6 marzo 2016 - IV Domenica di Quaresima Laetare: nel cuore della misericordia di Dio, la gioia del perdono

News del 05/03/2016 Torna all'elenco delle news

Con la quarta domenica di Quaresima, detta della letizia entriamo nel pieno dell'anno giubilare e del vero significato di questo tempo di grazia, che è tempo di misericordia. Se come ha detto Gesù c'è più gioia in cielo per un peccatore che si pente e non per 99 che si ritengono giusti, oggi è la domenica in cui facciamo festa e siamo nella gioia perché ci viene in aiuto e a nostro conforto il testo del vangelo di questa domenica che è dedicato alla parabola del figliol prodigo. E' una delle tre parabole della misericordia su cui siamo chiamati a riflettere in questo giorno in particolare ma anche per tutta la vita: Dio essenzialmente è amore e misericordia. E non è difficile capirlo. Basta accostarsi con animo sincero al testo di questa parabola per comprendere dove sta esattamente il cuore di Dio: sta dalla parte dei suoi figli che sono lontani da lui, che hanno deciso, nella loro piena e legittima libertà, proprio concessa dal creatore all'uomo, di camminare per strade che non sono quelle del Signore.

Il figliol prodigo che va via dalla casa del Padre è il peccatore che esce dalla comunione con Dio e rompe ogni legame con il Signore, in attesa del ripensamento e del ritorno. Dio non si stanca di aspettare, fino all'ultimo istante di ogni persona, questo ritorno. E lui ci attende non solo sull'uscio della chiesa, per darci il perdono qui su questa terra, mediante il sacramento della confessione; ma ci attende sull'uscio del paradiso, per donarci la felicità senza fine. Sta a noi entrare in questo cammino di ritorno a Dio da celebrare continuamente con una forte comunione di grazia e in grazia con Lui. Il modo per farlo è mettersi nella condizione di quel che realmente siamo: peccatori e perciò bisognosi di perdono e di misericordia di Dio. Non illudiamo noi stessi e gli altri: siamo tutti peccatori e perciò stesso abbiamo bisogno del suo perdono. Sta a noi chiederlo questo perdono ed ottenerlo da Dio, secondo le modalità che noi ben conosciamo, che non è una confessione frettolosa, affrettata, ma un profondo e radicale cambiamento della vita, in sintonia con la volontà di Dio, di quel Padre che è tenerezza e compassione. Di quel padre che scruta l'orizzonte della storia e del mondo e scruta l'orizzonte del nostro cuore, spesso privo di quel rosso di sera, che fa ben sperare per l'avvenire personale a livello spirituale. Molte volte questo orizzonte è cupo e intristito dal male e dalla mancanza di speranza ed anche in queste situazioni limite si cala forte lo sguardo di Dio, che ne cambia le sorti e le prospettive. Mettiamo sulle nostre labbra le espressioni di un sincero pentimento del cuore e della vita che pronunciò il figlio prodigo nella parabola raccontata da Gesù e che suscitò nei presenti reazioni diverse: "Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". Si alzò e tornò da suo padre". Ci vogliamo alzare dalla nostra depressione spirituale, dalla mancanza di fede, speranza, amore e gioia. Vogliamo, stando a contatto con Dio, sperimentare la gioia sempre, nonostante le nostre gravi lacune e deficienze spirituali. Lontano dai nostri pensieri l'atteggiamento del figli maggiore, geloso e risentito, per il ritorno del fratello, morto e poi ritornato in vita, al quale il Padre dedica una festa senza paragoni e senza precedenti. Quanto è difficile capire, quando si sta nella grazia, nell'amicizia e nella vicinanza a Dio, tale grande bene che si possiede. Quel bene di cui non si è accorto il figlio "santo", perfetto e vicino al padre, che non è scappato via, non ha chiesto nulla, ha avuto tuttavia tutto, ma non ha saputo gioire di quello che aveva: la grazia di stare vicino a Dio. Quanti cristiani non sanno apprezzare la fede, la grazia che hanno vivendo vicino alla Chiesa, praticando e condividendo i progetti pastorali e spirituali a tutti i livelli e in ogni tempo. Forse anche loro avvertono il desiderio di andare via, come ha fatto, sbagliando, il figlio più piccolo ed incosciente, quando ha deciso di rompere il legame interiore e profondo con il Padre. Solo i santi hanno saputo capire quanto è brutto e disastroso vivere nel peccato; per cui si confessavano spesso e avevano tanti scrupoli e trovavano in essi tante imperfezioni. Non bisogna crogiolarsi nei peccati; anzi bisogna riemergere da esso prima che sia troppo tardi, prima che si abbia toccato il fondo del disastro morale più grave. Non dobbiamo attendere i tempi del figliol prodigo per rinsavire dalle nostre condotte non buone. E non diciamo mai, e poi mai: io sono senza peccato. Che peccato faccio o posso fare? In questo caso saremo un po' come il fariseo al tempio che vantava davanti a Dio la sua presunta perfezione legale ed esteriore della legge, ma senza cuore e senza amore verso il Signore e verso gli altri, al punto tale che giudica il pubblicano come peccatore, da allontanare. Mentre quel povero pubblicano, già riconosciuto di fatto peccatore pubblico per il pessimo ruolo ed ufficio che ricopriva, si batteva il petto e chiedeva perdono, non si avvicinava alla parte più sacra del tempio, né alzava gli occhi al cielo, perché si considerava indegno. Stessa situazione che ha vissuto il figliol prodigo quando ha preso coscienza del suo stato di immoralità in cui si è trovato, dopo l'allontanamento dalla casa del Padre.

Facciamo nostre le bellissime parola, scritte da Paolo Apostolo ai suoi cristiani di Corinto, nel breve brano della lettura di oggi, tratta dalla seconda lettera a questi problematici cristiani del suo tempo e a questa comunità alquanto vivace: "Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio".

Oppure immergiamoci nell'esperienza esodale che, è esperienza di gioia e di libertà, come ci rammenta la prima lettura di oggi, tratta dal Libro di Giosué, colui che ebbe il dono di vedere la terra della libertà, la terra promessa, la terra della vera gioia che il Signore donò al suo popolo, di mettere piede fisico e spirituale su di essa: «Oggi ho allontanato da voi l'infamia dell'Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell'anno mangiarono i frutti della terra di Canaan". Togliere l'infamia dal nostro volto e dal volto dei nostri fratelli è questo il compito che spetta ad ogni cristiano seriamente intenzionato a fare la Pasqua e lasciare la via del peccato per vivere nella grazia di Dio, soprattutto in questo anno giubilare, durante il quale la misericordia non è solo un annuncio o una catechesi, ma è esperienza vera di un Dio buono e misericordioso, lento all'ira e ricco nel perdono, che ci attende per parlare al nostro cuore, per cambiare in bene e in vero bene la nostra vita. Con il profeta Isaia cantiamo con gioia: "Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione".

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Dio perdona con una carezza, un abbraccio, una festa

Un padre aveva due figli. Ogni volta questo inizio, semplicissimo e favoloso, mi affascina, come se qualcosa di importante stesse di nuovo per accadere. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa la struttura stessa del nostro vivere con Dio, con noi stessi, con gli altri. L'obiettivo di questa parabola è precisamente quello di farci cambiare l'opinione che nutriamo su Dio.

Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è legione ed è storia. Storia di umanità ferita eppure incamminata. Felix culpa che gli ha permesso di conoscere più a fondo il cuore del Padre.

Se ne va, un giorno, il più giovane, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. La casa non gli basta, il padre e il fratello non gli bastano. E forse la sua ribellione non è che un preludio ad una dichiarazione d'amore. Quante volte i ribelli in realtà sono solo dei richiedenti amore.

Cerca la felicità nelle cose, ma si accorge che le cose hanno un fondo e che il fondo delle cose è vuoto. Il prodigo si ritrova un giorno a pascolare i porci: il libero ribelle è diventato un servo, a disputarsi il cibo con le bestie.

Allora ritorna in sé, dice il racconto, chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane...) Ci sono persone nel mondo con così tanta fame che per loro Dio non può avere che la forma di un Pane (Gandhi).

Non torna per amore, torna per fame. Non torna perché pentito, ma perché ha paura e sente la morte addosso.

Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in viaggio. È sufficiente che compiamo un primo passo. L'uomo cammina, Dio corre. L'uomo si avvia, Dio è già arrivato. Infatti: il padre, vistolo di lontano, gli corse incontro...

E lo perdona prima ancora che apra bocca, di un amore che previene il pentimento. Il tempo della misericordia è l'anticipo.

Si era preparato delle scuse, il ragazzo, continuando a non capire niente di suo padre. Niente di Dio, che perdona non con un decreto, ma con una carezza (papa Francesco). Con un abbraccio, con una festa. Senza guardare più al passato, senza rivangare ciò che è stato, ma creando e proclamando un futuro nuovo. Dove il mondo dice "perduto", Dio dice "ritrovato"; dove il mondo dice "finito", Dio dice "rinato".

E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti. Il Padre infine esce a pregare il figlio maggiore, alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore non sincero, un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito.

Un padre che non è giusto, è di più: è amore, esclusivamente amore.

Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così esagerato? Sì, il Dio in cui crediamo è così. Immensa rivelazione per cui Gesù darà la sua vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Smarrire, ritrovare, gioire

In realtà è l'intero cap. 15 del Vangelo di Luca che attira l'attenzione per la singolarità monografica del messaggio. Esso è costituito da insegnamenti parabolici e accostamenti che mettono in risalto un solo tema: il ritrovamento gioioso di ciò che viene considerato prezioso. Così è la parabola della pecora smarrita e quella della moneta perduta che ad essa fa seguito (Lc 15, 1 - 10), nelle quali si evincono tre caratteristiche: 1) lo smarrimento, 2) il ritrovamento, 3) la gioia condivisa ("Rallegratevi con me"). Gesù ha intavolato questi discorsi in seguito alla provocazione di scribi e e farisei che lo stavano ad osservare mentre accoglieva pubblicani e peccatori che pendevano dalle sue labbra mentre insegnava: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Era riprovevole nella mentalità raffinata dei sapienti conoscitori della Legge e del Talmud che un "giusto" si contaminasse con i peccatori e con i reprobi. Questi dovevano essere tenuti a debita distanza, doveva esservi una precisa distinzione fra "giusti" e peccatori ed era considerato impuro ed empio anche entrare in contatto indiretto con i malvagi. Per la qualcosa adesso stanno muovendo questa critica a chi per primo vedono disattendere una norma per loro fondamentale. Gesù però, come è solito fare quasi sempre in queste circostanze, non ribatte con invettive e programmati discorsi di autodifesa, ma spiega la realtà evidente della vita: quando si smarrisce una qualsiasi cosa che ritenevamo davvero importante per noi, lo si cerca sempre, da soli o con l'aiuto di altri. Non appena la si ritrova, si esulta per lo scampato pericolo con serenità e gioia condivisa da altri e in determinati casi si festeggia anche la gioia del ritrovamento.

Seguendo le vicende dei sequestri di persona degli anni '80 - 90 quali Cesare Casella e Soffiantini, ho riflettuto sul fatto di quanto sia importante per una madre aver ritrovato il proprio figlio che era stato creduto anche morto; o per una famiglia intera aver ritrovato il proprio padre che era stato sequestrato e tenuto segregato, in precarie condizioni di salute. Non importa se sia stato pagato il riscatto o in quali condizioni ci si ripresenti il nostro caro che era stato tenuto sotto sequestro; neppure ci interessa quale vita abbia condotto durante la sua assenza o come o quanto sia cambiato: averlo ritrovato è un motivo di gioia per cui occorre fare festa tutti quanti.

Lo smarrimento, il ritrovamento e la festa sono il trittico che presenzia però soprattutto nella parabola che ci viene proposta oggi, che esplicita i due insegnamenti succitati soprattutto nel particolare che colui che smarrisce, cerca, ritrova e gioisce con tutti è Dio, Padre di misericordia.

Effettivamente questo figlio sibarita e dissoluto che ha delapidato ricchezze che non gli spettavano (per la sua richiesta al padre avrebbe meritato forse la condanna a morte) non era propriamente pentito del male commesso verso se stesso e verso il genitore, perché considerava più i vantaggi e le prospettive del suo ritorno a casa che non l'entità del male commesso. Meditava più una situazione rimediata per se stesso che una volontà di rimediare all'errore commesso: "Quanti salariati hanno pane in abbondanza mentre io qui muoio di fame... Mi alzerò e andrò da mio padre.... Trattami come uno dei tuoi garzoni." Ma che importa? Il padre vede ritornare a casa un figlio che si era perduto, che aveva considerato probabilmente morto o disperso. Un padre conosce bene i propri figli, anche nelle loro abitudini, nei costumi e nel loro carattere e certamente questo genitore durante la sua assenza deve aver intuito già da se stesso che sarebbe precipitato nel baratro della miseria; magari sarebbe entrato nel giro della malavita e sarebbe stato ucciso oppure si sarebbe suicidato. Forse avrà anche pianto, poiché anche se si trattava di un mascalzone, era pur sempre carne della sua carne, il figlio che non ritrovava più. Ecco perché adesso gli corre incontro e lo abbraccia, noncurante de fatto se questi si sia davvero pentito o meno. Bisogna solo fare festa e rallegrarsi in compagnia di tutti.

Parimenti che con una persona sequestrata, Dio non considera lo stato personale della pecorella smarrita che ha ritrovato, non tiene conto del come essa sia stata ritrovata o di come nel frattempo si sia trasformata: semplicemente gioisce e fa festa per averla di nuovo con sè. Che cos'è infatti il peccato se non un "sequestro della nostra persona" da parte della nostra stessa presunzione e tracotanza? Che cos'è esso se non lo smarrimento volontario da parte nostra nelle illusioni del fittizio e dell'effimero? Il peccato è rottura con Dio che è Padre di misericordia che a sua volta, lo considera come un perdersi dell'uomo paragonabile allo stato di fame e di pericolo in cui è caduto questo giovane scialacquatore. Ma soprattutto che cos'è l'intervento risolutore di Dio se non il pagamento del prezzo del nostro riscatto? Soprattutto sulla croce, espiativa dei nostri peccati, Dio ci ha comprati a prezzo (1Cor 6,20), pagando con il suo sangue. Scrive papa Francesco nel suo ultimo volume che "Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono" e che la Misericordia non è semplicemente un aspetto di Dio o una sua qualità, ma piuttosto è l'essere stesso di Dio. Misericordia è l'amore gratuito verso coloro che sono "miseri" per aver dissipato ogni cosa della loro stessa dignità e tali siamo tutti quanti. E per questo la parola d'ordine è la gioia, la letizia, la felicità condivisa con tutti nella Chiesa da lui istituita.

In effetti la vera comunità cristiana non può non rallegrarsi con il suo Signore per il ritrovamento di un solo fratello che si era perduto nel peccato e che la misericordia di Dio ha fatto ritornare sano e salvo. Atteggiamenti altezzosi e superbi non di rado ci fanno guardare con sospetto, nelle nostre comunità parrocchiali, a quanti si avvicinano ai Sacramenti e alla vita ecclesiale reduci da un passato discutibile. Anche per esperienza personale posso dire che non è raro il caso in cui il parroco venga tacciato di discriminazione quando presta particolare attenzione a chi vive una situazione di disagio familiare o a chi proviene da un'esperienza di perversione morale. Tante volte si usano riprovazioni per gli eccessi dei movimenti carismatici, che vengono accusati di fanatismo o di esagitazione, ma poche volte si considera che, grazie alla loro opera e alla loro preghiera, tantissime persone sono approdate alle fede provenendo direttamente dalla droga o dalla prostituzione. La strada da fare è ancora molto lunga per entrare nell'ottica della misericordia di Dio e forse dovremmo esserne toccati noi stessi a sufficienza per poter gioire quando altri ne vengono toccati.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Quaresima Laetare (Anno C) 6 marzo 2016