. Gesù invece nel suo cammino verso Gerusalemme non ha mai smesso di guardare e toccare il dolore e adesso è pronto a viverlo. Spesso, quando stiamo male, diciamo: ‘guardiamo a chi sta peggio’; ogni patimento altrui che scegliamo di condividere nella preghiera e nel servizio diventa una finestra che apriamo sulla nostra anima, una scuola di fede di carità che ci abiliterà un giorno a diventare ‘guaritori feriti’, gente che mentre porta nella propria carne i segni della morte, canta l’attesa di una risurrezione in cui crede fermamente. E mentre si entra sempre più profondamente in questo mistero pasquale vivente, ci si accorge che il poter testimoniare la fiducia nel Dio che fascia le ferite è già esperienza di vittoria sulla morte, splendore di una qualità di vita più alta. La vera sfida, tutta umana ma sostenuta dalla grazia, è accettare in certi dolori un modo di vivere tutto diverso. Pensiamo a chi si trova ridotto improvvisamente in carrozzina o ai casi più gravi di malati di SLA il cui unico contatto col mondo è il movimento degli occhi. Manca il fiato anche solo a menzionare certe malattie, eppure esistono! E se esistono sono vita e amore! Non crederei mai a un Dio che nega la possibilità di essere felice al più martoriato dei suoi figli! Signore, facci capire come si può essere felici quando il desiderio di morire potrebbe superare quello di vivere! «I soldati lo deridevano… uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava»: derisione e insulto sono gli ultimi attentati alla felicità di un uomo che soffre, perché la cattiveria gratuita di chi non capisce il tuo dolore vorrebbe farti credere che Dio si è dimenticato di te. il ‘buon ladrone’ chiede invece di essere ricordato: è l’estremo o forse l’unico tentativo di uno che ha sbagliato tanto nella vita di non vanificare il poco di bene che ha fatto, di dare un senso alla sofferenza. Chiama «Gesù» il suo compagno, fratello nel dolore, come l’amico che si rivolge all’amico. Noi vogliamo che almeno un amico non si dimentichi di noi, che sappia che quel dolore ci costa e ha un valore. E Gesù non si dimentica, parla con autorità, «in verità», l’unica cosa che serve nella sofferenza, e annuncia il dono più grande che l’uomo avrebbe mai potuto aspettarsi: il dolore conduce al Paradiso. In questo è Re.

Omelia di don Tonino Sgrò (tratta da www.reggiobova.it)

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA SOLENNITA' DI CRISTO RE (ANNO C) 24 NOVEMBRE 2019 

tratto da www.lachiesa.it