13 dicembre 2015 - III Domenica d'Avvento "Gaudete" : Tu, festa di Dio

News del 12/12/2015 Torna all'elenco delle news

«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Nelle parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Appare un Dio felice, il cui grido di festa attraversa questo tempo d'avvento, e ogni tempo dell'uomo, per ripetere a me, a te, ad ogni creatura: «tu mi fai felice». Tu, festa di Dio.

La sua gioia è stare con i figli dell'uomo. Il suo nome è Io-sono-con-te: «non temere, dovunque tu andrai, in tutti i passi che farai, quando cadrai e ti farai male, non temere, io sono con te; quando ti rialzerai e sorriderai di nuovo, io sarò ancora con te». È con te Colui che mai abbandona, vicino come il cuore e come il respiro, bello come un sogno. Tutti i giorni, fino al consumarsi del mondo.

Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce dei sogni; solo qui, solo per amore Dio grida. Non per minacciare, per amare di più.

Il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, dell'amore che rende nuova la vita: "ti rinnoverà con il suo amore".

Il Battista invece, quasi in contrappunto, risponde alla domanda più feriale, che sa di mani e di fatica: "e noi che cosa dobbiamo fare?". E il profeta che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome, risponde: "chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha".

Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: "chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha". Nell'ingranaggio del mondo Giovanni getta un verbo forte, "dare". Il primo verbo di un futuro nuovo.

In tutto il Vangelo il verbo amare si traduce con il verbo dare (non c'è amore più grande che dare la vita per quanti si amano; Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio, chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca...). È legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare.

Vengono pubblicani e soldati, pilastri del potere: "e noi che cosa faremo?" "Non prendete, non estorcete, non accumulate". Tre parole per un programma unico: tessere il mondo della fraternità, costruire una terra da cui salga giustizia.

Il profeta sa che Dio si incarna attraverso il rispetto e la venerazione verso tutti gli uomini, come energia che libera dalle ombre della paura che ci invecchiano il cuore. L'amore rinnova (Sofonia), la paura paralizza, ruba il meglio della vita.

«E io, che cosa devo fare?». Non di grandi profeti abbiamo bisogno, ma di tanti piccoli profeti, che là dove sono chiamati a vivere, giorno per giorno, siano generosi di giustizia e di misericordia, che portino il respiro del cielo dentro le cose di ogni giorno. Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessuto buono del mondo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Il Signore ha revocato la nostra condanna, ha disperso il nemico

Da pochi giorni è iniziato il Giubileo della Misericordia e la parola di Dio di questa terza domenica di Avvento, chiamata della "Gioia", viene in soccorso per comprendere il vero significato di questo anno di grazia che il Signore ci ha concesso mediante l'autorità di Papa Francesco che ha indetto questo giubileo straordinario per tutte le necessità spirituali della Chiesa.

Nella prima lettura di oggi, tratta dal profeta Sofonia, il tema della gioia è strettamente rapportato a quello del perdono, il perdono di Dio che rende gioiosa la vita del popolo eletto, coscienze delle sue tristezze e delle sue umane debolezze. "Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura". Primo motivo di gioia è che il Signore ha revocato la condanna. Nella confessione e nel pentimento sincero dei nostri peccati Dio revoca la condanna e ci perdona, al punto tale che, mediante l'acquisto delle sante indulgenze, vengono estinte in noi e per sempre tutte le pene conseguenti ai nostri peccati, soprattutto quelli mortali. E' quindi un motivo di gioia in questo anno del giubilo essere particolarmente felici e contenti di questa concreta possibilità che abbiamo di ritornare ad un condizione di grazia ottimale, con la speranza e il proposito sincero di non ricadere nei peccati di sempre. Altro motivo di gioia è che il Signore ha disperso il nemico. Il nemico più grande dell'uomo è il male, è il peccato, è satana, da cui ha origine ogni male nell'uomo che si lascia tentare e cedere alle sue lusighe. Da questo nemico terribile ci libera la confessione, una vita di grazia e di penitenza che l'anno giubilare ci assicura in modo del tutto singolare. Si tratta, perciò, di una gioia interiore, sacramentale, spirituale e morale, in quanto lontano da ogni ogni peccato e perdonati per quelli della vita passata, noi possiamo andare incontro al Signore con animo nuovo e ricostruito nella sua stessa essenza che è quello della spiritualità duratura. Perciò, nell'attesa di questo Natale 2015, il Natale del Giubileo della Misericordia, bisogna non aver paura, non scoraggiarsi, non abbassare la guardia sul nostro comportamento morale, perché il Signore è con noi e non ci abbandona. Egli è un salvatore potente, che condivide con noi la sua gioia di Padre e di Dio e proprio per questo motivo ci rinnovera nel suo amore, per cantare insieme la gioia che viene dal cielo.

Un altro motivo di gioia ce lo indica l'Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla sua Lettera ai Filippesi, nella quale scrive, con la sua solita attenzione verso i suoi fratelli nella fede, parole molto belle ed incoraggianti, in vista della venuta del Signore. Essere sempre lieti, essere amabili, non angustiarsi per nulla, pregare, chiedere aiuto a Dio, ringraziare, sono le azioni che rendono gioiosa l'esistenza umana e quella cristiana, in modo particolare. Chi vive in questo costante atteggiamento è una persona in pace, una persona serena e tranquilla, in quanto Dio è con lui. 

Troviamo espresso nel testo del vangelo di oggi ancora un motivo di gioia. E a proporcelo come stile di vita costante è San Giovanni Battista, il Precursore che, nel brano del vangelo di Luca, di questa terza domenica di Avvento, quella della gioia, emerge come figura esemplare circa la carità, la giustizia, l'onestà, la rettitudine morale. Per preparare la via alla gioia, la strada a Cristo è necessario fare tutto questo e farlo con azioni concrete e non solo con una teorizzazione del Vangelo che porta i fedeli lontani da una fede vissuta e calata nella storia di oggi e di sempre. Giovanni è chiaro e schietto nel suo parlare, un parlare che invito alla conversione e alla purificazione della vita: "Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile". Nell'anno della misericordia ha un forte impatto sulla nostra mentalità cristiana quanto è possibile fare in questo giubileo, come segno di cammino e conversione personale incontro a Cristo.

Questa voce di Giovanni risuona anche oggi nella Chiesa del XXI secolo dell'era cristiana, per ribadire, anche in questo anno giubilare, quello che viene proclamato da 2000 anni: Viene il Signore. Egli ci battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile. La purificazione avverrà solo e soltanta in Cristo e il Giubileo della misericordia e del perdono lo celebreremo solo e soltanto se ci facciamo purificare da Cristo, se ci lasciamo pulire nei pensieri, nei sentimenti da tutto ciò che è antiCristo, è male ed è peccato. Sia questa la nostra preghiera, oggi, in prossimità al Santo Natale 2015 e a pochi giorni dell'apertura dell'Anno Santo della Misericordia: O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché corriamo sulla via dei tuoi comandamenti, e portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio". Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Il tempo infinito

Alcuni vanno a chiedere a Giovanni il Battista: «Che cosa dobbiamo fare?».

È una domanda etica, che riguarda i comportamenti da assumere nella vita. A questa domanda l’umanità ha dato una risposta che precede sicuramente la venuta di Cristo. Si tratta della regola aurea: fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te, non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te. L’applicazione di questa regola che anche Gesù ha formulato con il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso” é l’anima dei dieci comandamenti; essi semplicemente la declinano nei rapporti degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro secondo il criterio della giustizia distributiva; la giustizia che invoca Giovanni : «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha» (Lc 3,11).

Ma Gesù non é venuto per insegnare una regola che gli uomini già conoscono; certo! Ha esortato a prenderla sul serio. Tuttavia quando egli spinge questa regola oltre se stessa, creando un comandamento che prima non esisteva: «amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27), la domanda che ci sta dietro non é più: «Che cosa dobbiamo fare». Infatti come é possibile mettere in gioco la propria vita spingendola fino all’amore verso i nemici, come si può accettare di metterla in pericolo pur di testimoniarlo? Solo nella serena fiducia che questa vita sia in buone mani, e che, oltre la morte, essa si prolunghi nell’incontro con Dio. Allora la domanda soggiacente diventa un’altra: «Chi siamo, verso dove andiamo, cosa troviamo oltre la breve corsa della nostra vita?». Gesù con la sua morte e la sua risurrezione ha risposto a questa domanda. La Sacra Scrittura conosce un termine per indicare il momento in cui questa risposta viene accolta dal credente; si chiama kairòs, tempo favorevole, tempo di salvezza, ingresso nel tempo di Dio.

Quando questa risposta non viene trovata rimangono due possibilità: o si gioca d’azzardo con la vita in tutte le forme possibili della disperazione (vizi, dipendenze, violenza, autolesionismo, sport estremi) o, nel migliore dei casi, si accetta di vivere con consapevolezza il tempo inteso come chronos, il dio della mitologia greca che divora i suoi figli. Dentro questo tempo inesorabile l’uomo sente di «vivere per la morte» (Heidegger) e dentro questo spazio finito si sforza di esprimere la propria dignità etica.

«Il tempo, come lo viviamo e come noi lo abbiamo concepito, incarna la nostra progressiva scomparsa. Siamo allo stesso tempo vivi e di fronte alla morte», così scriveva nel 1987 l’artista franco-polacco Roman Opalka (riportato dal New York Times del 10 agosto 2011). Erano già passati più di vent’anni da quando Opalka aveva deciso di guardare in faccia, ogni giorno, l’incombere della morte, nello scorrere inesorabile del tempo. Il suo progetto artistico Opalka 1965/1 — ?, lo ha visto ogni giorno scrivere su una tela la data di esso e su una lastra fotografare il suo volto. Così, giorno dopo giorno, ha, per così dire, sfidato la morte stessa, appropriandosi dell’unica libertà possibile: il flash della sua ultima sera. Eppure, ora che questo artista é morto (il 6 agosto 2011, giorno della Trasfigurazione), un dubbio ci viene. Forse dinanzi all’assurdità della morte una risposta l’ha cercata, o forse l’ha vissuta come un desiderio potente di vedere il giorno successivo al suo ultimo giorno; in quell’oltre infatti sembra collocata la fine del suo progetto artistico e non prima. Forse da artista ha raccolto il desiderio, ancora non sopito nel cuore dell’uomo contemporaneo, che quella sfida possa confluire nell’epilogo inatteso di un piccolo segno, ?: quello di un tempo infinito.

Da Sussidio Avvento CEI

 

Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Avvento (Anno C) 13 dicembre 2015

tratto da www.lachiesa.it