31 gennaio 2016 - IV Domenica del Tempo Ordinario: Quando il vento della profezia scuote la nostra polvere
News del 29/01/2016 Torna all'elenco delle news
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria (...)
In un primo momento la sinagoga è rimasta incantata: tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati! Ma il cuore di Nazaret, e di ogni uomo, è un groviglio contorto, trascinato in fretta dalla meraviglia alla delusione, dallo stupore a una sorta di furore omicida: lo spinsero sul ciglio del monte per gettarlo giù.
Che cosa è accaduto? Non è facile accogliere un profeta e le sue parole di fuoco e di luce. Soprattutto quando varcano la soglia di casa come «un vento che non lascia dormire la polvere» (Turoldo) e smuove la vita, invece di risuonare astratte e lontane sul monte o nel deserto.
I compaesani di Gesù si difendono da lui: lo guardano ma non lo vedono, è solo il figlio di Giuseppe, uno come noi. Odono ma non riconoscono le sue parole d'altrove: come pensare che sia lui, il figlio del falegname, il racconto di Dio? E poi, di quale Dio?
Questo è il secondo motivo del rifiuto di Gesù, il suo messaggio dirompente, che rivela il loro errore più drammatico: si sono sbagliati su Dio.
Fai anche qui, a casa tua, i miracoli di Cafarnao, chiedono. È la storia di sempre, immiserire Dio a distributore di grazie, impoverire la fede a baratto: «io credo in Dio se mi da i segni che gli chiedo; lo amo se mi concede la grazia di cui ho bisogno». Amore mercenario.
Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui. Non ci bastano belle parole, vogliamo un Dio a nostra disposizione; uno che ci stupisca, non uno che ci cambi il cuore.
E Gesù risponde raccontando un Dio che ha come casa ogni terra straniera, protettore a Zarepta di vedove straniere e senza meriti, guaritore di lebbrosi siriani nemici d'Israele, senza diritti da vantare. Un Dio che non ha patria se non il mondo, che non ha casa se non il dolore e il bisogno di ogni uomo.
Adorano un Dio sbagliato e la loro fede sbagliata genera un istinto di morte: vogliono eliminare Gesù. Mentre il Dio di Gesù è l'amante della vita, il loro è amico della morte. Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino. Come sempre negli interventi di Dio, c'è un punto bianco, una sospensione, un ma. Ma Gesù passando in mezzo se ne andò. Va ad accendere il suo roveto alla prossima svolta della strada. Appena oltre ci sono altri villaggi ed altri cuori con fame e sete di vita.
Un finale a sorpresa. Non fugge, non si nasconde, passa in mezzo a loro, alla portata delle loro mani, in mezzo alla violenza, va tranquillo in tutta la sua statura in mezzo ai solchi di quelle persone come un seminatore, mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla, che la sua vitalità è incontenibile, che il vento dello Spirito riempie la casa e passa oltre.
Omelia di padre Ermes Ronchi
L'inno alla carità e alla misericordia
Questa quarta domenica del tempo ordinario ci offre testi della parola di Dio, molto impegnativi da un punto di vista morale, soprattutto la seconda lettura, tratta dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, nella quale è presentato il celebre inno alla carità, che ben a ragione, in un contesto giubilare come quello che stiamo vivendo, possiamo definire l'inno alla misericordia. Approfondendo il testo, si comprende perfettamente quanto siamo lontani da questo stile di vita che dovrebbe essere tipico di ogni buon cristiano e di ogni uomo di buona volontà. Invece, molto spesso ci troviamo a parlare e ad inneggiare all'amore e alla carità, ma poi, nella vita quotidiana, non la viviamo affatto, non sappiamo immergerci nell'esperienza vera della tolleranza, del perdono e della misericordia. L'Apostolo Paolo ci fa comprendere l'importanza di questo tema centrale per un autentico cammino di conversione che chiunque vuole farlo, non può prescindere dal porsi con senso di responsabilità davanti al grande mistero del dono e del perdono.
Possiamo avere di tutto e di più nella vita, ma se non abbiamo amore, se non viviamo la carità, siamo campane stonate, che danno semplicemente fastidio al solo primo rintocco del loro dire. Quante prediche, in tutti gli ambienti, in ordine alla carità e all'amore, e poi nessuno, o poche persone, sanno vivere l'amore nel vero senso della parola, secondo un modello che Paolo Apostolo ci propone in questa sinfonia del cuore, che batte per un solo scopo: dono e perdono. "La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta". Saper vivere in questa logica dell'amore e del perdono è sicuramente l'esperienza mistica più bella ed esaltante di ogni credente. Non un amore distorto e deviato, non un amore egoistico, fine a se stesso e interessato al proprio successo e alla propria carriera, ma un amore sincero, capace di entrare nelle maglie più intime e profonde della nostra personalità, spesso contorta e senza apertura alla relazione. Non bisogna aver paura di amare e di annunciare l'amore, di proclamarlo e gridarlo al mondo intero, di cantarlo con la stessa passione dello spirito con cui lo canta anche il profeta Geremia, nel brano della prima lettura della liturgia della parola di questa domenica di fine gennaio 2016. «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Annunciare l'amore come via di salvezza e liberazione dell'uomo, schiavo di tante cose che lo rendono pauroso e dubbioso su molte questione, anche apparentemente banali ed insignificanti. Si ha paura di amare, di essere amati e soprattutto si ha terrore di annunciare l'amore ogni giorno, con la gioia nel cuore di chi incontra il Signore e trova forza e coraggio per combattere e vincere la noia del quotidiano. Il coraggio vero ce l'ho dimostrato Gesù, che, durante la sua vita e nella sua attività pubblica, ha parlato dell'amore, ma ha vissuto nell'amore, perché è stato e continua ad essere dalla parte degli umili e degli ultimi. Non c'è vangelo dell'amore e della carità, se non passa attraverso la testimonianza di un profondo convincimento interiore che solo amando, si sogna e si spera, ma anche ci si impegna concretamente a dare un volto nuovo alla nostra storia. Gesù ci provò a farlo, partendo proprio dalla Sinagoga del suo Nazaret, ma ebbe forti resistenze, al punto tale che Egli stesso cita un antico proverbio (medico, cura te stesso) per dire che un profeta è rifiutato proprio tra i suoi e nella sua patria. Come è vera questa affermazione di principio, lo dimostra il fatto che i cristiani sono considerati, dal coloro che non credono, a partire dai familiari più stretti, alla capacità di ogni persona umana di riabilitarsi mediante il dono, il perdono e s l'amore. Di fronte alle parole di contestazione da parte di Gesù nei confronti dei falsi giusti di Israele, egli usa parole dure, che fanno scuola da sole: "All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino". Se una comunità non sa entrare in un vero dialogo d'amore, bisogna andare oltre, passare in altre zone, dove più sentita è l'accoglienza della parola di Dio. Se una persona non sa condividere vere esperienze di carità, fraternità, misericordia, si fa necessaria passare oltre, come fece Gesù con i suoi compaesani, per nulla aperti all'accoglienza.
Sia questa la nostra umile preghiera che rivolgiamo a Dio in questo giorno di festa: "Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l'anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Quando crediamo di conoscere gli altri
La liturgia propone oggi una delle pagine fondamentali della Bibbia, fonte perenne di ispirazione per chiunque voglia dirsi cristiano. É il celebratissimo "Inno alla carità", cioè all'amore: una pagina da imparare a memoria, o quanto meno stamparsi sul dorso della mano. Lo si trova nella prima lettera di Paolo ai cristiani di Corinto (12,31-13,13).
Passando al vangelo: la prima frase del passo odierno (Luca 4,21-30), "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato", riprende l'ultima della scorsa domenica: continua l'episodio di Gesù nella sinagoga di Nazaret, con l'annuncio-shock che il Messia atteso da secoli era finalmente arrivato, era lui. La reazione dei suoi compaesani, superato il primo stupore, fu di incredulità: come può essere il Messia, l'inviato da Dio a compiere grandi cose, quest'uomo vissuto sempre qui tra noi, senza mai dare segni di essere diverso da noi? Come può riscattare il nostro popolo, questo figlio di Giuseppe, falegname come suo padre? Si è sentito dire che abbia fatto miracoli a Cafarnao: ebbene, se vuole che gli crediamo li faccia anche qui, nel suo paese, davanti a noi!
Nessuno è un eroe, per il suo cameriere: questo celebre detto di Michel de Montaigne coglie bene il fatto che la familiarità, la consuetudine di vita con una persona dà solo l'illusione di conoscerla, facendo dimenticare che ogni persona è un mondo mai completamente esplorato; ognuno in realtà si porta dentro pensieri, sentimenti e risorse insospettabili, che se hanno occasione di manifestarsi lasciano gli altri quanto meno sconcertati. Tanto più se si manifestano fuori dal consueto ambito di vita, dove spesso sono bloccati proprio dai pregiudizi altrui.
Ai suoi compaesani increduli, in certo modo anticipando Montaigne, Gesù rispose con una frase lapidaria divenuta proverbiale: "Nessuno è profeta in patria", e a dimostrarlo citò due esempi tratti dalla storia d'Israele, non nuova a episodi di incomprensione e rifiuto dei profeti, proprio da parte del popolo cui Dio li aveva inviati. Elia, osteggiato e perseguitato in patria, compì prodigi a favore di una straniera, una povera vedova libanese che invece si era fidata di lui, così come un altro straniero, un generale siriano, aveva dato retta al profeta Eliseo (i due episodi sono narrati rispettivamente nel Primo libro dei Re 17,8-16 e nel Secondo libro dei Re 5,1-14). Ma il monito di Gesù non ebbe effetto: "All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù".
Quella volta i connazionali di Gesù non riuscirono nel loro intento; ma il racconto dell'evangelista suona come un preannuncio di quanto sarebbe accaduto in seguito: rifiutato proprio dai suoi sino alla condanna a morte, egli trovò larga accoglienza ed elargì i suoi benefici di là dai confini del suo popolo, tra gli stranieri, cioè proprio tra coloro che Israele riteneva esclusi dalle amorose sollecitudini di Dio. Perciò l'episodio di Nazaret è anche un invito a considerare che nessuno, a qualunque popolo appartenga, è escluso dalla divina misericordia; si capisce allora quanto artificiose (e perciò ingiuste, e pericolose in quanto fonte di conflitti) siano le barriere che gli uomini si affannano ad erigere tra loro: i muri, i ghetti, i fili spinati, le reciproche esclusioni basate sulla razza, sulla religione, sul censo, sul grado d'istruzione e così via. E al confronto, quanto brilla la Chiesa voluta da Gesù, dove ai vertici, cioè alla santità, possono giungere lo scapestrato e il giusto, l'analfabeta e il sapiente, il re e il popolano, uomini e donne, giovani e vecchi; la Chiesa, che non conosce confini, e nel suo universalismo indica un sicuro cammino verso un mondo pacificato; la Chiesa, dove nessuno è straniero, perché tutti sono figli di Dio.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 31 gennaio 2016
tratto da www.lachiesa.it