8 novembre 2015 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario: non importa quanto dai, se non dai prima te stesso

News del 07/11/2015 Torna all'elenco delle news

Sulla scena del Vangelo oggi appaiono due povere donne: due vedove. Povere, ma ricche di fede. Ricche di Dio, ma povere di mezzi.

La condizione dell'uomo è tesa sempre tra questi due estremi: ricchezza e povertà. Dio sostiene l'orfano e la vedova, mentre le vie degli empi sono sconvolte. Una vedova accoglie Elia perseguitato e la farina della giara non viene meno e l'olio nell'orcio non diminuisce. Una vedova nel Vangelo, fidandosi solamente di Dio, versa nel tesoro quanto ha per vivere. Dinanzi ai ricchi di orgoglio, Gesù la loda. La loda perché ha dato di più; ha dato tutto; ha dato la vita.

Come Gesù, il Figlio di Dio, che consegna anche l'ultima goccia di sangue. E tutto questo, per ogni uomo, una volta per sempre.

Omelia di mons. Giuseppe Giudice

 

La "povera vedova" icona della Chiesa

Pur essendo tanto amati da Dio, rispetto a Lui siamo davvero "nulla", e tante volte anche agli occhi degli altri nulla abbiamo che ci possa rendere superiori a loro, se non il dono della santità. Ma la santità non è "superiorità": è espressione di un grande dono di Dio, che gli uomini possono accogliere con totalità, ma se non ci fosse la Grazia, davvero saremmo un nulla a tutti gli effetti.

Non è il soldo o la fama che ci fanno grandi, ma l'amore e la santità, che sono dono di Dio.

Il Vangelo di oggi offre parecchie considerazioni, che sono uno sguardo di Dio su ciò che veramente siamo in ogni momento della vita. Una Parola che deve invitare a guardare dentro di noi, per capire chi siamo ai Suoi occhi.

Gesù, guardando gli scribi e i farisei - persone considerate importanti a quel tempo - ci mette subito in guardia. Papa Francesco ha definito con chiarezza questo atteggiamento ipocrita, smascherato da Gesù: "L'ipocrisia è quel modo di vivere, di agire, di parlare che non è chiaro. Forse sorride, forse è serio... Non è luce, non è tenebra... Si muove in una maniera che sembra non minacciare nessuno, come la serpe, ma ha il fascino del chiaroscuro. Ha quel fascino di non avere le cose chiare, di non dire le cose chiaramente; il fascino della menzogna, delle apparenze... Ai farisei ipocriti, Gesù diceva anche che erano pieni di se stessi, di vanità, che a loro piaceva passeggiare nelle piazze facendo vedere che erano importanti, gente colta...".

Quanto è fastidioso quel loro mettere in mostra un'apparente giustizia e bontà, ad iniziare dalle lunghe preghiere... tranne poi - e qui Gesù usa un verbo davvero pesante - "divorare", cioè depredare i più deboli, rappresentati dalle vedove.

E S. Marco fa seguire un fatto, che descrive meglio di ogni parola il pensiero di Gesù. "Sedutosi, di fronte al tesoro del tempio, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova, vi gettò due spiccioli, ossia un quattrino"

Gesù sconvolge tutte le nostre regole e i comportamenti che spesso consideriamo necessari per stare a galla in questo mondo. Lui non guarda mai al "quanto", ma al "come", al cuore!

Dei ricchi che gettavano monete d'oro afferma: "Tutti hanno dato del loro superfluo", cioè non è costato loro alcun sacrificio: era qualcosa che avanzava e quindi non merita alcuna lode, alcun risalto... hanno già ricevuto dagli uomini i loro "applausi"!

Il suo stupore e la sua ammirazione sono tutte per la povera vedova, che nella sua povertà vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere.

Quella povera vedova senza nome non sapeva che in quel momento sulla bocca di Gesù occupava la prima pagina: una pagina che Lui ha voluto giungesse fino a noi, come si parlasse di un grande personaggio. Una grandezza che si acquista in silenzio: il silenzio del dono totale di sé, fatto con tutto il cuore, con semplicità, come fosse la cosa più naturale, togliendo spazio ad ogni sicurezza personale. Come se il bene degli altri valesse di più, molto di più della propria vita. Questa non è una povera vedova: questa è veramente una grande signora del Regno di Dio. Magari fossimo degni anche noi di vivere con un tale cuore ed avere lo stupore di Gesù!

Benedetto XVI, a Brescia, nel novembre del 2009, quando non era ancora emerito, parlò dell'obolo della vedova, come immagine della vita della Chiesa, esaltando al contempo la figura del caro e beato Paolo VI. Queste le sue parole: "A partire da questa icona evangelica, desidero meditare brevemente sul mistero della Chiesa, del Tempio vivo di Dio, e così rendere omaggio alla memoria del grande papa Paolo VI, che alla Chiesa ha consacrato tutta la sua vita. La Chiesa è un organismo spirituale concreto che prolunga nello spazio e nel tempo l'oblazione del Figlio di Dio, un sacrificio apparentemente insignificante rispetto alle dimensioni del mondo e della storia, ma decisivo agli occhi di Dio... In quell'unica oblazione è condensato tutto l'amore del Figlio di Dio, come nel gesto della vedova è concentrato tutto l'amore di quella donna per Dio e per i fratelli: non manca niente e niente vi si potrebbe aggiungere. La Chiesa, che incessantemente nasce dall'Eucaristia, dall'autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo... È questa la Chiesa che il servo di Dio Paolo VI ha amato di amore appassionato e ha cercato con tutte le sue forze di far comprendere e amare. Rileggiamo il suo "Pensiero alla morte", là dove parla della Chiesa. "Potrei dire - scrive - che sempre l'ho amata... e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse... Corpo mistico di Cristo... Alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo".

E Benedetto XVI conclude: "Vorrei sottolineare quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev'essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea".

Così è chiesto di essere a ciascuno di noi, che formiamo la Chiesa, popolo in cammino con i Pastori che Dio ha scelto per lei. Così sia.

Omelia di mons. Antonio Riboldi

 

La carità genera la provvidenza e la conserva per sempre

E' questa la sintesi della parola di Dio di questa XXXII domenica del tempo ordinario, ad un mese esatto dal grande giubileo della misericordia, indetto da Papa Francesco e che inizia l'8 dicembre prossimo. Partendo, appunto dal testo della prima lettura, nella quale troviamo il Profeta Elia come mendicante per le case di Sarepta, che incontra la generosità di una donna, vedova, con un figlio, per poi passare agli altri testi sulla carità, l'accoglienza e la generosità che sono messi alla nostra attenzione e meditazione in questa domenica, possiamo ben dire con assoluta certezza che solo l'amore cambia il cuore delle persone e il mondo. Acqua e pane di cui viene rifornito Elia da questa povera donna vedova, esprimono un gesto di amore e di carità sincera nei confronti dell'uomo di Dio che, poi, proprio perché può molto presso il Signore, assicura a quella casa il cibo non solo per pochi giorni, ma per sempre. Un gesto di generosità ha un valore di eternità, non si ferma al momento in cui lo facciamo. Davanti a Dio ha un valore immenso. E la generosità di un'altra donna, anche questa vedova, è messa in risalto nel vangelo di oggi. Nel brano che, infatti, leggiamo in questa domenica, tratto dal Vangelo di Marco, Gesù, dopo la catechesi nel mettere in guardia i suoi discepoli dal lievito dei farisei, condannandoli apertamente per la loro ipocrisia e per la loro osservanza esteriore della legge, si mette ad osservare, da un punto molto preciso, di fronte al tesoro, tutte le persone che lasciano la loro offerta per il tempio di Gerusalemme. E cosa nota? "Come la folla vi gettava monete". Osserva con rammarico "che tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo". Poteva essere un fatto scontato, ovvio. Invece Gesù coglie l'occasione per fa notare ai suoi discepoli una cosa importante e che esplicita e manifesta subito con la sua parola di verità: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». I gesti di generosità vera e di amore verso Dio e verso il prossimo sono totali, non ammettono il superfluo, ma l'essenziale, ciò che è indispensabile alla propria salute e vita. Chi sa donare a Dio e agli altri questo è sulla strada della verità e della santità. La raccomandazione che ne deriva, è espressa da Gesù nei versetti iniziali del brano del Vangelo di oggi: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Questo monito oggi ha attinenza non solo con il mondo dei non credenti, ma anche con il nostro mondo, il mondo dei cristiani, dei cattolici. Un mondo fatto solo di apparenza, di esibizione, di mostrarsi ricchi, benestanti e potenti, sfruttando la povera gente. Quante persone, immoralmente e illegalmente si mangiano, i sacrifici delle persone oneste, che spesso sono private delle cose essenziali e disperate si tolgono la vita o fanno una vita da miseri e da affamati. Gesù condanna apertamente la spettacolarizzazione della fede e l'ostentazione nel fare il bene.

Se il bene deve essere fatto, come è giusto che sia, lo si faccia nella umiltà e semplicità, senza ostentare superiorità di alcuni genere. Il modello di questo donarsi agli altri, fino al sacrificio totale della propria vita è Gesù stesso e sul suo esempio sono i martiri del tempo di Gesù e della primitiva chiesa, ma anche i martiri di due millenni di era cristiana che hanno testimoniato la loro fede in Gesù Cristo vivendo in gravi disagi e difficoltà, confidando pienamente nella protezione del cielo.

Nel brano della seconda lettura, tratto dalla Lettera agli Ebrei, si comprende perfettamente in quale posto dobbiamo collocarci assumendo come esempio di vita Gesù Redentore. A questo Gesù, mite ed umile, ci dobbiamo ispirare. E per poter realizzare questo sogno possibile basta da osservare e metterle in pratica alcune cose fondamentali: la giustizia, la carità, l'onestà e la rettitudine nei comportamenti umani e sociali, forti della parola di Dio che nel Salmo 145 ci rammenta alcune importanti aspetti della vita di relazione con Dio e sintetizzati nella Colletta di questa Domenica XXXII del tempo ordinario. Infatti nella preghiera iniziale dell'assemblea eucaristica domenicale, preghiamo con queste parole aperte alla speranza e alla fiducia nel Signore: "O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a donare sull'esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

tratto da www.lachiesa.it