17 novembre 2019 - XXXIII Domenica del T.O.: con la vostra perseveranza salverete la vostra vita

News del 16/11/2019 Torna all'elenco delle news

Ci avviamo verso la conclusione dell'anno liturgico e la parola di Dio di questa domenica XXXIII ci invita a riflettere sull'eternità e sul secondo e definitivo avvento di Cristo sulla terra, per giudicare i vivi e i morti.

Il genere letterario adottato per rendere più comprensibile ciò che la teologia ci dice è quello tratto dalla Sacra scrittura, dai cosiddetti testi apocalittici, che riguardano le ultime cose e che hanno a che fare, nel modo di riflettere umano, con la fine del mondo.

Proprio in Vangelo di questa domenica tratto da San Luca, Vangelo che ci ha accompagnato, nelle domeniche, per tutto l'anno del Ciclo C, ci viene ricordato quanto Gesù disse a quanti, al suo tempo e alla sua presenza, parlavano della grandezza e della bellezza del tempio di Gerusalemme, elevato a icona di eternità, ornato, come era, di pietre preziose e di doni votivi, che tutto questo avrebbe avuto un termine, sarebbe stato distrutto, in quanto non è di natura eterno, ma temporale.

Infatti Gesù con parole forti e per certi versi angoscianti afferma che «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

Un annuncio di sventura, di una catastrofe, di un qualcosa di irreparabile?

Assolutamente no. Al contrario un annuncio di speranza e di risurrezione finale che passa attraverso la perseveranza della fede e del coraggio dei martiri. Nei versetti successivi parla delle persecuzioni contro i cristiani: ?metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome?.

Una persecuzione che si è verificata al tempo di Gesù e che è ancora in atto, dopo duemila anni, in varie parti del mondo, ove i cristiani sono perseguitati e messi a morte.

Gesù nel brano del Vangelo rammenta che simili esperienze saranno occasioni propizie per dare testimonianza di autentica fede. Nello stesso tempo, di fronte alle accuse dei tribunali umani, raccomanda di affidarsi totalmente ai suggerimenti dello Spirito Santo che illuminerà la loro mente per controbattere le forze del male e dell'odio verso la religione cristiana: ?Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere?.

Continua Gesù nel brano del Vangelo a preparare il cuore e la mente dei sui discepoli, anticipando ciò che avverrà e che di fatto avvenne ed avviene ancora oggi, sotto tutti i cieli e sotto tutte le stelle, in tutte le fedi e in tutte le nazioni della terra: ?Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome?.

Tuttavia, un grande spiraglio di speranza e di serenità, si apre nel discorso apocalittico di Gesù, quando assicura a tutti i suoi amici che ?nemmeno un capello del loro capo andrà perduto?.

Il discorso di Gesù si amplia poi alle nazioni e diventa globalizzante, nel senso che anticipa quella che è la storia di guerre e violenze che ha caratterizzato e caratterizza l'umanità da sempre, ma anche le tragedie e gli sconvolgimenti conseguenti a fenomeni naturali. Infatti, preannuncia che «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo?.

Di fronte a questi annunci di distruzioni, di guerra e di ogni altro motivo di forte preoccupazione soggettiva e collettiva, chi interloquiva con Gesù gli domanda: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?».

Gesù non dice oggi, domani o fra dieci anni, o con data fissa, magari facendo profezie o elaborando quelle già fatte in merito, ma risponde semplicemente con queste parole: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ?Sono io?, e: ?Il tempo è vicino?.

Gesù mette in guardia i suoi discepoli a non andare dietro a quanti si presentano come messia o profeti di sventura o sciagura; ma fa il punto della situazione di ciò che di fatto era già successo prima della sua venuta, e che era in atto in quel tempo e che egli prevedeva per il futuro: "Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine".

Tutto il suo ragionare è finalizzato alla perseveranza cristiana, alla testimonianza della fede e alla preparazione del proprio cuore ad incontrare Cristo, nella gloria, in qualsiasi istante della propria vita, negli avvenimenti lieti o tristi della storia dell'umanità.

Infatti chiude il suo discorso apocalittico con questa esortazione finale: "Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita".

In poche parole Cristo ci invita a dare spazio e peso nella nostra vita terrena, che a volte segnata da fatti drammatici, a ciò che conta per la salvezza finale, quella appunto eterna, oltre il tempo presente ed oltre la storia dello stesso universo.

Per cui dà grande consolazione e speranza -ha detto Papa Francesco - ascoltare questa parola semplice e chiara di Gesù sulla vita oltre la morte; ne abbiamo tanto bisogno specialmente nel nostro tempo, così ricco di conoscenze sull'universo ma così povero di sapienza sulla vita eterna?

In questo discernimento del vero senso della nostra vita e della storia dell'universo, ci sostiene la parola di Papa Francesco: ?la vita sussiste dove c'è legame, comunione, fratellanza; ed è una vita più forte della morte quando è costruita su relazioni vere e legami di fedeltà. Al contrario, non c'è vita dove si ha la pretesa di appartenere solo a sé stessi e di vivere come isole: in questi atteggiamenti prevale la morte. È l'egoismo. Se io vivo per me stesso, sto seminando morte nel mio cuore. La fine del mondo è ormai arrivata nel mio cuore e nella mia vita. Solo una profonda conversione del cuore può ridare gioia e speranza a chi è morto dentro e distrugge con il suo egoismo anche gli altri.

Ci mette in allarme su questo versante la prima lettura di questa domenica, tratta dal profeta Malachia, in riferimento al giudizio universale: ?Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà - dice il Signore degli eserciti - fino a non lasciar loro né radice né germoglio?. Diversa sorte è prevista per i buoni e retti di cuore: ?Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia?.

Da parte sua nella seconda lettera ai Tessalonicési, San Paolo che per conquistare i beni della terra, che ci permettono di vivere dignitosamente e soprattutto i beni celesti, bisogna lavorare sodo, senza risparmiarsi o contare sui sacrifici degli altri. Parlando di se stesso, l'Apostolo scrive è rimasto ozioso in mezzo a loro, né ha mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma ha lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di loro. Paolo assumere come regola fondamentale di ogni vita umana, degna di essere definita tale, che ?chi non vuole lavorare, neppure mangi?.

L'Apostolo poi fa uno screening della situazione lavorativa, sociale ed economica del suo tempo: "Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione? Quale migliore monito e raccomandazione per tutti costoro? Paolo ordina ed obbliga a quanti agiscono così di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità. Sarebbe bellissimo soprattutto per i giovani, i papà e mamme di famiglia poter lavorare e portare a casa con dignità il pane per i figli. Non sempre è possibile. Anzi, diventa sempre più problematico trovare un lavoro dignitoso e redditizio per programmare una vita familiare e sistemarsi per non pesare sui familiari o su altri. E' pur vero che molti hanno opportunità ed occasione di lavorare, ma non sanno accontentarsi. Cercano lavori nobili e che rendono. Paolo Apostolo si è accontentato di fare lavori dignitosi per vivere onestamente e non pesare su alcuno. Potremmo dire oggi, a nome di quanti non hanno avuto tale possibilità, beato lui che ha avuto queste opportunità e si è saputo accontentare. Preghiamo, tuttavia per quanti vanno in cerca di un lavoro soprattutto tra i giovani e i disoccupati storici e lo facciamo con la preghiera della colletta di questa XXXIII domenica del tempo ordinario, penultima dell'anno liturgico:

O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l'umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa' che attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita.

Omelia di padre Antonio Rungi (Un ritiro permanente di perseveranza cristiana)

 

Neppure un capello si perderà nel nulla

Dov'è la buona notizia su Dio e sull'uomo in questo Vangelo di catastrofi, in questo balenare di spade e di pianeti che cadono?

Se ascoltiamo con attenzione, ci accorgiamo però di un ritmo profondo: ad ogni immagine della fine si sovrappone il germoglio della speranza. Lc 21,9: quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, non è la fine; ai vv.16-17: sarete imprigionati, traditi, uccideranno alcuni, sarete odiati, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; e ancora ai vv.25-28: vi saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle, e sulla terra angoscia e paura: ma voi risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura, dove tutto cambia, un tornante che apre l'orizzonte, la breccia della speranza: non vi spaventate, non è la fine; neanche un capello...; risollevatevi....

Al di là di profeti ingannatori, al di là di guerre e tradimenti, anche quando l'odio dovesse dilagare dovunque, ecco quella espressione struggente: Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; raddoppiata da Matteo 10,30: i capelli del vostro capo sono tutti contati, non abbiate paura. Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra. Non c'è nessuna cosa che sia eterna. Ma l'uomo sì, è eterno. Si spegneranno le stelle prima che tu ti spenga. Saranno distrutte le pietre, ma tu ancora sarai al sicuro nel palmo della mano di Dio. Non resterà pietra su pietra delle nostre magnifiche costruzioni, ma l'uomo resterà, frammento su frammento, e nemmeno un capello andrà perduto; l'uomo resterà, nella sua interezza, dettaglio su dettaglio. Perché Dio come un innamorato ha cura di ogni dettaglio del suo amato.

Ciò che deve restare scolpito nel cuore è l'ultima riga del Vangelo: risollevatevi, alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, occhi liberi e luminosi: così vede noi discepoli il Vangelo. Sollevate il capo, guardate oltre: la realtà non è solo questo che si vede, viene un Liberatore, esperto di vita. Il Signore che è «delle cose l'attesa e il gemito, che viene e vive nel cuore dell'uomo» (Turoldo), sta alla porta, è qui, con le mani impigliate nel folto della vita, porta luce nel cuore dell'universo, porta il dono del coraggio, che è la virtù degli inizi e del primo passo; porta il dono della pazienza, che è la virtù di vivere l'incompiuto in noi e nel mondo.

Cadono molti punti di riferimento, nel mondo, ma si annunciano anche sentori di primavera. Questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Ogni giorno c'è un mondo che muore, ma ogni giorno c'è anche un mondo che nasce.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Dio risponde con promesse

«Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre… non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Mentre sto meditando questa Parola, che dona gaudio spirituale all’anima, apprendo la notizia di un prete ucciso dall’Isis in Siria. E penso che mai come oggi la Parola di Gesù dice la verità sulla storia umana, ne preannuncia apertamente il susseguirsi di eventi drammatici ma soprattutto ne svela la portata salvifica. È paradossale ma è così: c’è una promessa di salvezza dietro il sopraggiungimento «di guerre e di rivoluzioni… carestie e pestilenze», perché Cristo è il Signore della storia e non permetterà che «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto».

Abbiamo bisogno di consolazione e tenerezza sempre, ma in particolar modo quando il peso della vita si fa più gravoso e avvertiamo che le cose più belle, a cui abbiamo legato tanta parte delle nostra dimensione affettiva, si stiano deteriorando e vadano perdute per sempre. I primi lettori di Luca hanno già assistito alla distruzione del tempio e comprendono bene lo spessore profetico del detto di Gesù; pertanto l’interrogativo «quando accadranno queste cose» è ormai superato dall’evidenza dei fatti, e questo rivela una costante della storia umana: il male giunge, anche prima del previsto, talvolta peggio del previsto. Tuttavia Gesù sposta l’attenzione dal ‘quando’ al ‘come’ e consegna al discepolo una serie di raccomandazioni per non soccombere. Anzitutto l’esortazione a non lasciarsi ingannare da coloro che si presentano come depositari della verità, quasi usurpando il ruolo di Cristo, l’unico che può dire «Sono io», e spacciandosi come interpreti degli eventi futuri. Costoro non vanno seguiti; il discepolo segue solo il Maestro divino e con la stessa determinazione non indugia nella via dei falsi maestri. Ancora, «non vi terrorizzate» dinanzi all’imperversare della violenza, perché la paura può generare altra violenza, mentre il saldo ancoraggio alla Parola permette di discernere anche nelle più cupe manifestazioni di odio un residuo di speranza da cui ripartire. Il linguaggio di Gesù assume una coloritura più intensamente apocalittica menzionando «fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo». È vero che prima del ritorno di Cristo accadranno nella storia umana, più che nel cosmo, eventi terribili che faranno saltare i punti di riferimento e potranno mettere in discussione tutto ciò in cui uno ha creduto, ma questa sarà come la gestazione che prepara il parto, la crescita del regno di Dio che viene nella storia personale di ogni uomo, chiamato ad uno sguardo più ampio sulla propria vita, da inscrivere dentro una storia incamminata verso la pienezza. Se tutto procede verso il fine voluto da Dio, il cui piano di salvezza non è distrutto neanche da tragedie che sembrano negarlo, il contributo specifico che il discepolo può dare alla crescita del Regno è la perseveranza nelle persecuzioni «a causa del mio nome». La prova più grande per il credente è sperimentare nella propria carne come l’adesione a Cristo non dà una sorte facile, ma provoca contrasti col mondo e con se stessi, incomprensioni e fatiche, addirittura morte e abbandono. Come evitare in questi casi una via di fuga quasi naturale, il rifugio in qualche piccola soddisfazione sensibile, l’amara sensazione che l’amore è sempre in perdita? Gesù spiega chiaramente che ciò diventa «occasione di dare testimonianza» della propria fede. È quello che volevamo sentirci dire da sempre! Ha un senso il dolore, il fallimento, la mancata gioia che a volte si sperimenta nella comunità cristiana e persino i tradimenti subiti! In questi casi, continuare a credere è come ingrossare le acque sotterranee di un paese; la testimonianza non sempre è riconosciuta ma esiste e al momento opportuno può scaturire dal pozzo di un ricordo o di un incontro e dissetare chissà quanta gente. Occorre però «non preparare prima la vostra difesa», come fa il mondo, prevenuto e guardingo; bisogna rifuggire dai metodi degli avversari del vangelo i quali, presto o tardi, verranno messi a tacere dalla forza dell’amore che non è mai perso quando si perde nell’abbandono confidente in Dio. Dobbiamo piuttosto perdere alla svelta le cose che non contano. Perseveranza è stare sotto, sottomettersi all’amore di Dio per poter così sorreggere il peso degli eventi. E quanto è bello portare gli uni i pesi degli altri: è il segno di una comunità incamminata verso il Padre. Se invece non diamo questa direzione alla vita, anche il più piccolo dolore può diventare insopportabile.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) 17 NOVEMBRE 2019

tratto da www.lachiesa.it