Il senso della Quaresima però va la di là della liturgia e va anche oltre i confini della Chiesa, intesa come il popolo dei credenti... È tutta la società intera che ha bisogno di conversione, di fermarsi a riflettere, di prendere della decisioni risolute, di ritornare sui propri passi, di migliorare la propria condotta e stabilire nuove relazioni scambievoli.
Il papa Benedetto XVI aveva dedicato il suo messaggio per la Quaresima del 2012 al tema del digiuno. Possiamo domandarci, egli dice, quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento? Il digiuno rappresenta una pratica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana.
A questo punto il papa cita un antico inno liturgico quaresimale che tradotto dice così: Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti. L'esortazione conclusiva suona così: La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Risulta evidente che l'impegno quaresimale di un cristiano e di una famiglia cristiana non può lasciare indifferente il mondo attorno, ma diventa un segno di invito e di richiamo.
Quelli vicini al Signore saranno stimolati in una gara di imitazione nel bene e quelli tiepidi e lontani riceveranno un richiamo salutare a prendere sul serio le esigenze del Vangelo...Elemosina, preghiera e digiuno così sono tornati ad essere comportamenti caratteristici del vero credente e di essi è più facile provare imbarazzo che andare fieri. Eppure preghiera, digiuno ed elemosina sono ancora importanti per il mondo d'oggi perché testimoniano una purezza di intenzioni che altrove manca.
Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Con questa dichiarazione san Paolo invita a distogliere lo sguardo diretto su di lui e a rivolgere invece l'attenzione sul contenuto del suo messaggio. Tuttavia san Paolo non si tira indietro di fronte al compito ricevuto, ma lo assolve con totale dedizione: Poiché siamo suoi (di Cristo) collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Qui san Paolo parla ai cristiani credenti di Corinto, ma attraverso di loro intende rivolgersi a tutti gli uomini. Tutti infatti hanno bisogno della grazia di Dio e se vogliono ne possono approfittare: Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Con il nostro comportamento cristiano riconoscibile noi siamo un messaggio vivente, anzi in molti casi siamo l'unico Vangelo che gli uomini di oggi leggano ancora. Ecco la nostra responsabilità sulle orme di san Paolo, ecco un motivo in più per vivere bene la Quaresima, dare testimonianza di fede vissuta ad un mondo in difficoltà che ha bisogno di ritornare a Dio e non sa come fare a incominciare.
Le ceneri, imposte oggi sul nostro capo, ricordano la nostra fragilità. Tuttavia, non per rattristarci.
Il Signore, infatti, non si vergogna della nostra fragilità. Al contrario la ama e la vuole salvare. Per questo ci chiede oggi di tornare a Lui con tutto il cuore: chi torna troverà un Padre che con amore infinito lo abbraccerà.
Le parole del Vangelo sono un invito a vivere la propria fede nel Signore non misurandola a partire da gesti o da atteggiamenti esteriori, né valutandola con il metro del giudizio della gente, ma convertendo il nostro cuore a Lui.
Il Vangelo di Gesù non abolisce la legge, "la porta a compimento". E la legge si compie quando si torna al cuore, al senso profondo dell'elemosina, della preghiera, del digiuno.
Tornare al Signore è spogliarsi delle proprie sicurezze, delle tante regole che ci dettiamo e delle tante leggi che troviamo, per cercare il Signore e ascoltare la sua Parola.
Solo così, apprenderemo la via della sequela del Signore fino ai giorni della Passione e della Resurrezione.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
Tempo per la fede, tempo per l'amore
"L'esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell'incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio." Con queste bellissime parole Benedetto XVI inaugurava la Quaresima 2013 sottolineando l'indissolubile simbiosi fra fede e carità, virtù teologali che permettono in nostro rapporto con Dio che si estrinseca nell'immediato rapporto con gli altri. La fede è accoglienza disinvolta e libera della rivelazione di Dio, un entrare in comunione perenne con lui. La carità è il perseverare continuo in questa comunione. La fede ci dischiude alla verità; la carità è il continuo persistere nella verità abbracciata. E' impensabile quindi abbracciare una delle due virtù disattendendo l'altra poiché l'essere esclusivamente caritatevoli senza radicarci nella fede comporta il mero attivismo, lo sterile esibizionismo e vivere una fede astratta senza completamento nella carità, conduce al dannoso fideismo.
Amare il prossimo vuol dire testimoniare nelle opere che siamo stati noi stessi resi oggetto di amore da parte di Dio; omettendo la fede dalla nostra esistenza cristiana viene meno siffatta testimonianza e di conseguenza si perde la stessa identità cristiana. Ma come possiamo noi accogliere ed esperire l'amore di Dio a comunicare agli altri, se non prima realizzando in noi un fecondo itinerario di conversione? Come poter cogliere la libera iniziativa dell'amore di Dio che ci raggiunge senza premettere la necessaria umiltà e la non meno necessaria penitenza? Come afferma Paolo, l'amore di Dio spinge alla conversione e il saperci amati non può non infondere in noi questa consapevolezza di dover tornare alla fonte dell'Amore. In altre parole, la conversione è indispensabile perché fede e carità possano di fatto costituire il binomio inalienabile della nostra vita. Purché la conversione non si limiti alle vuote pratiche esteriori atte a denotare nient'altro che mero esibizionismo. Convertirci vuol dire infatti concepire che nel suo amore è per primo Dio a chiamarci alla comunione con sé; accogliere lo spessore di densità dell'amore divino che si fa per noi; divenire consapevoli del nostro stato deplorevole di peccatori; concepire la necessità di prescindere da noi stessi, di valicare i limiti ci vengono posti come invalicabili dalla nostra presunzione e protervia, entrare di conseguenza in intimità con Dio e vivere questa intimità con il Signore per esserne latori agli altri per mezzo di opere concrete di carità. Umiltà e conversione sono quindi alla base della vita cristiana e perché siano tali non dovranno mai essere per noi un obiettivo raggiunto. L'imposizione delle Ceneri sono il simbolo esteriore dell'umiltà radicale con cui si comincia il necessario cammino di conversione verso l'Amore.
I prossimi quaranta giorni che ci separano dalla Pasqua sono un'occasione privilegiata perché rammentiamo a noi stessi come sia importante che tutta la vita sia per noi una penitenza constante, un continuo mutamento radicale di noi stessi perché raggiungiamo la meta effettiva della fede che si palesa nella carità. Perché tuttavia questo tempo di familiarità con Dio possa recare i debiti frutti, è indispensabile però che ci avvaliamo di mezzi appropriati e garantiti quali la preghiera, il periodico raccoglimento, le astinenze e le rinunce indicate dalla Chiesa ed eventuali altre che possiamo aggiungere noi stessi, le concrete opere di carità verso i bisognosi che scaturiscono dalla pratica medesima del digiuno.
Pregare e amare sono ambedue esercizi di esternazione della nostra fede, che coltivano la realtà effettiva di un Incontro consolidato che ha avuto inizio e che vuole persistere nel tempo. Preghiera e amore sono per questo irrinunciabili elementi della Quaresima, la quale è solo un riflesso di quella che dovrebbe essere la vocazione costante della nostra vita.
Certamente la conversione non è un processo facile...Ma appunto la preghiera e la carità sono coefficienti di fiducia e di perseveranza per vincere...la conversione è il processo che costruisce una fede certa, solida e radicata la quale avrà poi molteplici possibilità e si avvale di tante risorse.
Quaranta è il numero degli anni trascorsi dal popolo d'Israele ramingo nel deserto; quaranta è anche il numero dei giorni che Gesù volutamente subisce nel deserto insidiato da Satana e dalle sue accattivanti seduzioni; quaranta sono i giorni trascorsi da Giona nella sua predicazione a Ninive; quaranta notti dura il diluvio di cui è protagonista Noè; quaranta giorni attende Mosè sul monte Sinai prima di scendere con le tavole della legge... In tutti i casi si tratta di un numero simbolico, che sottende l'attesa lunga, ansiosa e sacrificata la quale culmina nella gioia di un traguardo raggiunto o di un bene conseguito. Anche i nostri quaranta giorni ci condurranno alla Pasqua dopo il necessario tempo di concentrazione e di ascolto nel quale la Parola stessa del Signore apporterà i suoi benefici vantaggi...
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Nesso tra le letture
Le letture di oggi parlano tutte della conversione interiore del cuore a Dio, che è segnata da azioni compiute in sincerità e purezza di cuore. C'è anche un'implicita fiducia nel fatto che Dio perdonerà i nostri peccati e purificherà i nostri cuori. Pentendoci e convertendoci a Dio, sperimenteremo la gioia della sua salvezza.
Il profeta Gioele in nome del Signore rivolge a tutto il popolo il suo appello ´"Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianto e lamenti". Laceratevi il cuore e non le vestiª (2,12-13). I sacerdoti in special modo devono intercedere presso Dio per la loro gente.
Il salmo 50, tradizionalmente attribuito al Re David, racchiude la confessione delle offese, l'azione purificante di Dio e l'esperienza della gioia di essere salvato.
Il Vangelo di Matteo insiste sulla sincerità e purezza d'intenzione della preghiera, del digiuno e dell'elemosina ai bisognosi, segnali di genuina conversione e pentimento. Ogni gesto religioso compiuto per mera esteriorità o per promuovere la propria immagine è segno d'ipocrisia.
San Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che è questo il tempo per essere riconciliati con Dio. Il Figlio di Dio fu trattato da peccatore, affinché noi fossimo giustificati.
Il peccato. Una realtà costante nell'Antico come nel Nuovo Testamento è la presenza del peccato. In genere è visto come un voltare le spalle a Dio, e seguire idoli di rimpiazzo. In particolare, assume la forma di atti specifici, che infrangono la Legge di Dio e mostrano così l'indifferenza per Dio, nonostante la sua bontà e la sua protezione. La storia d'Israele è un continuo altalenare tra il peccato e la conversione, e tra la punizione di Dio e la sua misericordia. Il calendario liturgico d'Israele esprimeva questo bisogno di purificazione nel grande Giorno dell'Espiazione, quando un capro offerto in sacrificio veniva caricato dei peccati degli israeliti e poi condotto nel deserto. Preghiere e invocazioni di perdono venivano elevate dal Sommo Sacerdote (Lev 16). Nei Vangeli, Gesù mostra una straordinaria compassione per i peccatori. Egli è venuto per i peccatori, per tutti noi. Egli perdona i nostri peccati e provoca un completo cambiamento di prospettiva nella nostra vita. Quel che colpisce è la gratuità del perdono che Egli ci offre, ed il comandamento positivo d'amore che non solo ha ingiunto a noi peccatori, ma che sembra quasi evocare dai nostri cuori. Il peccato è considerato un ostacolo alla realizzazione della propria vita nell'amore. Con la rimozione del peccato si è liberi di amare. Quel che pure è insolito è il fatto che sia proprio la gente apparentemente più lontana da Dio quella che riconosce e desidera di più questa liberazione dal peccato (i paragrafi 386-387 trattano della realtà del peccato; i paragrafi 397-409 riferiscono del primo peccato dell'uomo e della dura battaglia contro il male e il peccato; il paragrafo 1739 parla della libertà e del peccato).
Il perdono di Dio. Dovendo portare avanti l'azione di Gesù con il perdono dei peccati, ai sacerdoti viene conferita l'autorità di perdonare i peccati in nome e in virtù del potere di Dio. Questo perdono è autentico, non soltanto simbolico, ed è sempre disponibile. Dio perdona tutti i peccati commessi a coloro che vogliono essere perdonati (i paragrafi 1440-1470 trattano del sacramento della penitenza e della riconciliazione).
Pentimento e conversione. Sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, il tipo di conversione e di pentimento richiesto è un profondo cambiamento interiore, del cuore. Non è un lavacro superficiale di macchie esteriori. Per quanto la confessione sacramentale assuma la forma della confessione periodica dei peccati, questa abitudine si basa su un orientamento più profondo della propria intera esistenza verso Dio. In ogni persona, mossa dalla grazia di Dio, c'è un movimento della propria intera esistenza verso Dio. Quando questo movimento viene accettato liberamente, la propria vita si apre alla verità più grande. Si comincia a mutare le proprie azioni, i propri desideri e i propri pensieri, volgendoli nella medesima direzione. Lungo questo percorso si può peccare, ma pur sempre nel contesto di un movimento dell'intero proprio essere verso Dio. Questa è la completa conversione cristiana del cuore, ed è questo impulso di tutta l'esistenza che, lungi dall'essere vana finzione, dà senso alla confessione periodica (i paragrafi 1427-1439 si riferiscono alla conversione dei battezzati, alla penitenza interiore e alle molte forme di penitenza nella vita cristiana).
Il peccato è oggi una delle realtà più incomprese, anche tra i cristiani. Ci siamo forse abituati ad una caricatura del suo significato, riducendo la concezione di peccato al suo aspetto formale di contravvenzione alla regola o alle norme. Questo legalismo religioso non permette di apprezzare la realtà del peccato, ed ha scarsa attrattiva per coloro che scelgono di non seguire le regole. È di ben trascurabile utilità in una cultura che esalta la libertà e l'autonomia.
È stato detto che si è perso il senso del peccato. Sembra sia proprio questo il caso; quel che non abbiamo perso, invece, è l'esperienza del peccato, anche se non siamo in grado di comprenderlo o riconoscerlo nella nostra vita. Bisogna stare attenti ad attribuire una valenza peccaminosa ad ogni azione che sia moralmente sbagliata (sembra che a nostro Signore importassero assai più la liberazione dal peccato e la gioia del regno che non semplicemente definire il livello di responsabilità morale). Anche così, il peccato causa dolore, che viene percepito su di sé e negli altri. Il senso di alienazione dall'altro, l'esperienza della divisione in se stessi, il senso della vergogna, la frustrazione, la sensazione di vuoto interiore possono essere alcune delle esperienze intime del peccato. Esperienze che sono autentiche, che giungono a noi come conseguenza di atti compiuti o meno da noi. La miseria dei senza tetto, la violenza, i bambini non amati, la sofferenza provocata dall'altrui infedeltà, la discriminazione e l'odio razziale o religioso sono alcune delle conseguenze esteriori di atteggiamenti peccaminosi di commissione od omissione, di fuoco o di ghiaccio (cfr. R. Frost).
Dobbiamo recuperare ed identificare l'esperienza di peccato come qualcosa di autentico, dannoso e sbagliato. La realtà del peccato non è soltanto un articolo della fede; è un'esperienza quotidiana, comune. È visibile. E può essere cambiato. L'immagine del figliol prodigo quale uomo "ridotto in pezzi" che fa ritorno a casa è il punto d'avvio. Siamo chiamati, in questa vita, ora, a ricostruire la nostra esistenza e quella altrui. C'è un piano di costruzione. La conversione dev'essere concepita in questo senso, quale scopo e compito di tutta una vita.
Omelia a cura di Totustuus (Commento Matteo 6,1-6.16-18)