6 dicembre 2015 - II Domenica di Avvento: tempo di ricominciare a costruire

News del 05/12/2015 Torna all'elenco delle news

Nel vangelo della seconda domenica di Avvento la liturgia, dopo averci ricordato che il Figlio dell’uomo in un imprevedibile giorno ritornerà, ci riporta ad un momento preciso dell’azione storico-salvifica di Dio: l’anno quindicesimo di Tiberio Cesare. Circa trent’anni prima, una fanciulla di Nazareth aveva detto il suo «sì» incondizionato all’angelo mandato da Dio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola (in greco: rema)» (Lc 1,38). Ora quella stessa parola (rema, Lc 3,2) si posa su Giovanni Battista nel momento in cui comincia la sua predicazione del deserto. E’ il compimento della profezia di Isaia. Il deserto deve diventare la strada attraverso cui possa manifestarsi la salvezza per l’umanità. Anzi quel deserto é l’umanità stessa,  bisognosa di redenzione.

«Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l’umanità», dice Eusebio di Cesarea nel suo Commento al profeta Isaia. Luca infatti proclama: «Ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (v. 6) e usa il termine «carne» (sarx) per indicare la condizione peccatrice dell’uomo; in questo modo egli dice due cose a cui tiene molto: che Gesù é il segno della misericordia del Padre verso i peccatori e che questa misericordia non ha limiti di tempo e di spazio. La strada che si apre in questo deserto é dunque l’umanità assunta da Cristo, non più impervia e inaccessibile a causa del peccato, ma destinata a diventare una fertile pianura. Per questo egli dirà di essere «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), che riconduce al Padre. La sua venuta abbasserà i monti su cui si innalza la superbia umana e colmerà i burroni in cui precipita ogni mortale angoscia; e l’umanità, dal suo esilio, potrà raggiungere la terra promessa della nuova pace con Dio in un deserto in piena fioritura. Infatti il Signore «cambierà il deserto in un lago d'acqua, la terra arida in zona di sorgenti» (Is 41,18).

C’é una grande opera d’arte nel deserto egiziano che, su un territorio vasto quanto dieci campi di calcio, esprime simbolicamente questi significati che scaturiscono dalla predicazione e dall’azione battezzatrice di Giovanni Battista nel deserto. Questa suggestiva opera di Land Art si chiama Desert breath (Respiro del deserto) ed é stata realizzata dall’artista greca Danae Stratou in collaborazione con Alexandra Stratou e Stella Konstantinidis negli anni tra il 1990 e il 1997.

Da un punto focale, che in realtà é un bacino pieno d’acqua perfettamente circolare, partono due spirali verso la stessa direzione, ma dai punti opposti del suo diametro. Questo diametro ha la lunghezza di 30 metri, cioé 3x10, la perfezione del 3 verso tutte le direzioni geografiche e temporali del 10. Il centro d’acqua é un punto “sorgente,  generatore della doppia spirale, costituita da coni pieni a formare delle colline e coni vuoti a formare dei burroni. La spirale evoca lo sviluppo della vita, indica estensione e progresso della creazione che si espande all’infinito. Non a caso é la forma tipica delle galassie. Non pochi fossili preistorici mostrano uno scheletro a spirale e il girasole si volge verso il sole disponendo i suoi semi su linee curve spiraliformi. Alcune culture antiche indicano con la spirale il cammino dopo la morte. Dunque l’acqua del centro alimenta lo sviluppo infinito delle spirali sul cui tracciato il tempo va abbassando i coni pieni e va riempendo i coni vuoti. Le colline vengono abbassate e i burroni colmati, mentre la doppia spirale continua ad avvolgersi protendendo la nuova creazione verso l’infinito dello spazio (tutti i popoli) e del tempo (l’eternità). (tratto da Sussidio CEI AVVENTO e NATALE 2015)

 

Tempo di ricominciare a costruire

Il popolo di Dio, popolo pellegrino, è sempre sulle strade dell'esodo e sulle strade dell'Avvento. All'andare dell'uomo corrisponde il venire di Dio e l'incontro, per fede, è nella carne di Cristo.

Allora la nostra si bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia.

Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per conto di Dio. Accompagnati dalla parola del profeta Baruc, viviamo l'Avvento come un ritornare per accogliere Colui che sempre viene. Abbiamo fede che colui il quale ha iniziato l'opera buona la porterà a compimento.

Siamo invitati - è questa la proposta della fede - a preparare la strada del cuore al Signore. Solo così, accogliendo Colui che viene, le nostre piccole storie diventeranno, per fede, la storia stessa di Dio, e ogni uomo vedrà la sua salvezza. Crederci è già iniziare il cammino. Ci accorgeremo che nel pellegrinaggio un Altro ci verrà incontro. 

Omelia di mons. Giuseppe Giudice

 

Nessuno è così piccolo da non poter essere profeta

Luca dà inizio al racconto dell'attività pubblica di Ge­sù con una pagina solenne, quasi maestosa, un lungo elenco di re e sacerdoti, che improvvisa­mente subisce uno scarto, un di­rottamento: un sassolino del de­serto cade dentro l'ingranaggio collaudato della storia e ne mu­ta il passo: la Parola di Dio ven­ne su Giovanni nel deserto.

La Parola, fragile e immensa, vie­ne come l'estasi della storia, di u­na storia che non basta più a se stessa; le inietta un'estasi, che è come un uscire da sé, un sollevarsi sopra le logiche di potere, un dirottarsi dai soliti bi­nari, lontano dalle grandi capita­li, via dalle regge e dai cortigiani, a perdersi nel deserto. È il Dio che sceglie i piccoli, che «abbatte i po­tenti», che fa dei poveri i princi­pi del suo regno, cui basta un uo­mo solo che si lasci infiammare dalla sua Parola.

Chi conta nella storia? Erode sarà ricordato solo perché ha tentato di uccidere quel Bambino; Pilato perché l'ha condannato a morte. Nella storia conta davvero chi co­mincia a pensare pensieri buoni, i pensieri di Dio. La parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto.

Ma parola di Dio viene ancora, è sempre in volo in cerca di uomi­ni e donne dove porre il suo ni­do, di gente semplice e vera, che voglia diventare «sillaba del Ver­bo» ( Turoldo). Perché nessuno è così piccolo o così peccatore, nes­suno conta così poco da non po­ter diventare profeta del Signore. «Voce di uno che grida nel deser­to: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni burrone sarà riempito, ogni mon­te abbassato; le vie tortuose di­venteranno diritte e quelle im­pervie, spianate».

La voce dipinge un paesaggio a­spro e difficile, che ha i tratti du­ri e violenti della storia: le mon­tagne invalicabili sono quei mu­ri che tagliano in due villaggi, case e oliveti; i burroni scoscesi sono le trincee scavate per non offrire bersaglio e per meglio uc­cidere; sono l'isolarsi per pau­ra... È anche la nostra geografia interiore, una mappa di ferite mai guarite, di abbandoni pati­ti o inflitti. Il profeta però vede oltre, vede strade che corrono diritte e piane, burroni colmati, monti spianati.

Per il viaggio mai finito dell'uomo verso l'uomo, dell'uomo verso il suo cuore. E soprattutto di Dio verso l'uomo.

Un'opera imponente e gioiosa, e a portarla a compimento sarà Co­lui che l'ha iniziata. L'esito è cer­to, perché il profeta assicura «Ogni uomo vedrà la salvezza». O­gni uomo? Sì, esattamente que­sto: ogni uomo. Dio viene e non si fermerà davanti a burroni o montagne, e neppure davanti al mio contorto cuore. Raggiungerà ogni uomo, gli porrà la sua Paro­la nel grembo, potenza di parto di un mondo nuovo e felice, dove tutto ciò che è umano trovi eco nel cuore di Dio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Al di là del castigo, la misericordia

Segretario di Geremia durante la deportazione a Babilonia, il profeta Baruc, dopo la preghiera penitenziale del popolo oppresso, inizia la sua esortazione di incoraggiamento agli Israeliti. Essi hanno dovuto subire la punizione per la loro ostinazione alla malvagità e all'idolatria, ma adesso possono confidare nella misericordia di Dio che dopo aver condannato i loro errori si mostra munifico e provvidente: il popolo sarà liberato e godrà della pace e della giustizia. Alle pene e alle afflizioni subentreranno gioia ed esaltazione. Dio castiga e usa misericordia (Tb 13, 5) e ogni suo provvedimento verte al recupero dell'uomo e al ripristino della sua comunione con Lui. Quando Dio interviene drasticamente ciò è sempre ai fini di correggere e di emendare l'uomo dalla sua condotta perversa, ma alla punizione subentra sempre la consolazione e la restaurazione della pace e della concordia. Nel rapporto personale con Dio dipende il progresso materiale e spirituale dell'uomo e, come dice del resto Dante, nella sua volontà è la nostra pace. E' il messaggio di tutti i profeti dell'Antico Testamento, che sottolineano l'importanza della scelta di conversione in rapporto alla primaria iniziava salvifica di Dio. Essi annunciano un Dio che prende le distanze dal male e dalle ingiustizie, che non omette di intervenire per ristabilire l'ordine e l'equilibrio, soprattutto quando a fare le spese della malvagità sono i deboli, i poveri e gli esclusi. Soprattutto in favore di questi Dio è risoluto nel mostrare la sua equità e giustizia. Ma nella parola dei profeti vi è anche la promessa della riconciliazione e della pace una volta che, subita e assimilata la giusta punizione, ci si disporrà alla seria conversione.

"Preparate la via del Signore, raddrizzare i suoi sentieri perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" sono le parole del profeta Isaia, che similmente a Baruc utilizza immagini fascinose e plastiche per esaltare la novità di cui potranno godere tutti: "Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate." Esse vengono riprese dall'Evangelista Luca che le applica alla missione di un altro personaggio speciale e del tutto singolare quanto alla persona, al vitto e all'ambiente in cui vive: Giovanni il Battista. Questi veste di peli di cammello e vivendo e predicando nel deserto osserva un regime di privazione assoluta, cibandosi di locuste e miele selvatico anche se al di la della severità esteriore con cui tratta il corpo vi sempre la volontà di un rinnovamento interiore. Nel deserto Giovanni annuncia una novità che riverbera in tutti gli uomini che lo ascoltano e che costituisce la promessa fondamentale della storia: ogni uomo vedrà la salvezza di Dio perché il Messia è alle porte e non si fa attendere.

La sua predicazione scuote gli animi, provoca turbative interiori, suscita sgomenti interrogativi negli uomini su se stessi. La parola di Giovanni è fastidiosa per alcuni (come si vedrà al momento del suo martirio), ma per tanti è motivo di trepidazione per il potere che ha di scuotere le coscienze e di chiamare all'appello la coerenza di ciascun uomo. Finalmente rende consapevoli della necessità di cambiare radicalmente le nostre vedute perché assumiamo il pensiero di Dio che è di gran lunga distante dal nostro. L'invito è pressante ed eloquente: che si seguano le vie di Dio, i suoi percorsi e ci si attenga esclusivamente ai suoi progetti su ciascuno di noi.

"Giovanni" in ebraico significa "Dio ha avuto misericordia" e in effetti nella figura e nel messaggio di questo eccentrico personaggio vi è l'attenzione di Dio nei nostri confronti.

. Occorre che raddrizziamo i nostri sentieri per farne delle strade di comunicazione immediata, per realizzare delle vie di accesso che procedano da Dio, raggiungano i fratelli nell'amore e nella carità e a Dio poi ritornino. Strade di comunicazione e non sentieri impervi dei quali solitamente ci accontentiamo. In parole povere Giovanni ci invita a convertirci a Dio, il che non costituisce un atto unico e definitivo, ma interessa ogni atto della nostra vita, anche (anzi: soprattutto) quando presumiamo che la conversione in noi sia già avvenuta o quando siamo convinti che la nostra fede sia radicata. In realtà occorre sempre predisporre le vie del Signore rivedendo continuamente noi stessi e provvedendo ad abbandonare ogni sorta di male e di peccato per cercare sempre il bene. Come insegnerà poi Paolo "coloro che usano di questo mondo, facciano come se non ne usassero a fondo perché passa la scena di questo mondo" (1Cor 7, 31) e soltanto l'amore garantisce l'eternità. Qual è lo scopo del nostro continuo affezionarci al vago, all'effimero e al transitorio di questa vita? Quale il vero vantaggio delle nostre sicurezze materiali o della nostra presunta autoaffermazione sugli altri? Quale utilità hanno mai mostrato l'odio, la violenza e la sopraffazione? Tutto è destinato a perire e ogni felicità mondana è puramente passeggera, destinata a durare quanto dura. Piuttosto occorre cercare Dio al di sopra di ogni cosa, dare la precedenza allo spirituale sul materiale e non lasciare che la caducità di questo mondo ci renda schiavi. In conseguenza di questo, adoperarci per il bene dei fratelli soprattutto più poveri e abbandonati perché il segno evidente della conversione e della fede risiede solamente nella carità e nella generosa disposizione che sapremo dare ai poveri e ai sofferenti. Con Giovanni Battista siamo chiamati non a dissetarci a una sorgente quando assetati, ma a costruire pozzi perché anche altri non muoiano di sete. Non semplicemente a raddrizzare i sentieri, ma soprattutto (Come già detto) a trasformare i sentieri in strade percorribili e in vie di comunicazione con Dio e con i fratelli. Fede, speranza e carità, ma ancor prima conversione, cioè presa di coscienza che solo in Dio vi è possibilità di salvezza. Al di là del castigo, sempre misericordia.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Avvento (Anno C) 6 dicembe 2015

tratto da www.lachiesa.it