11 febbraio 2018 - VI Domenica del TO: Lasciarsi toccare per imparare a toccare

News del 10/02/2018 Torna all'elenco delle news

Un volto sfigurato, delle vesti strappate, un grido angosciato che mescola paura a speranza: ?Se vuoi, puoi sanarmi!'. L'incontro con il lebbroso, per Gesù, è preludio della Sua passione. Nell'uomo drammaticamente ferito nel corpo e nello spirito, straziato dal male che segrega e deforma l'immagine di sé, Dio riconosce il proprio figlio bisognoso del Suo grembo misericordioso.

Oggi la Parola riassume in appena 6 versetti tutto il mistero della redenzione. Ascoltando la voce dell'umanità oppressa, come un tempo nei campi di lavoro d'Egitto, l'orecchio e il cuore di Dio si struggono di compassione, e le viscere materne del Padre si muovono attraverso le mani del Figlio per immischiarsi con la sorte della sua creatura amata. Gesù tende le dita, che hanno plasmato le stelle, per rinnovare la meraviglia del Principio, e crea di nuovo, questa volta assumendo su di sé le conseguenze del peccato che ha stravolto la bellezza delle origini. Gesù tocca, e toccare, se da una parte è dare, è sempre e comunque anche ricevere. Dio, in Lui, dona gratuitamente la salvezza che l'uomo lebbroso ha invocato, e allo stesso tempo si impregna dell'impurità, secondo la Legge promulgata sul Sinai. Gesù diventa maledizione, perché si compia la promessa della benedizione!

Il prodigioso scambio avviene: la gloria dell'Altissimo attraversa di nuovo ogni fibra della carne e dell'anima dell'uomo, mentre la sua miseria diviene debolezza nel corpo donato dell'Onnipotente incarnato. La lebbra del peccato è vinta, ma lascia le sue tracce sul Corpo di Dio. Sarà il corpo crocifisso e poi risorto a portare con sé le piaghe per sempre, indicando così che nell'eternità mai più potrà avvenire che il Maligno insidi la vulnerabilità della creatura. E intanto questo Dio, che desidera ardentemente evitare di essere frainteso dai nostri proclami stonati, che sogna di non essere più confuso con una genia di imbroglioni che camuffano la fede di magia e superstizione... questo Dio patisce l'esclusione e l'emarginazione al posto nostro.

Egli, che ha spinto lontano da sé l'uomo per educarlo alla libertà più autentica - come una madre che insegna al proprio bambino a camminare, rinunciando a sorreggerlo ogni istante -, è stato a sua volta cacciato fuori dalla città, a migrare nelle periferie, habitat naturale degli scarti dell'umanità. È lì, fuori dalle mura di Gerusalemme, che resterà appeso per amore, ma che per lo stesso amore scardinerà definitivamente i sigilli della morte. Ed è lì, dove cedono i legami della Legge e si superano i confini che trattengono la relazione, che possiamo incontrarlo anche noi oggi.

Fuori dalle piazze della visibilità e dell'esibizionismo, nel nascondimento e nell'ordinarietà della via, si compie ancora la kenosis di Dio. Possiamo conoscerlo davvero, a patto che scegliamo di lasciarci toccare e di toccare a nostra volta. In un certo senso, c'è bisogno di permettere all'altro di contaminarci di tutto se stesso, perché inizi veramente a svelarsi a noi il volto di Gesù, vero Dio fatto uomo, anzi, fatto scarto di umanità.

Nessuno, dunque, osi parlare di Dio, o presumere di conoscerlo, se non si è ancora sporcato le mani sfiorando la carne e l'anima lacerata di un povero. Nessuno pretenda di riconoscerne la voce o di individuarne i tratti, se non ha ancora scelto di uscire dalle cornici delle proprie convinzioni e dei propri pregiudizi per guardare negli occhi e patire con i disperati che gridano cercando accoglienza e comprensione.

Sia allora una rinnovata occasione per decidere di scendere gli abissi dell'umanità sfigurata questa Quaresima che si avvicina, e che non si stanca di porci di fronte alla passione di un Dio tanto innamorato della Sua creatura da farsi contagiare della sua sofferenza e della sua mortalità, per restituirle la gioia di scoprirsi, invece, chiamata a vivere per sempre.

Omelia di don Luca Garbinetto

 

La compassione di Gesù e i lebbrosi del nostro tempo

Un lebbroso cammina diritto verso di lui. Gesù non si scansa, non mostra paura. Si ferma addosso al dolore e ascolta.

Il lebbroso «porterà vesti strappate, sarà velato fino al labbro superiore, starà solo e fuori» (Levitico 13,46). Dalla bocca velata, dal volto nascosto del rifiutato esce un'espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace: «Se vuoi». E intuisco Gesù toccato da questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di tutti i figli dolenti della terra il lebbroso lo interroga: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici o figli guariti?

Davanti al contagioso, all'impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, Gesù prova «compassione». Il Vangelo usa un termine di una carica infinita, che indica un crampo nel ventre, un morso nelle viscere, una ribellione fisica: no, non voglio; basta dolore!

Gesù prova compassione, allunga la mano e tocca. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l'intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce. Dio non guarisce con un decreto, ma con una carezza.

La risposta di Gesù al «se vuoi» del lebbroso, è diretta e semplice, una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: «Lo voglio: guarisci!». Me lo ripeto, con emozione, fiducia, forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti. È la bella notizia, un Dio che fa grazia, che risana la vita, senza mettere clausole. Che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.

E lo mandò via, con tono severo, ordinandogli di non dire niente. Perché Gesù non compie miracoli per qualche altro fine, per fare adepti o per avere successo, neppure per convertire qualcuno. Lui guarisce il lebbroso perché torni integro, perché sia restituito alla sua piena umanità e alla gioia degli abbracci. È la stessa cosa che accade per ogni gesto d'amore: amare «per», farlo per un qualsiasi scopo non è vero amore.

Quanti uomini e donne, pieni di Vangelo, hanno fatto come Gesù e sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: rifugiati, senza fissa dimora, tossici, prostitute. Li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.

Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.

E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo porta con sé una grande felicità. Perché ti mette dalla parte giusta della vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La vera guarigione è la relazione con Gesù

La gente spesso pronuncia espressioni che lasciano intendere una certa comprensione del mistero di Cristo, come “abbi pietà di me”, “sia fatta la tua volontà”. In questo racconto la pietà e la volontà di Gesù sono mosse da un lebbroso che, lontano da ogni sguardo d’amore e da ogni possibilità di comunicare, trova finalmente la forza di gridare il suo dolore.

Quanta disumana sofferenza ha dovuto sopportare prima che il pensiero di una rinascita si facesse spazio in quella vita rosicchiata dalla morte! Sì, perché secondo il libro del Levitico coloro che manifestavano malattie della pelle erano considerati morti civilmente e religiosamente, poiché il loro stato era visto come conseguenza di qualche peccato; non potevano risiedere nei centri abitati o entrare in sinagoga ma dovevano stare in luoghi separati e, se incontravano qualcuno, erano tenuti a segnalare la loro presenza perché chi aveva un contatto con loro diventava impuro a sua volta. La solita deriva della Legge che aveva finito col sacrificare l’uomo!

L’incontro col lebbroso non è preparato da alcuna indicazione di luogo o di tempo, ma si impone al maestro e al lettore con la forza persuasiva della sua necessità e della supplica che ne deriva, come accade quando un bisognoso bussa improvvisamente alla tua porta e non sei pronto o disposto a rispondere alla sua richiesta. Tante volte ci indispettiamo o sfuggiamo, ma a volte c’è qualcosa che ci convince a restare, un invito a rispondere che ci viene proprio da un modo di dire o di fare della persona che chiede aiuto e a cui ci arrendiamo. La “diversità” della richiesta del lebbroso consiste proprio nella originalità della domanda: «se vuoi, puoi». Il malato non ha dubbi sul potere taumaturgico di Gesù, ma non sa se Egli intende intervenire. È come se capisse che l’opera di Cristo non è automatica, dovuta, svendibile, ma implica l’esercizio di una libertà divina dinanzi alla quale la fede dell’uomo sta tutta nella capacità di attesa, non di pretesa. Uno spazio di attesa infinitesimale e infinito insieme, come tutte le cose importanti della vita, che si decidono in un attimo, ma dentro quell’istante riversi tutta l’amarezza del passato e la speranza per il futuro. E poi la sentenza non di condanna ma di rinascita: «Lo voglio, sii purificato!». In Gesù «non si manifesta solo l’onnipotenza di Dio ma anche e soprattutto la volontà della compassione» (Stefano Ripepi). Per lui la malattia è spazio di incontro, non causa di separazione, come insegnavano le autorità religiose del tempo, da cui Gesù prende radicalmente le distanze (questo spiegherebbe perché alcuni manoscritti per descrivere la sua reazione riportano “adiratosi”, invece che “mosso a compassione”). Egli stende la mano, evocando in tal modo la mano di Dio che compie prodigi nell’esodo liberando il popolo; tocca il lebbroso, stabilendo un contatto tra medico e malato; esprime l’assenso della sua volontà. E accade la guarigione. L’uomo, per lungo tempo convinto a causa del suo isolamento di non essere amato da nessuno, insieme alla guarigione ha cercato e trovato una relazione con Gesù: «la guarigione emerge nella sua dimensione di evento relazionale. Sua premessa è il sapere che la reintegrazione del malato nella pienezza di vita è voluta da un altro» (Luciano Manicardi).

A questo punto, stranamente, Gesù “sbuffando, mandò via” l’uomo. «Lo rimprovera di avere creduto che Dio lo aveva escluso dal suo amore. E lo caccia fuori da questa mentalità, dalla adesione a una predicazione falsa sul volto di Dio» (Fernando Armellini). Il lebbroso guarito è invitato a sottoporsi a quanto prevedeva la Legge anche per la constatazione della guarigione e deve andare a presentarsi ai sacerdoti come testimonianza per tutti, una sorta di denuncia per la società. Gesù insegna che non puoi far finta di non vedere il male e non assumere il peso del male significa mostrare di non conoscere quel Dio che lo ha assunto su di sé. D’ora in poi di nessuno potremo dire: “non merita neppure che io lo sfiori e non mi deve neanche toccare”. L’uomo guarito proclama a tutti la notizia del beneficio ricevuto, annuncia il suo vangelo e questo pone Cristo nel disagio di avvicinarsi ai centri abitati a causa della ressa che si crea per la sua fama. Ed ecco la conclusione del racconto, che vede il lebbroso reintegrato e Gesù che si fa lebbroso, perché è Lui che adesso sta ai margini. Un Dio che si compromette col male fino a sostituirsi all’uomo, sia che tu lo sappia, sia che tu lo tenga per sempre ai margini della tua vita senza mai riconoscerlo.

Omelia di don Tonino Sgrò (tratta da www.reggiobova.it)

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Vi Domenica del Tempo Ordinario (anno B) 11 febbraio 2018

tratto da www.lachiesa.it