12 luglio 2015 - XV Domenica del Tempo Ordinario: Dio chiama e mette in viaggio per guarire la vita

News del 11/07/2015 Torna all'elenco delle news

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli... Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. L'ha fatto con Abramo da Ur dei Caldei (alzati e va'); con il popolo in Egitto (lo condurrai fuori, nel deserto...); con il profeta Giona (alzati e va' a Ninive); con Israele ormai installato al sicuro nella terra promessa.

Dio viene a snidarti dalla vita stanca, dalla vita seduta; mette in moto pensieri nuovi, ti fa scoprire orizzonti che non conoscevi. Dio mette in cammino. E camminare è un atto di libertà e di creazione, un atto di speranza e di conoscenza: è andare incontro a se stessi, scoprirsi mentre si scopre il mondo, un viaggio verso un altro mondo possibile.

Partono i discepoli a due a due. E non ad uno ad uno. Il loro primo annuncio non è trasmesso da parole, ma dall'eloquenza del camminare insieme, per la stessa meta.

E ordinò loro di non prendere nient'altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere il passo e un amico a sorreggere il cuore.

Un elogio della leggerezza quanto mai attuale: per camminare bisogna eliminare il superfluo e andare leggeri. Né pane né sacca né denaro, senza cose, senza neppure il necessario, solo pura umanità, contestando radicalmente il mondo delle cose e del denaro, dell'accumulo e dell'apparire.

Per annunciare un mondo altro, in cui la forza risiede nella creatività dell'umano: «l'annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo così l'annuncio sarà infinitamente grande» (G. Vannucci).

Entrati in una casa lì rimanete. Il punto di approdo è la casa, il luogo dove la vita nasce ed è più vera. Il Vangelo deve essere significativo nella casa, nei giorni delle lacrime e in quelli della festa, quando il figlio se ne va, quando l'anziano perde il senno o la salute... Entrare in casa altrui comporta percepire il mondo con altri colori, profumi, sapori, mettersi nei panni degli altri, mettere al centro non le idee ma le persone, il vivo dei volti, lasciarsi raggiungere dal dolore e dalla gioia contagiosa della carne.

Se in qualche luogo non vi ascoltassero, andatevene, al rifiuto i discepoli non oppongono risentimenti, solo un po' di polvere scossa dai sandali: c'è un'altra casa poco più avanti, un altro villaggio, un altro cuore.

All'angolo di ogni strada, l'infinito.

Gesù ci vuole tutti nomadi d'amore, gente che non confida nel conto in banca o nel mattone, ma nel tesoro disseminato in tutti i paesi e città: mani e sorrisi che aprono porte e ristorano cuori.

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Dio chiama e mette in viaggio per guarire la vita, per farti guaritore del disamore, laboratorio di nuova umanità.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Va', profetizza al mio popolo

La liturgia di queste domeniche ci parla, sotto vari aspetti, di profeti e di profezia. Oggi è il profeta Amos, protagonista della prima lettura di oggi a parlarci della sua chiamata e del suo ministero in mezzo al popolo di Israele, al quale lo invia il Signore proprio con la missione di profetizzare. Lui un semplice mandriano si trova a svolgere una missione, nel nome del Signore, al di sopra delle sue possibilità. A Betel dove egli esercita questo ministero non lo vogliono, addirittura gli fanno capire di andare via e profetizzare altrove. Il il profeta Amos, scelto e designato dal Signore a questo compito non viene meno al suo impegno davanti a Dio e continua per la sua strada. L'invito da parte di Amasia di lasciare il territorio, in realtà diventa per lui in motivo in più per portare a compimento la missione ricevuta dal Signore. Nell' ottica della missione che si comprende anche il testo del vangelo di questa XV domenica del tempo ordinario, nel quale si parla appunto il mandato missionario affidato da Gesù ai suoi discepoli. Una missione non facile anche perché il missionario del vangelo deve confidare pienamente nella grazia di Dio e nella forza che viene dall'alto e non nei mezzi umani e materiali. Sprovveduti di tutto, ma ricolmi dello spirito, essi devono andare di villaggio in villaggio a portare la parola della speranza, della gioia e della pace. In questa azione apostolica non sono solitari allo sbaraglio, né individui che vanno a predicare a titolo personale, ma ci devono andare in compagnia, almeno due, segno della comunione ecclesiale e del mandato che la stessa chiesa affida loro oggi e sempre nel campo dell'evangelizzazione. La solitudine missionaria non è espressione di comunione ecclesiale. Certo le circostanze storiche e gli avvenimenti della vita hanno portato spesso i missionari a rimanere da soli o ad essere pionieri nell'evangelizzazione di nuove zone e popoli missionari, ma anche in questi casi estremi, l'opera missionaria era ed è rimasta espressione della Diocesi, della congregazione religiosa da cui proveniva quel missionario o della parrocchia in caso di fedele laico. Essere sprovveduti di mezzi materiali, ma pieno e ricchi di mezzi spirituali, questi sono e saranno i missionari di sempre che la chiesa invia o conferma nel mandato in ogni parte del mondo. Oggi, la chiesa si è giustamente attrezzata anche con i new media per portare il vangelo fino all'estremità della terra, ma ciò che può fare una visita pastorale, come quella che sta compiendo Papa Francesco nell'America Latina, in questi primi giorni del mese di luglio 2015, non lo può fare nessuna trasmissione radio-televisiva, giornale o rivista. Il contatto diretto con le popolazioni, la vicinanza ad esse, soprattutto nei momenti di bisogno rivelano il vero animo missionario non solo del Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi, ma di tutti il popolo santo di Dio. Quattro regole fondamentali devono quindi guidare i missionari: lavorare insieme, in equipe e non come lupi solitari; avere il necessario e l'essenziale; fermarsi nei luoghi e presso persone di stimata virtù; camminare per incontrare le sofferenze e guarire le malattie delle persone che sono nelle reali difficoltà spirituali, morali e materiali.

La nostra preghiera oggi, sia il testo della lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini che costituisce, tra l'altro, uno dei brani biblici che accompagna la nostra preghiera personale e comunitaria nella liturgia delle ore e che fa parte del nostro patrimonio spirituale personale, dal quale non bisogna mai allontanarsi per cercare altre soluzioni o soddisfazioni nella nostra vita di credenti.

Rendiamo lode e grazie al Signore per quanto ci dona ogni giorno, per quanto riusciamo a fare nella vita alla sua gloria e sostenuti dalla sua grazia. Chiediamo perdono, se nella nostra vita non sempre sentito la missione come la priorità di ogni nostra azione, ma l'abbiamo relegata all'ultimo posto dei nostri impegni di vita cristiana. Non c'è cristiano se non è missionario e missionario secondo il cuore di Cristo e nel pieno rispetto del mandato di Cristo e della Chiesa. Preghiera perché tutti i missionari siano davvero pastori coraggiosi, liberi da ogni compromesso, e generosi nel servire Cristo, la Chiesa e l'umanità, specialmente quella più povera e sofferente nel corpo e nello spirito.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Cominciò a mandarli due a due

Il brano che oggi leggiamo, Mc.6,7-13, segna l'inizio di una nuova tappa nel cammino di formazione dei discepoli di Gesù nel Vangelo di Marco. La Liturgia domenicale ci fa leggere solo alcuni brani di un percorso preciso e graduale che richiede di essere percorso in tutta la sua integrità: la lettura e lo studio personale deve completare quello liturgico perché sia possibile cogliere in modo adeguato il percorso proposto, e seguirlo nella sua autenticità evangelica.

Il rifiuto subito nella sua patria non ha per nulla fermato lo slancio di Gesù che anzi comincia ad allargare il campo del suo insegnamento nella regione circostante: l'incredulità che ha destato la sua meraviglia è nata dalla chiusura dei suoi compaesani di fronte ad un Dio che si manifesta nella normalità della carne umana. Di fronte alla mancanza di fede, Gesù non mette in atto intelligenti strategie di potenza per poterli convincere, non fa sfoggio della sua divinità: con maggiore consapevolezza rimane fedele al suo cammino dentro l'umanità, per mostrare che la forza di Dio, il suo Amore, sta nella debolezza. Proprio quando il suo insegnamento e la sua presenza cominciano a suscitare "scandalo", egli passa ad una nuova fase del suo progetto: aveva cominciato a chiamare i suoi discepoli (Mc.1,16-20), poi aveva fatto dei Dodici una comunità perché stessero con Lui e per mandarli ad annunciare con l'autorità di scacciare i demoni(Mc.3,13-19). Se fino a questo momento essi lo hanno accompagnato ascoltandolo insegnare e vedendolo agire, adesso Gesù comincia a mandarli. Il loro programma è quello stesso di Gesù: come lui vanno ad annunciare; egli condivide con loro "l'autorità sugli spiriti impuri" ed essi hanno lo stesso suo successo, è Lui il fondamento della loro missione, ma occorrerà camminare con Lui sino alla Croce per capire il contenuto dell'annuncio e il cambiamento di mentalità richiesto e per sperimentare che la sua autorità è la presenza in Lui di un Dio che condivide la carne dell'uomo, la ama e la salva: adesso Gesù comincia a mandare i Dodici perché annuncino, li rende partecipi della sua "autorità", ma quanto ancora devono comprendere! E li manda "due a due": certo per motivi concreti, per dare rilevanza giuridica alla loro testimonianza, ma certamente perché questo risponde al progetto di Dio di fare dell'umanità una comunione di Amore. Non si può annunciare l'Amore se non amando: solo chi lo sperimenta può annunciarlo. Nessuno può pretendere di annunciare da solo un'esperienza che non può che essere di dialogo e di condivisione di esperienze diverse.

Dopo la presentazione del fondamento dell'invio in missione, dei suoi attori e del mandato generale, Gesù rivolge raccomandazioni concrete: "E ordinò loro di non prendere nulla..." ogni equipaggiamento è escluso...gli inviati non devono confidare in niente se non in Colui che li invia... soltanto il bastone, i sandali e una tunica necessari per il viaggio. Ecco: il viaggio! Marco, a differenza di Matteo (10,4), più che alla radicalità della spogliazione degli inviati perché appaia che ciò che importa è solo l'annuncio del Regno, pensa all'inizio della missione come ad un "viaggio" che la comunità dei discepoli di Gesù comincia. Senza pane...con il bastone: tutto richiama l'esperienza del popolo d'Israele che nell'esodo viveva del dono della manna nel deserto (Es.16). La missione dei Dodici è la realizzazione nella storia del cammino del popolo messianico, la cui legge è l'Amore e la condizione la libertà: proprio la libertà da ogni paura, da ogni preoccupazione, da ogni condizionamento è il dono nuovo che Gesù vuole che i suoi discepoli sperimentino nella loro missione, frutto del loro rimanere con Lui. Per questo Gesù diceva: "Dovunque entriate in una casa, rimanete...", e le sue indicazioni, sono un invito a rimanere liberi, non condizionati dalle situazioni più o meno favorevoli dello spazio e del tempo. Gesù apre davanti ai Dodici l'orizzonte di un mondo nuovo, il mondo della libertà e dell'Amore, nel quale l'esistenza umana trova il suo significato pieno. Marco conclude il suo racconto così: "Partiti, portavano l'annuncio perché cambiassero mentalità, e scacciavano molti demoni, e ungevano molti malati e li guarivano". Mentre Gesù nella sua patria ha potuto guarire "pochi" malati, sono "molti" quelli guariti dai discepoli: è un successo, quindi, il loro? Certo..., ma forse equivoco! In realtà, se Marco parla del successo degli inviati come guaritori e come esorcisti, nulla è detto sull'esito dell'annuncio e della richiesta di conversione. Se i Dodici sono stati resi partecipi di una "autorità" straordinaria, poi le raccomandazioni hanno come scopo paradossale di privarli, secondo la logica umana, dei mezzi normali perché la loro missione abbia successo. È il paradosso della potenza e della debolezza che interpella i Dodici e continua ad interpellare noi. Da questo momento sempre con maggiore insistenza Marco sottolinea il rischio dell'incomprensione dei discepoli: anche per noi rimane aperto il cammino, mai scontato, dell' autenticità dell'esperienza della fede che significa sperimentare la forza e la inesauribile bellezza di Dio, ma rimanendo con Lui, sempre nella fragile quotidianità dell'esistenza umana.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Guarire

Marco ha appena raccontato il disprezzo della gente a causa della origine umile di Gesù, la sua nascita, la sua parentela, i dubbi dell'origine della sua sapienza e dei prodigi (Mc 6,1-6). Poco dopo racconterà dell'esecuzione di Giovanni Battista (Mc 6, 14-29) che era già avvenuta e che certamente pesava nell'animo del Signore perché rivelante quanto siano inseparabili il martirio e la testimonianza, la morte e la missione. È in questo contesto che Marco racconta della missione dei dodici.

Prima però li chiamò a sé per poi mandarli; questa sottolineatura ci ricorda l'istituzione dei Dodici (cfr. Mc 3,13-19), che sono stati chiamati prima di tutto a stare con lui. È lo stare con lui che legittima ogni testimonianza e ogni missione, è la relazione con il Signore che genera ogni altro tipo di relazione. La testimonianza che ci è chiesta come cristiani, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza (1Pt 3,15), nasce dall'intreccio di tutte le nostre relazioni con la sua. (...)

Nel linguaggio Biblico, il verbo guarire ha un significato più profondo del semplice curare una persona malata (cfr. Mac 2,9-11). La guarigione punta a tutta la persona, in tutti i suoi aspetti, non solo quello di semplice salute del corpo. Guarire, anche nel linguaggio corrente significa servire la persona nei suoi bisogni quotidiani, a volte materiali, spesso morali e sociali. Alla luce di questo dobbiamo pensare il senso del potere sugli spiriti impuri che Gesù concede. Sono quanto tengono le persone nella miseria, l'ingiustizia e la schiavitù di ogni tipo di peccato.

Guarire è questione di carità cristiana che guarisce nella profonda relazione con Dio perché guarisce dai bisogni dell'uomo.

La più grande povertà oggi non è la mancanza di pane, ma la solitudine e la mancanza di amore (Madre Teresa di Calcutta).

Omelia di don Luciano Cantini

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 12 luglio 2015

tratto da www.lachiesa.it