27 novembre 2016 - inizia l'Anno Liturgico A - I Domenica di Avvento: è tempo di accorgersi, di vivere con attenzione
News del 27/11/2016 Torna all'elenco delle news
Inizia il tempo dell'Avvento, quando la ricerca di Dio si muta in attesa di Dio. Di un Dio che ha sempre da nascere, sempre incamminato e sempre straniero in un mondo e un cuore distratti. La distrazione, appunto, da cui deriva la superficialità «il vizio supremo della nostra epoca» (R. Panikkar). «Come ai giorni di Noè, quando non si accorsero di nulla; mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». È possibile vivere così, da utenti della vita e non da viventi, senza sogni e senza mistero.
È possibile vivere "senza accorgersi di nulla", di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola, di cento naufraghi a Lampedusa o del povero alla porta.
Senza vedere questo pianeta avvelenato e umiliato e la casa comune depredata dai nostri stili di vita insostenibili. Si può vivere senza volti: volti di popoli in guerra; volti di donne violate, comprate, vendute; di anziani in cerca di una carezza e di considerazione; di lavoratori precari, derubati del loro futuro.
Per accorgersi è necessario fermarsi, in questa corsa, in questa furia di vivere che ci ha preso tutti. E poi inginocchiarsi, ascoltare come bambini e guardare come innamorati: allora ti accorgi della sofferenza che preme, della mano tesa, degli occhi che ti cercano e delle lacrime silenziose che vi tremano. E dei mille doni che i giorni recano, delle forze di bontà e di bellezza all'opera in ogni essere.
L'altro nome dell'Avvento è vivere con attenzione. Un termine che non indica uno stato d'animo ma un movimento, un "tendere-a", uscendo da sé stessi. Tempo di strade è l'avvento, quando il nome di Dio è "Colui-che-viene", che cammina a piedi, senza clamore, nella polvere delle nostre strade, sui passi dei poveri e dei migranti, camminatore dei secoli e dei giorni. E servono grandi occhi.
«Due uomini saranno nel campo, due donne macineranno alla mola, uno sarà preso e uno lasciato»: non sono parole riferite alla fine del mondo, alla morte a caso, ma al senso ultimo delle cose, quello più profondo e definitivo. Sui campi della vita uno vive in modo adulto, uno infantile. Uno vive sull'orlo dell'infinito, un altro solo dentro il circuito breve della sua pelle e dei suoi bisogni. Uno vive per prendere e avere, uno invece è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno solo è pronto all'incontro con il Signore. Uno solo sta sulla soglia e veglia sui germogli che nascono in lui, attorno a lui, nella storia grande, nella piccola cronaca, mentre l'altro non si accorge di nulla. Uno solo sentirà le onde dell'infinito che vengono ad infrangersi sul promontorio della sua vita e una mano che bussa alla porta, come un appello a salpare.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Avvento: tempo di misericordia e di gioiosa attesa
Con questa prima domenica di Avvento 2016 inizia il nuovo cammino spirituale dell'anno liturgico 2016/2017. L'Avvento è un tempo di grazia particolare che il Signore ci dona ogni anno, per prepararci degnamente all'annuale festa liturgica del Salvatore. Come tutti i cammini, specialmente quelli spirituali, hanno una meta da raggiungere, non solo nel tempo, ma nel cuore, nella mente e nello spirito.
Questo Avvento 2016 ha un valore speciale, in quanto da poco si è concluso l'anno giubilare della misericordia, ed ha una precisa meta da raggiungere: quella di applicare nella vita di tutti i giorni i frutti dell'anno giubilare.
E l'Avvento, essendo un tempo forte dell'anno liturgico, è un tempo di misericordia e di riconciliazione speciale per tutti.
Papa Francesco nella sua lettera apostolica "Misericordia et misera" pubblicata a conclusione dell'anno giubilare, scrive, nella parte iniziale: L'anno santo è stato "un tempo ricco di misericordia, la quale chiede di essere ancora celebrata e vissuta nelle nostre comunità. La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell'amore misericordioso del Padre".
Nella preghiera iniziale di questa domenica, la colletta, ci rivolgiamo al Signore con queste significative parole del cuore: O Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo regno hai inviato il tuo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell'eterna gloria". Avvento, quindi, come tempo di riconciliazione e perdono, sospinti in questo cammino di conversione dalle parole stesse di Gesù Cristo nella sua prima venuta tra noi.
La venuta di Cristo è l'arrivo del volto misericordioso di Dio Padre che in Gesù Cristo, Verbo Incarnato ci mostra tutta la tenerezza di un Dio che è perdono ed amore.
La Parola di Dio di oggi mette in risalto soprattutto questo aspetto positivo della venuta del Signore, quella definitiva, dal momento che una prima storica e salvifica venuta si è celebrata nella sua nascita di 2016 anni fa e si è completata con l'ascensione a cielo dopo la morte in croce e la risurrezione.
Il profeta Isaia nella prima lettura di oggi ci ricorda e ci prepara al senso di questa venuta: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».
La venuta del Signore è vista come cambiamento radicale delle persone e delle istituzioni. Un'attesa carica delle cose più belle che possiamo immaginare per noi, per gli altri per l'umanità intera, come ci ricorda la bellissima prima lettura di oggi, tratta dal Profesta Isaia, il profeta dell'Avvento, che inneggia alla venuta del Messia: "Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra".
Questa visione di gioia, di serenità, di tranquillità che ci viene proposta dalla parola di Dio ha significato, in quanto la venuta del Signore che già celebriamo nel mistero e quella di cui siamo in attesa, la definitiva, non possono non donarci pace e serenità.
Scrive Papa Francesco a proposito dello stretto rapporto tra misericordia e gioia: "La misericordia suscita gioia, perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova. La gioia del perdono è indicibile, ma traspare in noi ogni volta che ne facciamo esperienza. All'origine di essa c'è l'amore con cui Dio ci viene incontro, spezzando il cerchio di egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia. Come sono significative anche per noi le parole antiche che guidavano i primi cristiani: «Rivestiti di gioia che è sempre gradita a Dio e gli è accetta. In essa si diletta. Ogni uomo gioioso opera bene, pensa bene e disprezza la tristezza [...] Vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia».[2] Fare esperienza della misericordia dona gioia. Non lasciamocela portar via dalle varie afflizioni e preoccupazioni. Possa rimanere ben radicata nel nostro cuore e farci guardare sempre con serenità alla vita quotidiana. In una cultura spesso dominata dalla tecnica, sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani. Il futuro infatti sembra essere ostaggio dell'incertezza che non consente di avere stabilità. È così che sorgono spesso sentimenti di malinconia, tristezza e noia, che lentamente possono portare alla disperazione. C'è bisogno di testimoni di speranza e di gioia vera, per scacciare le chimere che promettono una facile felicità con paradisi artificiali. Il vuoto profondo di tanti può essere riempito dalla speranza che portiamo nel cuore e dalla gioia che ne deriva. C'è tanto bisogno di riconoscere la gioia che si rivela nel cuore toccato dalla misericordia. Facciamo tesoro, pertanto, delle parole dell'Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16).
Ora nella certezza che Cristo ci ha salvato e nella sicurezza che verrà a giudicare i vivi e i morti, camminiamo nel tempo in attesa di incontrare per sempre il nostro Signore.
Prepararsi significa vigilare su noi stessi, sulla nostra condotta che non può essere contrassegnata dalla tristezza e dalla sofferenza perenne, ma dalla gioia che viene dal Signore, anche se questa gioia è la stessa parola della croce.
Su questo stesso tono si colloca la seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera ai Romani di San Paolo Apostolo: "E' ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti...Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo".
Svegliarsi dal sonno, dal torpore del cuore e dell'anima, di una vita spirituale senza entusiasmo e gioia, per fare spazio alla luce, alla vitalità, mettendo da parte tutte quelle umane debolezze che ci fanno fermare nel cammino della conversione, purificazione e santità.
Gesù che viene è speranza nuova per tutti gli uomini e ricarica spirituale per tutti i cuori che cercano Dio con semplicità e umiltà.
E Gesù stesso nel testo del Vangelo di Matteo di questa domenica ci spinge verso una nuova visione della nostra esistenza umana, rammentando quello che accadde ai tempi di Noè, quando le persone erano distratte da altre cose e non pensavano a Dio e al loro vero bene: «Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata".
La vita è anche questo, ma non è solo questo. Da qui la necessità di vigilare, pregare e rinnovarsi nel comportamento individuale e collettivo. Il Vangelo, infatti, ci ammonisce: "Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo».
Carissimi, con Papa Francesco, ricordiamo che "ogni domenica, la Parola di Dio viene proclamata nella comunità cristiana perché il giorno del Signore sia illuminato dalla luce che promana dal mistero pasquale. Nella celebrazione eucaristica sembra di assistere a un vero dialogo tra Dio e il suo popolo. Nella proclamazione delle Letture bibliche, infatti, si ripercorre la storia della nostra salvezza attraverso l'incessante opera di misericordia che viene annunciata. Dio parla ancora oggi con noi come ad amici, si "intrattiene" con noi per donarci la sua compagnia e mostrarci il sentiero della vita. La sua Parola si fa interprete delle nostre richieste e preoccupazioni e risposta feconda perché possiamo sperimentare concretamente la sua vicinanza.
Omelia di padre Antonio Rungi
In attesa del giorno senza tramonto
Fascino e mistero del tempo, in cui tutti siamo immersi. Cercando di coglierne il senso e le dinamiche, i pensatori l'hanno concepito sostanzialmente in due modi: mentre gli antichi lo immaginavano ciclico (tutto prima o poi ritorna), la visione ebraico-cristiana, seguita ora in tutto il mondo, concepisce il tempo come lineare, con un suo inizio, uno svolgimento e una conclusione. Nell'ottica della Bibbia, all'inizio si colloca la creazione del mondo, seguita dall'attesa del Messia, dalla sua venuta, dalla successiva fase (quella in cui al presente noi siamo immersi) e dalla conclusione, quando la successione dei giorni e degli anni avrà termine, sfociando nell'eterno presente di Dio e degli uomini che sono con Lui.
La liturgia richiama ogni anno l'intero percorso, cominciando con la fase detta Avvento, di cui oggi è la prima domenica. Avvento significa 'venutà, sottintendendo 'di Dio': si ricorda la prima, quella di duemila anni fa nella persona del suo Figlio (di qui la celebrazione del Natale), per imparare come attendere la seconda, quella che ci vedrà passare dal tempo all'eternità.
In genere i cristiani hanno presente il Natale: tutti lo celebrano, pur se spesso in forme improprie; molto meno sono consapevoli della seconda venuta. Sarebbe opportuno invece prendere coscienza di quest'altra componente dell'Avvento, che è appunto l'attesa delle realtà ultime della fede. L'attendere oggi è percepito come qualcosa di negativo, un tempo sprecato; non è questo però il senso della parola: 'ad-tendere', tendere a, esprime tensione positiva e attiva verso qualcosa o qualcuno. Questa dovrebbe essere per i cristiani l'attesa dell'incontro con Dio, per restare poi sempre con Lui; un'attesa operosa e fervida del giorno senza tramonto, in cui si potranno beare per sempre nella contemplazione del volto del Signore.?
Di questa attesa in verità si vedono poche tracce, tanto da far dire a Ignazio Silone, autodefinitosi "cristiano senza chiesa", di non essere interessato a cristiani "che attendono il ritorno del Signore con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta l'autobus". Di qui l'auspicio che l'Avvento 2016, anche per i recenti salutari richiami dell'Anno santo appena concluso, porti quanti pur si dicono cristiani a riscoprire il senso profondo della fede.
Aiutano allo scopo le letture di oggi, a cominciare dalla prima (Isaia 2,1-5) in cui risuona l'invito ai popoli ad avvicinarsi a Dio "perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri", mentre nella seconda (Romani 13,11-14) l'apostolo Paolo esorta: "Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce".
Il vangelo poi (Matteo 24,37-44) parla esplicitamente del ritorno del Signore, inteso come il momento in cui ciascuno vedrà terminare la propria vita terrena e si presenterà davanti a Lui. Gesù raccomanda di tenersi pronti, perché nessuno può sapere quando questo accadrà: "Due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà".
Vegliare, cioè svegliarsi dal sonno e mantenersi desti, impegnati nel fare il bene: è l'atteggiamento suggerito per attendere il 'giorno del Signore', con le disposizioni interiori di chi spera si compia una promessa. Uno dei prefazi propri di questo tempo dice: "Cristo nostro Signore, al suo primo avvento nell'umiltà della nostra natura umana, portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell'eterna salvezza. Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso, che ora osiamo sperare vigilanti nell'attesa".
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Liturgia e Liturgia della Parola della I Domenica di Avvento (Anno A) 27 novembre 2016
tratto da www.lachiesa.it