17 maggio 2015 - Solennità dell'Ascensione del Signore: missionari della gioia nel mondo

News del 16/05/2015 Torna all'elenco delle news

La solennità dell'Ascensione che oggi celebriamo è un forte appello alla gioia del cuore, una gioia che sperimentiamo sulla terra e soprattutto a quella gioia che aspiriamo di raggiungere nella pienezza nel cielo, dove Cristo ci ha preceduto e ha preparato un posto per tutti, senza esclusione di nessuno. La liturgia della santa messa di oggi inizia proprio con la bellissima preghiera della colletta: "Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria". La gioia che siamo chiamati a sperimentare è di tutta la chiesa e di tutta l'umanità, in quanto in Cristo asceso al cielo noi abbiamo la certezza, se seguiamo le sue orme ed il suo insegnamento, di raggiungerlo a conclusione dei nostri giorni terreni. Questa certezza assoluta ci spinge a comportarci in maniera degna della nostra vocazione.

Ed il salmo responsoriale di questa solennità ci invita nuovamente a vivere nella gioia e ad esultare per quanto oggi celebriamo: "Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l'Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni con arte. Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo".

Siamo quindi ad esultare di gioia tutti. Ma siamo persone gioiose, viviamo davvero nella gioia che ci viene dall'alto, dove Cristo si è assiso alla destra del Padre, come ci ricorda il testo degli Atti degli Apostoli. Il mistero della fede nell'ascensione del Signore è un mistero di tale profondità, che solo chi ha vera fede può aderirvi pienamente. Di fronte ad una cultura che guarda solo nell'orizzonte terreno, parlare di un destino eterno dell'uomo non è facilmente accettabile e condivisibile. Per cui, convinti più che mai che siamo persone fatte per l'eternità, noi dobbiamo camminare verso il cielo con sempre maggiore consapevolezza che è quella la nostra patria definitiva. Non possiamo avere tentennamenti o indecisioni, ma solo certezze e sicurezze di fede e di comportamenti rispondenti ai cercatori del cielo e non delle cose della terra. Ce lo rammenta con parole molto belle e semplici, l'Apostolo Paolo nel brano della sua lettera agli Efesini che oggi ascoltiamo.

I capisaldi della morale cristiana e dell'ascesi cristiana che ci indirizza all'eternità trovano in questo brano quelli più di immediata lettura, interpretazione ed applicazione. Le virtù fondamentali della vita morale stanno indicate in questo testo: umiltà, dolcezza, magnanimità, sopportazione, amore, unità e pace. Sono virtù che dobbiamo esercitare senza mezze misure. Il Paradiso lo si conquista con questi comportamenti morali che attingono la loro forza proprio dal mistero del Cristo morto, risorto ed asceso al cielo. Di queste verità di fede dobbiamo tutti farci portavoce, senza paura di fronte ad un mondo distratto da tante cose e che ha decretato, in molti ambienti, la morte di Dio, lasciando l'umanità nello smarrimento e nella confusione più totale. Noi, che confermiamo ancora una volta oggi, la nostra fede nell'eternità, vogliamo annunciare il vangelo della gioia con la stessa forza e lo stesso coraggio dei primi apostoli. Essi su mandato di Gesù stesso, prima di ascendere al cielo, fecero esattamente quello che il Maestro e Signore chiese a loro. Infatti ci ricorda il brano del Vangelo di Marco che "essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano".

Missionari della gioia nel mondo, come ci raccomanda Papa Francesco continuamente nel suo magistero, a partire dall'esortazione apostolica Evangelii gaudium alla quale dobbiamo ispirare, oggi, nel contesto della chiesa del XXI secolo l'azione evangelizzatrice in ogni angolo della terra, a partire dai nostri ambienti di vita e di missione. "Invito ogni cristiano -scrive Papa Francesco- in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c'è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un'altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l'esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l'altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!".

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Chiamati a pensare in grande, a contagiare di speranza

Inizia la nostalgia del cielo: Cristo se ne va, ma solo dai nostri sguardi; non penetra al di là delle nubi, ma nel profondo delle cose, nell'intimo delle creature e di Dio. «Solo il cristianesimo ha osato situare un corpo d'uomo nella profondità di Dio» (R. Guardini).

L'Ascensione del Signore è la celebrazione di due partenze, quella di Gesù verso l'intimo e il profondo; quella degli apostoli, prima Chiesa in uscita, verso gli angoli della terra, ad annunciare qualcosa capace di scardinare il mondo così come l'abbiamo conosciuto.

Andate in tutto il mondo. Che ampio orizzonte in queste parole! È come sentirsi protesi verso tutto, e allargare le braccia per abbracciare ogni cosa, e respirare in comunione con ogni vivente, e sentire il vangelo, la bella notizia, la parola di felicità, dilagare in ogni paesaggio del mondo come ossigeno e fresca acqua chiara, a portare vita a ogni vita che langue.

E questi saranno i segni...scacceranno i demoni... imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Segni che non sono riservati ai predicatori del vangelo, ma che accompagnano ogni credente: e il primo segno è la vita che guarisce, la gioia che ritorna. Possiamo essere certi che la nostra fede è autentica se conforta la vita e fa fiorire sorrisi intorno a noi. Dio ci rende dei guaritori.

E l'altro segno è parlare lingue nuove: chi crede veramente, si apre all'ascolto dell'altro e acquisisce un'intelligenza del cuore che gli permette di comunicare con tutti, con la lingua universale che è la tenerezza, la cura, il rispetto.

Partirono gli apostoli e il Signore agiva insieme con loro. La traduzione letterale suona così: il Signore era sinergia con loro. Che bella definizione! Vuoi sapere chi è Gesù? Il vangelo di Marco offre questa perla: Il Signore è energia che agisce con te. Tu e lui, unica energia.

Cristo opera con te in ogni gesto di bontà; in ogni parola fresca e viva è lui che parla; in ogni costruzione di pace è lui che con te edifica il mondo.

Ogni mattina lui ci affida la terra e a sera la ritrova ricca di pane e amara di sudore. È questa la tua gioia, Signore: prolungare nelle fragili nostre mani le tue mani poderose. E come un solo corpo noi plasmiamo la terra; noi due insieme, uomo e Dio, vegliamo sulle cose e sul futuro.

E partirono e predicarono dappertutto. Il Signore chiama gli undici a questa navigazione del cuore; sono un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli, e affida loro il mondo, li spinge a pensare in grande a guardare lontano: il mondo è vostro. E questo perché ha enorme fiducia in loro; li ha santificati e sa che riusciranno a contagiare di nascite, di fuoco e di speranza ogni vita che incontreranno.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Fu elevato in cielo

Celebriamo la festa dell'Ascensione del Signore leggendo Mc.16,15-20, una parte della finale lunga del Vangelo. Questo testo aggiunto è la testimonianza della vita e dei problemi della comunità cristiana, della sua esperienza del Signore risorto dopo il silenzio e la paura delle donne a cui si ferma la prima finale di Marco (Mc.16,1-8). È una ricapitolazione delle tre apparizioni del risorto di cui parlano gli altri Vangeli, scandita dagli avverbi di tempo "prima", "dopo", "alla fine", a cui corrisponde una ribadita incredulità culminante nel rimprovero rivolto da Gesù agli Undici: sembra infatti che egli, nell'apparizione agli Undici mentre sono a tavola (simile alla narrazione di Lc.24,41-43 e di Gv.21,5.9-13 anche se qui il risorto non mangia), sia apparso solo per rimproverarli con una particolare durezza. Infatti, mentre lungo tutto l'arco del Vangelo è sottolineata l' "incomprensione" dei discepoli, ma solo ai suoi oppositori è attribuita la "incredulità" e la "durezza di cuore", qui Gesù arriva a rimproverare proprio questo agli Undici, denunciando in loro un vero rifiuto di credere nella risurrezione. Appare singolare che al totale silenzio sulla reazione degli Undici al rimprovero di Gesù, segua immediatamente il discorso di invio in missione. Questo può forse spiegare il motivo di questa aggiunta alla conclusione breve del Vangelo di Marco: nella comunità credente è avvenuto il passaggio dal "Vangelo" come evento nella carne di Gesù, al "Vangelo" come "annuncio" e poi come "scritto". L'"inizio del Vangelo di Gesù" giunto al suo compimento, adesso è affidato alla missione di coloro che lo portano come "annuncio" al mondo intero: adesso la comunità gusta l'esperienza della novità del Vangelo, perché Gesù "è stato elevato in cielo e siede alla destra di Dio", rimane, vivo per sempre, e dà senso alla storia e ad ogni creatura. Questa pagina testimonia il punto di arrivo della comprensione del "Vangelo" come annuncio di un evento, in cui, una volta per sempre, è raggiunta la realizzazione piena dell'uomo nella sua relazione con Dio: il Vangelo come annuncio dell'Amore ormai donato ad ogni creatura. Per questo inizia la missione destinata all' universo, perché universale è il dono dell'Amore, missione affidata a persone appassionate perché si tratta di non lasciar mancare a nessuno non una dottrina o un'etica, ma l'annuncio che ciò a cui aspira il cuore di ogni creatura, gli è donato: senza questo c'è solo non senso e drammatico fallimento. Credere o non credere il Vangelo, il "lieto annuncio": ormai la frontiera che distingue gli uomini non passa più tra puro e impuro, tra ebrei e pagani, giusti e peccatori, buoni e cattivi, maschio e femmina, ma tra coloro che credono o non credono l'Amore che ormai riempie il mondo. Ma chi può non credere l'Amore quando è annunciato, quando è riversato in ogni cuore, quando trasforma gli uomini che l'accolgono in operatori di segni meravigliosi di vita nuova? Ed è questa l'ultima grande novità: la possibilità di compiere segni che rendono felice la vita non è più un privilegio riservato agli apostoli o ai predicatori, ma è ormai dono normale per coloro che credono l'annuncio. Comprendiamo perché l'autore di questa finale del Vangelo non tema di sottolineare la difficoltà degli Undici a comprendere sino ad arrivare al rimprovero per la loro "incredulità" e "durezza di cuore", perché appaia a tutti che il "Vangelo" è l'annuncio di un Amore donato ormai per sempre al mondo, per l'incontro tra l'uomo e Dio, realizzato in Gesù Cristo. Il Vangelo chiede solo di essere annunciato e si fa strada nel cuore di ogni creatura nonostante le difficoltà e l'incredulità anche degli Undici. Per questo tutto si compie con l'annuncio della "Ascensione", l' "elevazione di Gesù in cielo". Il cielo è l'infinito verso cui ogni uomo alza gli occhi quando vuole lasciare spazio alla speranza, al desiderio di felicità che sente nel proprio intimo, quando tocca con mano che ciò che ha intorno a sé non gli basta. A questo desiderio non possiamo dare una risposta da soli, possiamo solo sentirlo, sperare di poter trovare la risposta. Guardare il cielo è l'espressione più piena del desiderio di Dio, dell' anelito più intimo dell'uomo, dove Dio e l'uomo possano incontrarsi e donarsi in un abbraccio pieno di felicità. Celebrare l'Ascensione significa credere che con Gesù un uomo per la prima volta e ormai per sempre e per tutti, è giunto pienamente e definitivamente a Dio e da lui è stato accolto: significa sentire che l'anelito dell'uomo si è realizzato e che la storia quindi ha un nuovo inizio. Gesù che è disceso sino alla morte, è stato innalzato sino a Dio: l'Amore ha riempito lo spazio aperto dall'abbandono di Gesù nelle braccia del Padre. Gesù è il Signore, non perché domina sul mondo ma perché gli dona la vita: la realizzazione della storia, il cielo che desideriamo, ci è donato in Gesù, nello spazio di Amore che Lui ha già aperto. Non è il nostro farci protagonisti prepotenti della storia, non sono le nostre opere buone, che ci fanno scalare il cielo: il cielo è già aperto e ci è già donato, a noi è chiesto di crederlo, accoglierlo e lasciare che attraverso la nostra umanità, qualunque sia, aperta all'Amore diventi la dinamica nuova della quotidianità della storia.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità dell'Ascensione del Signore (Anno B) domenica 17 maggio 2015

tratto da www.lachiesa.it