15 novembre 2015 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: ogni giorno c'è un mondo che muore, ma ogni giorno c'è un mondo che nasce

News del 14/11/2015 Torna all'elenco delle news

Un Vangelo sulla crisi e contemporanea­mente sulla speran­za, che non profetizza la fi­ne del mondo, ma il signifi­cato del mondo.

La prima verità è che il mon­do è fragile: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo...

Non solo il sole, la luna, le stelle, ma anche le istituzio­ni, la società, l'economia, la famiglia e la nostra stessa vi­ta sono molto fragili.

Ma la seconda verità è che ogni giorno c'è un mondo che muore, ma ogni giorno c'è un mondo che nasce. Ca­dono molti punti di riferi­mento, vecchie cose vanno in frantumi: costumi, lin­guaggi, comportamenti, ma ci sono anche sentori di nuove primavere. La spe­ranza ha l'immagine della prima fogliolina di fico: Dal­la pianta di fico imparate: quando spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina.

Allora dentro la fragilità drammatica della storia possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall'inverno alla primavera, come un uscire dalla notte alla luce. Ben vengano certe scosse di pri­mavera a smantellare ciò che merita di essere cancel­lato.

Quanto morir perché la vita nasca (Clemente Rebo­ra). Ma dopo si tratta di ri­costruire, facendo leva su due punti di forza.

Il primo: quando vedrete ac­cadere queste cose sappiate che Egli è vicino, il Signore è alle porte. La nostra forza è che «Dio non ha chiuso il suo cuore e la sua strada passa ancora sul nostro ma­re d'Esodo, mare inquieto, mare profondo, anche se non ne vediamo le orme» (Salmo 77,20). A noi spetta assecondare la sua creazio­ne. Come una nave che non è in ansia per la rotta, per­ché ha su di sè il suo Vento di vita.

Il secondo punto di forza è la nostra stessa fragilità. Per la sua fragilità l'uomo cerca appoggi, cerca legami e a­more. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno de­gli altri. Ed è appoggiando una fragilità sull'altra che so­steniamo il mondo.

Dio è dentro la nostra ricer­ca di legami, viene attraver­so le persone che amiamo. «Ogni carne è intrisa d'ani­ma e umida di Dio» (Bastai­re). I nostri familiari sono il linguaggio di Dio, la sua quotidiana catechesi, il toc­co della sua presenza, sa­cramento della sua grazia.

Il profeta Daniele allarga la visione: «Uomini giusti e santi salgono nella casa del­le luci, dove risplenderanno come stelle», vicino a me, lontano da me, da mille luo­ghi salgono nella casa della luce: sono coloro che indu­cono me e tutto il mondo a essere più giusto, più libero e santo.

Sono come stelle, sono mol­ti. Guardiamo a loro, per non sprecare i giusti del nostro mondo, per non dissipare il tesoro di bontà del nostro tempo, quel tesoro che ger­mina anche, come fogliolina di primavera, in ciascuna delle nostre case.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Dal'angoscia alla vita per sempre

Nelle ultime domeniche dell'anno liturgico, la parola di Dio ci fa riflettere sui novissimi, sulle ultime cose che si verificheranno, quando il Signore verrà a giudicare i vivi ed i morti, secondo quanto noi professiamo nel Credo. Si tratta di un aspetto importante della nostra fede che non possiamo sottacere, anche se ci possono far preoccupare le cose che ascoltiamo nei testi biblici, del cosiddetto genere apocalittico, ovvero di una modalità comunicativa nella quale è evidente la dimensione escatologica del nostro credere nel mondo che verrà. Credere nella terra e nei cieli nuovi che Cristo, nel suo secondo e definitivo avvento realizzerà come ricapitolazione di tutto ciò che fino allora sarà svolto. Già nella prima lettura della parola di Dio tratta dal libro di Daniele, si fa riferimento a questo mondo che verrà. Sarà l'Arcangelo Michele a fare pulizia sulla terra. Un evidente richiamo alla morte, al giudizio di Dio e alla risurrezione per la vita (il paradiso) o per la morte (l'inferno). Un futuro eterno positivo per quanti fecero; un futuro eterno triste per quanti fecero il male. Nella preghiera iniziale della santa messa di oggi, la Colletta, ci rivolgiamo al Signore con queste parole: O Dio, che vegli sulle sorti del tuo popolo, accresci in noi la fede che quanti dormono nella polvere si risveglieranno; donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio, che verrà per riunire tutti gli eletti nel suo regno".

Strettamente ancorato al testo della prima lettura è il Vangelo di oggi, tratto da San Marco, ove è descritto il giudizio universale, con forti accenti apocalittici. Il brano della Vangelo che sarà oggetto di meditazione e di approfondimento catechetico ed omiletico, richiede una personale riflessione su di esso ed una risposta coerente con quanto vi è scritto in esso. E' Gesù stesso che svolge per noi una catechesi sulle ultime cose che accadranno su questo mondo: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte". La fine della storia di questo mondo è descritta in questo modo terribile. E ciò non solo per metterci angoscia e preoccupazione, ma per responsabilizzarci di fronte alla vita, alla storia, all'eternità che si avvicina sempre di più per tutti. Il dopo della distruzione è descritto con l'avvento di Cristo, il suo secondo ritorno, quello definitivo.

Cosa fare di fronte a questo monito, ad questo invito a prepararci ad incontrare Dio? Dobbiamo imparare la lezione della natura, del cosmo. Gesù, infatti, sottolinea, nel brando del Vangelo di oggi: " Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte".

Da questa lezione di Cristo, ne consegue la presa coscienza della precarietà e della provvisorietà della vita umana sulla terra. Gesù dice: "In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

La parola di Dio è fedele ed eterna. Non bisogna entrare nel panico se le cose non vanno secondo le nostre umane aspettative. E' importante aprirsi a Dio, in quanto la nostra fine è segnata nel registro della vita, ma a noi non è dato sapere il giorno e l'ora in cui accadrà. Perciò, dobbiamo essere vigilanti, in pace con tutti e soprattutto nella grazia. Ecco perché il brano del vangelo di questa domenica si incentra sul questo beve passo della Scrittura, con chiari intenti apocalittici: "Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre". Vigilanti nell'attesa della seconda e definitiva venuta di Cristo. In questa vigilante attesa, dobbiamo comportarci in modo degno della nostra vocazione. ..Il modello di ogni cristiano e soprattutto di ogni sacerdote è Gesù Cristo.

Vivere con il pensiero rivolto all'eternità, alle cose nuove che verranno, in senso positivo, ci aiuta a vivere meglio ciò che di temporale e spaziale ha assegnato il Signore a ciascuno di noi. Quindi dall'angoscia e dalla paura dobbiamo uscire per vivere nella speranza e nella gioia, sapendo che il giorno del Signore, sarà il giorno della gioia e della gloria, perché Cristo che verrà a giudicare i vivi e morti porterà solo speranza a questa umanità.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Ma le mie parole non passeranno

Questa domenica è la penultima dell'anno liturgico, cioè dell'anno come la liturgia propone di viverlo. La proposta è complessa; ma nelle sue linee generali può essere intesa come un cercare di capire chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo: e, allo scopo, ripercorrere ogni anno l'intera storia dell'umanità, relativamente ai suoi rapporti con Dio. Si comincia con il tempo di Avvento (le quattro settimane precedenti il Natale), che richiama i secoli anteriori alla venuta di Cristo. Poi, da Natale a Pasqua e Pentecoste, l'attenzione si focalizza sull'opera da lui compiuta, la redenzione dell'umanità. Segue il "tempo ordinario", durante il quale si riflette sugli insegnamenti di lui, per vivere come si conviene il tempo presente. Infine, nelle due ultime domeniche si guarda al futuro, alle realtà ultime che investono i singoli uomini e l'umanità intera.

Seguendo la tradizione giudaica, i vangeli presentano le realtà ultime in termini grandiosi e terribili, quelli che si usa chiamare apocalittici. Ne è esempio il brano di oggi (Marco 13,24-32) in cui si parla di sconvolgimenti cosmici: il sole e la luna si spegneranno, le stelle cadranno dal cielo e il Figlio dell'uomo (è l'espressione con cui Gesù designava se stesso) si manifesterà in tutta la sua potenza e la sua gloria, convocando tutti davanti a sé. Va detto subito che queste immagini non sono da prendere alla lettera: sono simboli, per dire che il mondo presente è destinato a finire; solo Dio rimane per sempre e con lui vivranno per sempre tutti quanti l'avranno meritato.

Quando avverrà tutto questo?...Ai credenti dovrebbe bastare la parola di Gesù: il giorno in cui questo mondo passerà, lo conosce soltanto Dio. Tuttavia, qualcosa in proposito si ricava con chiarezza dalle sacre Scritture, se si distingue tra la fine di questo mondo, che resta per noi inconoscibile, e la fine della nostra presenza in questo mondo, cioè il giorno in cui questo mondo passerà per ciascuno di noi...la nostra vita nell'eternità è nelle nostre mani adesso, dipende da come viviamo adesso; il nostro futuro è quello che costruiamo adesso.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Il futuro e il nostro "frattempo"

Con i piedi per terra e con gli occhi al cielo. Questa è in sintesi la pedagogia di vita che ci viene trasmessa dalle Letture di questa Domenica, nelle quali riscontriamo un'esortazione all'attesa e alla speranza, poiché la storia presente è destinata ad avere un epilogo e l'uomo intratterrà negli ultimi tempi un incontro con il suo Creatore così come lo ebbe alle origini, quando Dio gli affidava il cosmo e la realtà presente. Come vi è stata una creazione, nella quale l'uomo è stato collocato al centro, così vi sarà una "nuova creazione", un termine della storia presente per un ordine nuovo della cose, nel quale l'uomo sarà ancora collocato al centro. Questa volta però l'incontro non avverrà per l'affidamento, ma per il giudizio. Si parla infatti della fine dei nostri tempi, del culmine della storia e della conclusione universale del presente, in una parola del Giudizio Universale. Cosa avverrà esattamente al termine della storia presente? Le pagine bibliche di oggi descrivono allusioni simboliche tipiche del linguaggio apocalittico, che si servono di immagini e di figure per tratteggiare una realtà sovrumana alquanto terribile, ma ciò di cui possiamo essere certi è che avverrà un incontro finale fra Dio e l'umanità, la realizzazione di un appuntamento che ci è stato dato nel presente e che avrà compimento nel futuro. Come dice Paolo, Cristo ormai risorto che vive per sempre verrà a giudicare i vivi e i morti e realizzerà definitivamente la giustizia di Dio (2 Tm 4, 1; Rm 2, 5). Il nuovo Testamento, sulla scia di Daniele (I Lettura) parla anche di resurrezione degli uomini, chi per il premio eterno, chi per la condanna definitiva: nel suo Figlio, che tornerà glorioso e imperante, Dio giudicherà i vivi e i morti e ciascuno raccoglierà secondo la vita che avrà condotto su questa terra. Vi saranno fra gli uomini coloro che avranno perseverato nel bene e saranno salvati definitivamente regnando per sempre con Cristo; altri che avranno preferito il male al bene nell'ostinazione al peccato e alla malvagità, precipiteranno nell'abisso della condanna eterna. Non tuttavia perché Dio vorrà vendicarsi o esternare ira ritorsiva, ma perché essi stessi avranno scelto la loro fine per mezzo di una condotta empia. Il giorno della resa dei conti sarà quindi risolutivo dell'incontro personale di ciascuno con Dio, ma anche della relazione di ciascuno con se stesso perché sarà parametro di misura della responsabilità personale di ogni singolo soggetto umano. Nel giudizio non troveremo un Dio vendicativo o giustiziere quale potremmo immaginare un sovrano assiso sul trono che punta l'indice contro, ma un Dio che semplicemente svelerà la vera realtà di noi stessi, la deliberazione decisionale e l'affermata volontà di ciascuno. Le nostre decisioni personali ci saranno rivelate e assieme ad esse la qualità della vita che avremo vissuto al presente. Il parole povere, così come avremo vissuto il presente troveremo il giudizio finale. Nella misura in cui avremo perseverato nel bene, troveremo il vero Bene per noi; nella modo in cui eventualmente avremo optato per il male saremo condannati al Male. Nella misura in cui, nella fede, avremo saputo incontrare Dio nella nostra vita presente, così lo troveremo al momento finale, quando si realizzerà l'incontro. La speranza della vita presente ci esorta dunque a perseverare nella certezza che alla fine la giustizia trionferà e inabiterà per sempre nel mondo, perché sarà lo stesso Giusto Giudice a redarguire la nostra fedeltà. La realtà del Giudizio Universale non può non essere per noi di sprone e di incoraggiamento nella consapevolezza di un futuro proporzionato al nostro presente nel quale tuttavia raggiungeremo ciò che adesso è solo in divenire. "Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" (1Cor 13, 12) e comprenderemo davvero tutto, avremo la prova di ciò che adesso non possiamo fare esperienza sensoriale. La nostra vita attuale è un "frattempo", una dimensione del provvisorio nel quale si esercita la virtù in attesa del compimento della speranza, un progredire della vita per andare incontro alla Vita per sempre.

Diceva Giovanni Paolo II: "Sappiamo che in questa fase terrena tutto è sotto il segno del limite, tuttavia il pensiero delle realtà "ultime" ci aiuta a vivere bene le realtà "penultime". Siamo consapevoli che mentre camminiamo in questo mondo siamo chiamati a cercare "le cose di lassù dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio"(Col 3, 11) per essere così con lui nel compimento escatologico, quando egli riconcilierà totalmente con il Padre "le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1, 20)" La certezza del domani non deve tradursi nella fuga dal presente o nel deprezzamento del mondo di adesso in vista di un rifugio futuro; non è la vile alienazione dalla realtà attuale per l'ansia di un paradiso nel quale buttarci a capofitto dopo essere usciti da una prigione alienante. Se così fosse avremmo travisato l'amore di Cristo per questo mondo e il suo reale messaggio. Piuttosto il futuro deve farci vivere il presente con intensità, fiducia e ottimismo peché appunto nell'oggi va incontrato il Dio dell'incontro definitivo. E' nella dimensione attuale che siamo chiamati a entrare in comunione con il Signore futuro che nella fede presenzia nel nostro frattempo, ma ciò sarebbe impossibile e melense se interpretassimo la vita presente come una condanna nella quale sospirare.

Come suggerisce per inciso Lino Pedron, occorre piuttosto adesso "accontentarsi degli specchi" e della realtà opaca che tuttavia non ci impedisce di riscontrare la presenza di Dio nella nostra vita. Nel presente percepiamo che Dio è amore e misericordia nonostante la realtà e il mondo tendano a sconfessarlo come tale; che Dio è luce nonostante il mondo preferisca persistere nelle tenebre; che Dio è onnipotente in tutto nonostante l'uomo preferisca un Dio impotente nelle sue azioni peccaminose. La vita attuale è un preambolo dell'incontro futuro con Cristo giudice risorto se sappiamo riconoscere, nella confusione di questo specchio, lo stesso Giudice che ci approva e non ci condanna, il giudice che perdona e che riconcilia con il Padre poiché "Dio non ha mandato il suo Figlio a condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi attraverso di lui" (Gv 3, 17).

In questo "frattempo" la fede ci schiude alla speranza e ci consolida nella comunione con il Dio invisibile che si realizza nell'uomo visibile (1Gv) attraverso la carità e ci rasserena che non è mai vano il nostro prodigarci attuale per il bene, in quanto il futuro si costruisce con i mattoni del presente.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 15 novembre 2015

tratto da www.lachiesa.it