2 agosto 2015 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario: Dio dà, si offre, diventa il nostro pane
News del 01/08/2015 Torna all'elenco delle news
Un Vangelo di grandi domande. Chiedono a Gesù: Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Egli risponde: Questa è l'opera di Dio, credere in colui che egli ha mandato.
Al cuore della fede sta la tenace, dolcissima fiducia che Dio ha il volto di Cristo, il volto di uno che sa soltanto amare. Nessun aspetto minaccioso, ma solo le due ali aperte di una chioccia che protegge e custodisce i suoi pulcini (Lc 13,34). È questa fiducia che ti cambia la vita per sempre, un'esperienza che se la provi anche una volta sola, dopo non sei più lo stesso: sentirti amato, teneramente, costantemente, appassionatamente, gelosamente amato. E sentire che lo stesso amore avvolge ogni creatura.
Quale segno fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? La risposta di Gesù: Io sono il Pane della vita. Un solo segno: io nutro. Nutrire è fare cosa da Dio. Offrire bocconi di vita ai morsi dell'umana fame, quella del corpo e quella che il pane della terra non basta a saziare. Pane di cielo cerca l'uomo, cibo per l'anima: vuole addentare la vita, goderla e gioirne in comunione, saziarsi d'amore, ubriacarsi del vino di Dio, che ha il profumo stordente della felicità.
Come un tempo ha dato la manna ai padri vostri nel deserto, così oggi ancora Dio dà. Fermiamo l'attenzione su questo: Dio dà. Due parole semplicissime eppure chiave di volta della rivelazione biblica.
Dio non chiede, Dio dà.
Dio non pretende, Dio offre.
Dio non esige nulla, dona tutto.
Un verbo così facile, così semplice, così concreto: dare, che racchiude il cuore di Dio. Dare, senza condizioni, senza contropartite; dare senza un perché che non sia l'intimo bisogno di fecondare, far fiorire, fruttificare vita.
«Dio offre i suoi doni su piatti di luce, avvolti in bende di luce» (Rab'ia): ciò che il Padre offre è il Pane che è la luce e la vita del mondo.
Dio non dà cose, Egli può dare nulla di meno di se stesso. Ma dandoci se stesso ci dà tutto. Siamo davanti a uno dei vertici del Vangelo, a uno dei nomi più belli di Dio: Egli è nella vita datore di vita. Dalle sue mani la vita fluisce illimitata e inarrestabile.
Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù distribuiva il pane, oggi si distribuisce come pane, che discende in noi, ci fa abitati dal cielo, e fa scorrere la nostra vita verso l'alto e verso l'eterno: chi mangia non avrà fame, chi crede non avrà sete, mai!
Abbiamo dentro di noi una vita di terra e una vita di cielo intrecciate tra loro. Il cristianesimo non è un corpo dottrinale, che cresce e si affina attraverso nuove idee, ma è offerta di vita e anelito a sempre più grande vita; è una calda corrente d'amore che entra e fa fiorire le radici del cuore.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Datevi da fare per il cibo ch dura per la vita eterna
Domenica scorsa il Vangelo di Giovanni ci ha presentato il racconto del miracolo della moltiplicazione dei pani. Continuando, oggi, in questa domenica XVIII la lettura del sesto capitolo dl quarto vangelo, ci viene presentato il commento alquanto amaro e veritiero che Gesù fa, quando vede venire da lui tanta gente. Egli infatti annota, secondo quanto scrive Giovanni: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati". In poche parole i segni, i miracoli erano e sono finalizzati a suscitare la fede, l'adesione a Cristo. Invece cosa fa notare Gesù, che tali segni non provocano nella gente se non la soddisfazione delle esigenze fisiche e corporali, riferendosi al fatto che aveva sfamato tanta gente. Da qui l'esplicito invito di Gesù di cambiare atteggiamento nella loro vita e nei suoi confronti: "Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". Notiamo nel vangelo, negli ascoltatori chi è disponibile a cambiare atteggiamento e vita. E pongono subito la domanda a Gesù: cosa dobbiamo fare? La risposta di Gesù è immediata, non tarda a venire e chiarisce subito che per conquistare il paradiso, quel cibo che dura per l'eternità si tratta di aderire alla sua persona con la fede totale del cuore. E a dimostrazione che loro sono sulla via giusta, Gesù stesso analizza la storia del popolo d'Israele a partire dal dono della manna nel deserto che il Signore fece scendere sugli israeliti nel loro lungo cammino dalla schiavitù dell'Egitto alla piena libertà di popolo nella terra promessa. La manna, come cibo dal cielo inviata da Dio, era solo un'anticipazione, una prefigurazione di un cibo molto più importante ed insostituibile che Gesù ci dà: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Di fronte a questa affermazione che il pane vero è Lui, il Signore, la richiesta diventa una necessità. Dacci sempre questo pane, dal momento che è il migliore, è quello che dura per l'eterna, è il pane vero ed è il pane per sempre. Gesù si identifica con il pane. E' evidente il riferimento all'eucaristia. Nell'ultima cena istituendo il sacramento del suo corpo e del suo sangue Egli si fa cibo e bevanda per noi per l'eternità. Nell'eucaristia noi troviamo il cibo vero che ci alimenta per sempre e che ci sostiene nel cammino della vita, in attesa dell'eternità.
La manna del deserto di cui parla il testo della prima lettura di questa domenica XVIII è stato un aiuto momentaneo, che alla fine, proprio perché ricevuto dal cielo più di qualche volta, stanca gli israeliti, che la rifiutano ed incominciano a rimpiangere le cipolle d'Egitto: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».
L'uomo eternamente insoddisfatto se la prende sempre con il Signore quando le cose non corrispondono alle sue attese. La lamentela del popolo d'Israele è la lamentela dell'umanità di sempre che si rivolta continuamente contro il Signore e non sa apprezzare la provvidenza che viene dal cielo e dall'alto. Nulla ci è dovuto, ma tutto diventa dono, se comprendiamo che il Signore è comunque al nostro fianco anche nel momento della necessità e del bisogno. Bisogna sapersi stupire come gli israeliti quando videro al mattino sul loro accampamento quella coltre bianca, cioè la manna, che il Signore aveva fatto calare dal cielo per sostenerli ed alimentarli. Questa vecchia filosofia di credere nella provvidenza di Dio la dobbiamo riscoprire alla luce di una presunta capacità esclusiva dell'uomo di produrre all'infinito ogni bene, ma per alimentare solo una parte della popolazione della terra e non tutti gli esseri umani che, ancora oggi, muoiono di fame. L'eucaristia è per tutti e il pane e la mamma dal cielo deve essere per tutti, se vogliamo essere in linea con gli insegnamenti di Cristo. La preghiera che oggi la comunità dei credenti rivolge al Signore all'inizio della celebrazione della messa ha una portata rilevante su un piano spirituale, umano, morale e sociale: "O Dio, che affidi al lavoro dell'uomo le immense risorse del creato, fa' che non manchi mai il pane sulla mensa di ciascuno dei tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della tua parola, perché possiamo saziare la fame di verità che hai posto nel nostro cuore". Seguiamo gli insegnamenti di Gesù e saremo un popolo, la cui fede diventa azione di amore e di riconciliazione, di verità e di giustizia sociale. San Paolo apostolo, infatti, ci ricorda nel brano della lettera agli Efesini che ascolteremo oggi che Fratelli, che non dobbiamo comportarci più come i pagani con i loro vani pensieri, ma da veri cristiani, con l' abbandonare, la condotta di prima, lo stile dell'uomo vecchio interiormente e spiritualmente che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovandoci nello spirito della nostra mente e rivestendoci dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità". Questo cammino di trasformazione e di trasfigurazione spirituale e morale siamo chiamati a farlo tutti. Nessuno dica a se stesso, non ne ho bisogno e non c'è urgenza e necessità. Ma tutti dobbiamo avvertire l'urgenza di un profondo cambiamento in tutte le cose, nello spirito di Papa Francesco, che vuole una chiesa in uscita, in avanti, non bloccata, capace di annunciare Cristo con la santità della propria vita e con il coraggio dei martiri e testimoni della fede. Una chiesa eucaristica e una chiesa che sappiamo condividere il pane ricevuto con quanti questo pane non l'hanno ed hanno bisogno dell'essenziale. Una chiesa eucaristica che sia una manna dal cielo per tutti coloro che non hanno il pane sulle loro mense.
Omelia di padre Antonio Rungi
Un segno dal cielo che ci rende segni per il mondo
Ho iniziato a leggere un libricino di un autore che amo molto, Henri Nouwen, dal titolo "la forza della sua presenza", che parla dell'Eucarestia. Mi piace il punto di partenza dell'autore che è una domanda porta prima di tutto a se stesso: celebro tutti i giorni l'Eucarestia... ma so quello che sto facendo?"
Verrebbe da pensare che la domanda è in fondo un po' banale per un prete. Sicuramente il prete sa bene cosa sta facendo!
Eppure anche per me questa domanda così semplice diventa fortemente provocatoria. E' vero che conosco bene i riti, la storia e le modalità della celebrazione eucaristica, ma non è scontato che sia sempre pienamente consapevole di quel che ormai da una vita celebro insieme alla comunità.
La domanda "so cosa sto celebrando" la potrei esplicitare in un altro modo: la mia vita è presente nella messa? Quale connessione c'è tra i gesti che compio e quello che credo e vivo io e la comunità che celebra con me?
Il passo di Vangelo di questa domenica racconta quello che succede dopo che Gesù ha compiuto il segno della moltiplicazione dei pani e pesci. Gesù è fuggito dopo aver compiuto il segno miracoloso perché la folla aveva male compreso il significato del suo agire. Erano venuti per farlo re mentre lui aveva dato un messaggio di servizio umile.
La folla cerca Gesù ma è ancora incapace di capire il significato di tutto l'agire del Maestro, e questo è ben raccontato dall'evangelista Giovanni che fa emergere la distanza tra l'insegnamento di Gesù e la comprensione della folla e anche dei suoi discepoli.
La folla cerca segni di potere e nuovi miracoli prodigiosi come ai tempi di Mosè nel deserto, ma Gesù propone una via diversa che è quella della fiducia della presenza di Dio nella povertà del suo Messia Gesù e nel segno della condivisione. Il più grande segno dal cielo è proprio Gesù che si fa lui segno di Dio, quindi anche noi se vogliamo segni da parte di Dio non dobbiamo fare altro che essere come Gesù, cioè diventare noi stessi segni l'uno per l'altro, segni di amore e cura reciproci.
La Messa che celebro quindi non è tanto una serie di riti da adempiere ma una scuola antica e sempre rinnovata di amore divino e umano. Comprendo la messa che celebro (sia io che la celebro sull'altare che ogni singolo fedele che la celebra con la sua partecipazione in chiesa) se mi fido che della presenza del Signore in quel pane e vino sull'altare che sono consacrati corpo e sangue di Gesù e se mi impegno a vivere come Gesù, ad essere come lui, rinnovando il miracolo della sua presenza nei gesti e nelle parole della mia vita quotidiana.
Quando nella preghiera del Padre Nostro diciamo "dacci il nostro pane quotidiano", non chiediamo solo i beni materiali del cibo che nutrono il corpo, ma chiediamo il cibo più importante che è l'amore, la pace, la serenità del vivere, la giustizia, la solidarietà... Questo cibo lo chiediamo al plurale (e non "dammi il mio pane...") perché non posso chiedere mai solo per me stesso, chiuso nella mia ricerca di benessere, ma mi prendo carico anche di colui che ho accanto e riconosco che la mia fame di amore è la stessa di tutti gli uomini e donne del mondo.
E chiedendo il pane quotidiano, mi impegno, anzi ci impegniamo come comunità ad essere l'uno per l'altro questo pane che rende la vita eterna, cioè piena di Dio, piena di Salvezza.
Omelia di don Giovanni Berti
Liturgia e Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 2 agosto 2015