Messa in coena Domini del Giovedì Santo - Morosini: Contemplare la misericordia di Dio per imparare a essere misericordiosi

News del 25/03/2016 Torna all'elenco delle news

Contemplare la misericordia di Dio per imparare a essere misericordiosi. E’ questo il messaggio della liturgia del Giovedì Santo, che fa rivivere l’ultima cena di Gesù con gli apostoli nei due gesti di misericordia dell’Eucarestia e della lavanda dei piedi, invitandoci attraverso di essi a sperimentare la misericordia nella nostra vita. Lo ha detto l’arcivescovo Morosini introducendo in Cattedrale la Celebrazione della Messa “in coena Domini” che ha voluto fosse manifestazione concreta  e visibile di questo messaggio: i dodici apostoli infatti hanno i nomi e i volti dei detenuti in regime di semilibertà delle case circondariali di Reggio e Arghillà.  Per padre Giuseppe, sempre attento e vicino ai detenuti sin dall’inizio del suo mandato, questa scelta ha un valore fortemente simbolico:“Ho voluto che fossero loro a ricevere la lavanda dei piedi, perché noi tutti potessimo accogliere la grande lezione della misericordia in questo Giubileo della misericordia”. In questi primi mesi dell’anno santo nessuna occasione è stata sprecata, da parte dell’arcivescovo, per sottolineare quanto sia propizio questo tempo per un cammino di conversione ma è attraverso i gesti compiuti da Gesù nella sera in cui si congeda dagli apostoli che padre Giuseppe fa scoprire “l’autentico significato della misericordia secondo il cuore di Dio”: c’è l’Eucarestia viva, pane e vino, dei quali Egli dice che sono il suo corpo e il suo sangue – spiega l’arcivescovo - e c’è un’altra eucarestia, che è la lavanda dei piedi…S. Giovanni, a differenza degli altri Evangelisti mette al primo posto la lavanda dei piedi dandoci un segnale ben preciso: quel gesto era un sacramento, cioè una rivelazione di quell’amore, che è servizio a tutti senza distinzione; è dono di amore che abbraccia nella misericordia quanti si lasciano toccare da questo gesto…Noi cristiani, che celebriamo tante messe e facciamo tante comunioni, dobbiamo riflettere di più sul gesto della lavanda dei piedi durante la messa del Giovedì Santo. Non è uno spettacolo teatrale, non è una messa in scena. È una meditazione su che cosa deve significare l’Eucarestia per la nostra vita: amore ricevuto da Dio e amore dato in nome di Dio… Vi ho dato l’esempio: questo è il significato più autentico dell’eucarestia, lavarsi i piedi l’uno con l’altro”. Ed ecco l’esempio parte dal presbiterio della Cattedrale, dove l’arcivescovo Morosini si china a lavare e baciare i piedi dei dodici detenuti, visibilmente commossi, e dove scambia con ognuno l’abbraccio della pace, dopo aver rivolto, non solo a loro, parole di esortazione  al cambiamento di vita e alla conversione del cuore: “Io Vescovo, sono qui a dire ad ogni peccatore: puoi riconciliarti con te stesso nel profondo del tuo cuore e riprendere un cammino diverso... Noi oggi che celebriamo la messa, il sacrificio della cena pasquale, siamo invitati a dire ai fratelli, anche quelli che sbagliano: Dio ti ama; Dio è misericordia e ti attende, convertiti…Dobbiamo annunciare la misericordia di Dio anche di fronte ad una società che radicalizza il dovere della giustizia, negando ogni possibilità di misericordia”. Proprio in questa scena del cenacolo – ribadisce padre Giuseppe - “abbiamo invece la grande soluzione cristiana, del rapporto tra misericordia a giustizia”. Una misericordia, quella “rivelataci da Gesù, che non è la volontà o la pretesa di cancellare la giustizia terrena, che deve fare il suo corso, nel rispetto della doverosa riparazione dell’errore commesso e del male compiuto, ma è l’offerta all’uomo di una riconciliazione interiore con se stesso, della quale tutti abbiamo bisogno dopo che abbiamo commesso il  male. Dio, mediante la mano del sacerdote che si alza in segno di assoluzione e di misericordia, dice al peccatore: coraggio c’è la possibilità di ripartire..Se vuoi, dice Dio, io te lo concedo”. E’ questo il  punto che sta a cuore all’arcivescovo, perché l’amore esclude il tradimento, la misericordia non può applicarsi laddove persiste l’ostinazione nel peccato, e chi  “si chiude caparbiamente nella propria colpa, si autoesclude”. L’annuncio della misericordia – egli precisa - deve necessariamente passare attraverso la conversione” perché “non mi stancherò di ripeterlo: Dio ci aspetta a braccia aperte ma chiede la conversione!”. E’ una questione di scelte che l’uomo compie, decidendo liberamente della propria vita e scegliendo di accogliere o meno il dono della misericordia, in definitiva preferendo essere non Giuda ma Zaccheo, non il cattivo ladrone ma l’adultera perdonata. “Se vuoi. È qui tutta l’azione della Chiesa…La Chiesa chiede al carcerato la volontà di convertirsi, di cambiare vita. Poi lascia, nel rispetto delle leggi dello Stato, che la giustizia faccia il suo corso. Con ciò la Chiesa vuole educare tutte le persone a non trasformare la giustizia in vendetta, la giusta pena con il disprezzo e la disperazione”. 

E’ questa la lezione della misericordia, che si declina nelle parole amore,  dono, servizio, ma anche conversione, preghiera, sacrificio. Risuona nel paterno auspicio di padre Giuseppe: “Come vorrei che da questa stessa cattedrale potesse partire un grido di speranza per la nostra città: è finita la droga, è finita la prostituzione, la corruzione, le tangenti, gli omicidi. La nostra città e le nostre comunità hanno bisogno di pace e di serenità; hanno bisogno di tranquillità e di speranza; hanno bisogno di lavorare in pace senza paure, senza minacce”.

E si fa preghiera: “preghiamo – chiede padre Giuseppe - per tutto il popolo delle carceri e perché tutti si aprano sempre più alla misericordia…. Allarghiamo il raggio della nostra preghiera per tutti quelli che in questi momenti stanno soffrendo per la violenza”…Ci sarà la speranza che da questo altare in questo anno giubilare qualcuno possa dire alla città la sua conversione e il suo ravvedimento come Zaccheo? Preghiamo intensamente per questo”.

Preghiera consegnata al silenzio dell’adorazione, quando la celebrazione si chiude in processione davanti all’altare della Reposizione. 

Qui i bambini ed i ragazzi dell’Azione Cattolica parrocchiale depongono i loro cestini con il grano cresciuto nell’ombra penitenziale della Quaresima. Qui la preghiera decanta nel silenzio del triduo. 

Ma è destinata a sbocciare, come un grido glorioso, nel giorno di Pasqua.

Quella Pasqua che rinasce tutti i giorni nella speranza del cristiano. 

di Antonia Cogliandro