20 dicembre 2015 - IV Domenica di Avvento: anche noi visitati dal miracolo!

News del 19/12/2015 Torna all'elenco delle news

Un Vangelo di gioia e di donne. Santa Maria, gravida di Dio, incinta di luce, va in fretta, pesante di vita nuova e leggera di libertà, sui monti di Giuda.

Origene di Alessandria (III sec.) afferma che l'immagine più vivida e bella del cristiano è quella di una donna incinta, che porta in sé una nuova vita. E non occorre che parli, è evidente a tutti ciò che accade: è viva di due vite, battono in lei due cuori. E non li puoi separare.

Il cristiano passa nel mondo gravido di Dio, "ferens Verbum" (Origene) portando un'altra vita dentro la sua vita, imparando a respirare con il respiro di Dio, a sentire con i sentimenti di Cristo, come se avesse due cuori, il suo e uno dal battito più forte, che non si spegnerà più. Ancora adesso Dio cerca madri, per incarnarsi.

Nell'incontro di Maria con Elisabetta, Dio viene mediato da persone, convocato dai loro abbracci e dai loro affetti, come se fosse, e lo è, un nostro familiare. Non c'è infinito quaggiù lontano dalle relazioni umane.

In questa che è l'unica scena del Vangelo dove protagoniste sono solo donne, è inscritta l'arte del dialogo.

Il primo passo: Maria, entrata nella casa, salutò Elisabetta. Entrare, varcare soglie, fare passi per andare incontro alle persone. Non restarsene al di fuori, ad aspettare che qualcosa accada ma diventare protagonisti, avvicinarsi, bussare, ricucire gli strappi e gli allontanamenti. E salutare tutti per via, subito, senza incertezze, per primi, facendo viaggiare parole di pace tra le persone. Bella l'etimologia di "salutare": contiene, almeno in germe, una promessa di salute per le relazioni, di salvezza negli incontri.

Il secondo passo: benedire. Elisabetta...esclamò: Benedetta tu fra le donne. Se ogni prima parola tra noi fosse come il saluto di chi arriva da lontano, pesante di vita, nostalgia, speranze; e la seconda fosse come quella di Elisabetta, che porta il "primato della benedizione". Dire a qualcuno "sei benedetto" significa portare una benedizione dal cielo, salutare Dio in lui, vederlo all'opera, vedere il bene, la luce, il grano che germoglia, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. Se non impariamo a benedire, a dire bene, non saremo mai felici.

Il terzo passo allarga orizzonti: allora Maria disse: l'anima mia magnifica il Signore. Il dialogo con il cielo si apre con il "primato del ringraziamento". Per prima cosa Maria ringrazia: è grata perché amata. L'amore quando accade ha sempre il senso del miracolo: ha sentito Dio venire come un fremito nel grembo, come un abbraccio con l'anziana, come la danza di gioia di un bimbo di sei mesi, e canta.

A Natale, anche noi come lei, grati perché amati, perché visitati dal miracolo.

Omelia di padre Ermes Ronchi (Il 'primato' della benedizione. E del ringraziamento)

 

Che miracolo può essere un incontro!

Maria fa visita ad Elisabetta. Che forza può scatenare un saluto! Le due donne sono incinte. Maria ha nel suo grembo il Verbo di Dio. Il suo saluto, sgorgando dal cuore che Lo ha concepito, ne é già riverbero salvifico. Il Verbo fatto-carne cresce in lei e saluta attraverso lei, scatenando l’azione dello Spirito. E infatti l’altro bambino, nel grembo  di sua madre Elisabetta, sussulta percependo nella voce di Maria la Parola di cui lui stesso dovrà farsi Voce nel deserto, la Parola di Colui che é “più forte e a cui non é degno di sciogliere i legacci dei sandali“. E infatti per questo sussulto Luca usa lo stesso verbo che l’Antico Testamento utilizza per il sussulto di Esaù a contatto con Giacobbe nel grembo di Rebecca (Gn 25,22-25). Anche Giovanni Battista, in quanto amico dello sposo, come Esaù nei riguardi di Giacobbe, dovrà diminuire per lasciare spazio all’arrivo del Messia Sposo. E il sussulto del bambino precursore si fa voce della madre Elisabetta che benedice Maria, iniziando la catena di benedizioni, «d’ora in poi», fino ad oggi: «tutte le generazioni mi chiameranno beata!» (Lc 1,48). Ma Elisabetta benedice Maria con un «forte grido», quello di Israele alla vista dell’Arca dell’alleanza su cui si posa la Gloria di Dio. Maria é questa arca (foederis arca) ed Elisabetta perciò grida, ricolma di Spirito Santo. E grida la benedizione di tutto Israele con le parole che Ozìa rivolse a Giuditta dopo che lei aveva troncato la testa al nemico Olofèrne: «Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra, e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra» (Gdt 13,18). Giuditta é infatti figura di Maria, il cui frutto del grembo, Gesù, schiaccerà la testa del nemico di tutti, satana. Tutto l’incontro é avvolto nella gioia perché tutto é partito dalla gioia, come racconta Elisabetta: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). La gioia é il primo dono dello Spirito Santo in chi incontra il Signore.

Questa gioia dello Spirito avvolge tutta la scena dell’incontro di Maria ed Elisabetta nel video The Greeting (Il saluto) presentato da Bill Viola alla Biennale di Venezia nel 1995. Le due donne che si incontrano, infatti, sembrano levitare nella gioia mentre sono avvolte da un forte vento che ne scompiglia i vestiti, come fosse il vento gagliardo della Pentecoste. I colori degli abiti sono quelli della famosa Visitazione di Iacopo Carucci, detto il Pontormo (1528-1529) e stagliano la scena principale dal fondo scuro di una strada qualunque. La messa in scena é volutamente esagerata rispetto all’ordinarietà di un incontro tra due donne per strada, vestite dimessamente, ma felici di incontrarsi. Perché é nella vita ordinaria che si fanno incontri straordinari. Ma per comprenderlo bisogna uscire dagli schemi consumistici in cui viviamo e della fretta di cui nutriamo i nostri incontri (Maria ha fretta solo di arrivare da Elisabetta, non certo nello stare con lei). La genialità di Bill Viola nel video The Greeting consiste nel dilatare i 45 secondi sufficienti a registrare l’incontro in 10 minuti di durata. Raccontare in 10 minuti quello che potrebbe accadere in 45 secondi é una sfida che un artista contemporaneo lancia alla società ipocritamente perfezionista in cui viviamo, dove gli aerei e i treni devono (giustamente) arrivare puntuali, ma gli esseri umani possono consumare i loro incontri e i loro affari senza neanche guardarsi. Ecco - ci dice Viola - ogni incontro può essere un kairòs, un tempo di Grazia, come fu l’incontro tra Maria ed Elisabetta. Quando in un incontro due persone incontrano l'Amore, allora ognuna sarà un miracolo per l'altra.

Dal Sussidio CEI

 

Il Natale nell'anno della misericordia

Il Natale e la misericordia: della misericordia, che è un altro nome dell'amore, la festa ormai imminente è una dimostrazione; celebra infatti l'infinita misericordia di Dio, che per amor nostro si è fatto uno di noi. E la festa è anche un invito: a rispondere a tanto amore, nel modo che Egli si aspetta, vale a dire ricambiando la misericordia ricevuta, praticandola verso coloro che Dio ama.

Due sono i personaggi che in vista del Natale i vangeli propongono alla nostra attenzione. Sono i due che più direttamente, pur se in modo diverso, hanno preparato la venuta di Gesù: Giovanni Battista, di cui si è letto le scorse domeniche, è stato "il prologo" della sua vita pubblica, da adulto; Maria, la madre, l'ha fisicamente introdotto nel mondo. Di lei si è parlato nella recente festa dell'Immacolata, e si torna a parlare in questa domenica, con l'episodio noto come la Visitazione.

Narra l'evangelista Luca (1,39-45) che, subito dopo aver concepito il Figlio di Dio, Maria si è recata a far visita alla parente Elisabetta, da sei mesi in attesa di un bimbo, il futuro Giovanni Battista, e da lei si è sentita rivolgere parole dense di significato. "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo", ha esordito Elisabetta, con un'espressione confluita poi nella preghiera forse più nota, l'Ave Maria. Subito dopo ha motivato quello straordinario elogio, riconoscendo in Maria "la madre del mio Signore", e l'ha proclamata beata, non per il fatto in sé della sua maternità, ma perché "ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto", cioè si è resa disponibile a fare la volontà di Dio. Maria dunque, la benedetta fra le donne, è grande, è unica, per essere stata scelta da Dio quale madre del suo Figlio fattosi uomo, ma anche perché ha corrisposto al disegno divino con una fede piena, che ne fa un modello per tutti i credenti.

Lo suggerisce inoltre un singolare collegamento. Dei vangeli sono note le otto beatitudini che aprono il cosiddetto discorso della montagna ("Beati i poveri in spirito... i miti... i puri di cuore... gli operatori di pace" e così via); si bada meno alle altre beatitudini, pur numerose, disseminate nell'intero arco dei sacri testi. Tra esse, quella relativa a Maria, beata perché ha creduto, è la prima, e sorprende costatare come essa trovi corrispondenza nell'ultima: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno" (Giovanni 20,29), proclama Gesù risorto dopo che l'apostolo Tommaso ha potuto vederlo e toccarlo. Credere è dunque la condizione per essere beati: lo è stato per Maria, lo è per tutti gli uomini.

Di esercitare il nostro credere ci dà occasione l'evento che il mondo sta per celebrare. In questo senso occorre essere attenti, a che le luminarie i regali gli auguri il panettone e così via non soffochino il genuino senso del Natale. E non solo la festa posticcia è pericolosa: lo sono anche la vaga tenerezza, la commozione, insomma i "buoni sentimenti" da cui si è presi davanti al presepio o ascoltando i canti d'occasione, cose tutte che svaniscono il giorno dopo, a rischio di lasciare un vuoto peggiore di prima. Non sarà così, se si cercherà di comprendere o approfondire l'autentico significato della festa, che celebra, come si è detto, l'immenso amore di Dio per noi. Può aiutarci a capirlo, tra gli altri, questo passo della Bibbia: "Figlio mio", scrive Paolo al suo discepolo Tito (2,11-14), "è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, attendendo la beata speranza e la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone".

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Avvento (Anno C) 20 dicembre 2015

tratto da www.lachiesa.it