14 dicembre 2014 - Terza Domenica di Avvento "Gaudete": Chiamati ad essere testimoni di luce

News del 12/12/2014 Torna all'elenco delle news

Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Ad una cosa sola il profeta rende testimonian­za: non alla grandezza, alla maestà, alla potenza di Dio, ma alla luce.

Ed è subito la positività del Vangelo che fiorisce, l'an­nuncio del sole, la certezza che il rapporto con Dio crea nell'uomo e nella storia un movimento ascensionale verso più luminosa vita.

Giovanni afferma che il mondo si regge su un prin­cipio di luce, che vale molto di più accendere una lam­pada che maledire mille vol­te la notte. Che la storia è una via cru­cis ma anche una via lucis che prende avvio quando, nei momenti oscuri che mi circondano, io ho il coraggio di fissare lo sguardo sulla li­nea mattinale della luce che sta sorgendo, che sembra minoritaria eppure è vin­cente, sui primi passi della bontà e della giustizia.

Ad ogni credente è affidato il ministero profetico del Battista, quello di essere an­nunciatore non del degrado, dello sfascio, del peccato, che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di sole possibile, di un Dio sconosciuto e inna­morato che è in mezzo a noi, guaritore delle vite. E mi co­pre col suo manto dice Isaia, e farà germogliare una pri­mavera di giustizia, una pri­mavera che credevamo im­possibile.

Per tre volte domandano a Giovanni: Tu, chi sei? Il pro­feta risponde alla domanda di identità con tre 'no', che introducono il 'sì' finale: io sono Voce. Egli trova la sua i­dentità in rapporto a Dio: Io sono voce, la parola è un Al­tro. Io sono voce, trasparen­za di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che ven­gono da prima di me, che sa­ranno dopo di me. Testimo­ne di un altro sole.

Chi sei tu? È rivolta anche a noi questa domanda decisi­va. E la risposta è come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la no­stra vita. Io non sono l'uo­mo prestigioso che vorrei es­sere ne il fallito che temo di essere. Io non sono ciò che gli altri credono di me, né un santo, né solo peccatore. Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. La mia i­dentità ultima è Dio; il mio segreto è in sorgenti d'acqua viva che sono prima di me. La vita scorre nell'uomo, co­me acqua nel letto di un ru­scello. L'uomo non è quel­l'acqua, ma senza di essa non è più. Così noi, senza Dio.

E venne un uomo mandato da Dio. Anch'io sono un uo­mo mandato da Dio, anch'io testimone di luce, ognuno un profeta dove si conden­sa una sillaba del Verbo.

Il nostro tempo è tempo del­la luce nel frammento opa­co, di fiducia e smarrimen­to, dentro il quale io cerco l'elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente. Un giorno Gesù darà la ri­sposta, e sarà la più bella de­finizione dell'uomo: Voi sie­te luce! Luce del mondo .

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Rallegratevi sempre nel Signore: il decalogo della gioia cristiana

Se ci guardiamo intorno e vediamo i tanti problemi che oggi ci sono nel mondo, c'è poco da gioire e rallegrarsi. Tante ingiustizie, cattiverie, malvagità, guerre di ogni genere. Potrebbe ingenerarsi in noi un modo di pensare e di quindi di agire solo in termini negativi, facendo emergere una cultura del pessimismo ad ogni costo, quando in realtà il cristiano è figlio della gioia e annunciatore, portatore di pace e gioia.

Questo appello ci viene rinnovato in questa terza domenica di Avvento, definita appunto della gioia e della vera felicità.

A partire dall'antifona di ingresso alla messa di oggi che è chiaro ed esplicito il monito che dobbiamo fare nostro: "Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino". (Fil 4,4.5). Rallegrarsi non per un fatto positivo di cronaca o per un evento bello, ma qui si tratta di gioire davvero perché è vicino a noi il Signore nell'annuale solennità del Natale, che ci rimanda alla prima venuta di Cristo nella storia dell'umanità, in attesa del secondo e definitivo ritorno del salvatore per giudicare i vivi e i morti, per giudicare la storia.

Scrive Papa Francesco nella sua recente esortazione apostolica Evangelii Gaudium che "la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia". Ed aggiunge: "desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni". Ma poi richiama subito all'attenzione la situazione attuale del mondo: "Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l'entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto".

Oggi la parola di Dio ci viene in aiuto e soccorso per aprire il nostro cuore alla vera gioia della venuta messianica.

Isaia, nel brano della prima lettura, riporta la gioia del profeta che passa attraverso l'esperienza personale e diretta del dono della salvezza, della pratica attuazione della giustizia, del rispetto e della stima verso gli atri.

Nella seconda lettura viene ribadito il vero senso della gioia e della letizia cristiana. C'è qui un desiderio autentico di vedere i cristiani contenti, senza paura ed angoscia per il domani. Potremmo ricavare da questo passo una vera e propria lista degli elementi che contribuiscono a mantenere la gioia cristiana, un vero e proprio decalogo della gioia:

1) essere sempre lieti (la gioia è uno stato, una condizione di vita permanente);

2) pregare ininterrottamente (non c'è gioia senza preghiera; anzi la preghiera è gioia per sua natura);

3) rendere grazie (a Dio e a tutti e per tutto);

4) non spegnere lo Spirito (la vita interiore deve essere curata e non fatta morire lentamente);

5) non disprezzare le profezie (il dono dell'annuncio deve essere coltivato e valorizzato);

6) vagliare ogni cosa e scegliere il bene (il discernimento spirituale e morale porta alla decisione per il bene e non per il male);

7) astenersi da ogni specie di male (compreso il bene, si evita di conseguenza il male, qualsiasi male per se stessi e per gli altri);

8) aver cura di santificarsi, abbandonandosi totalmente a Dio;

9) conservarsi irreprensibili, nella totalità della propria persona (anima e corpo) per la venuta del Signore;

10) rispondere alla chiamata di Dio alla santità, vivendo la propria condizione di battezzato e il proprio stato di vita nell'assoluta fedeltà alla legge morale.

Questo progetto personale di santificazione è possibile realizzarlo se assumiamo come stile di vita quello stesso di Giovanni il Battista, che nel brano del vangelo di questa domenica ci viene presentato come l'uomo della gioia vera, in quanto orientato totalmente a Cristo, l'atteso Messia e l'Uomo della gioia per sua stessa natura, in quanto Figlio di Dio, Figlio della gioia eterna ed infinta.

Sia questa la nostra preghiera: "Guarda, o Padre, il tuo popolo, che attende con fede il Natale del Signore, e fa' che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza".

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Il testimone che sa attendere

La figura di Giovanni Battista svetta, accanto a quella della Vergine Maria, in questo cammino di Avvento. Egli è il testimone che annuncia la venuta dell'Atteso. Egli è l'amico dello Sposo che prepara la carovana degli invitati a nozze. Egli è il profeta che guida il popolo verso il passaggio definitivo alla sponda della Nuova Alleanza.

A suo dire, però, egli è soltanto una voce. Si presenta ai Giudei più nell'ottica della negazione che dell'affermazione di sé, più come fonte di delusione che di realizzazione delle aspettative. Sorprende questo suo atteggiamento, che sembra denigratorio. Certamente non è molto consono all'esaltazione esasperata dell'individuo a cui ci ha abituato la cultura pseudo - umanistica contemporanea. Ecco perché Giovanni emerge maestoso anche oggi: ben consapevole che egli dovrà diminuire, perché Gesù, il Messia, cresca, il Battista riconosce di valere qualcosa solo in riferimento a Colui che viene.

Egli infatti è voce perché Gesù è la Parola. In questo senso Giovanni ?confessò e non negò' (v. 20). Non si arrogò nessun titolo onorifico, nessun ruolo fuori misura, nessun merito inopportuno: ma si riconobbe semplicemente come un uomo in relazione a Gesù, totalmente orientato a Lui, con lo sguardo fisso al Maestro. Giovanni ?confessò' il Salvatore, ubicando se stesso al posto giusto. E la giustizia divenne così verità che libera.

Pensiamo a noi, e alla tentazione sfrenata di narcisismo di cui siamo vittime ogni giorno. Abbiamo un bisogno ossessivo di metterci in mostra, di esibirci e di essere apprezzati e riconosciuti. Abbiamo una brama affannosa di apparire nei mass media anche solo per poterci sentir dire: ?ti ho visto'. E questa ansia di visibilità si traduce in una corsa spasmodica ad arrivare prima, a pubblicare per primi la nostra foto sui social network, a cogliere nell'immediatezza un dettaglio sebbene a migliaia di chilometri di distanza. Si perde il gusto dell'attesa, del silenzio, della scoperta gratuita. Si perde la calma e la trepidazione della gestazione.

Giovanni invece si ritira, al di là del Giordano, in luogo straniero. Si ritira nel deserto, vestendosi e nutrendosi nella più austera sobrietà. Non c'era nulla di attrattivo in lui. Eppure proprio questo, oltre a restituirgli la propria identità in relazione allo Sposo che viene, gli dona anche il rapporto più significativo con il suo popolo, con il gregge a cui egli stesso appartiene. Giovanni, infatti, non è una voce che grida da lontano, impartendo comandi e sentenziando vaticini spaventosi. Egli non è nemmeno un testimone che osserva distaccato le vicende della folla, che cammina smarrita e senza pastore.

Giovanni, invece, sta nel deserto con i suoi. Sta nel cuore della fatica più grande del suo popolo. Anzi, sta dentro la separazione e la frattura che la Legge di Israele ha generato tra i Giudei e i pagani, e in questa divisione - simbolo del dramma di una religiosità vissuta come giogo pesante anziché come liberazione - egli porta con gli altri il fardello doloroso della speranza. Giovanni può essere testimone non solo perché è in contatto con Colui che testimonia e si alimenta alla luce del divino che si intravede all'orizzonte, ma anche perché si immerge con coraggio nella notte e non ha timore a riconoscere dal di dentro le tenebre in cui vive l'umanità.

Per noi, spesso nostalgici di una illusoria fuga da ogni ombra che ci opprime, egli diviene profezia di uno stile di accompagnamento del dolore della gente. Essere cristiani che vivono le doglie del parto del Bimbo di Betlemme significa avere l'ardire di immergerci nell'aridità del deserto contemporaneo, riconoscendo la sete più o meno nascosta del popolo che si è allontanato da Dio. Noi siamo come un marito che si affianca alla sposa - alla Vergine - e non fugge l'intimità della sala da parto, dove si intrecciano l'amore più straordinario e il dolore più atroce. Decidiamo di stare lì, a contemplare il mistero che sorprende, sprovveduti e poveri, ma almeno vicini al piccolo che nasce come fossimo novelli buoi e asinelli. Almeno il nostro fiato impaurito potrà scaldare un poco la fragile carne del nascituro. E il nostro pianto di commozione - che fa melodia con il vagito del Bimbo - diviene il nostro canto, la nostra voce che si alza e si unisce a quella del Battista: ?viene il Signore, preparate la via!'.

In questo Avvento Giovanni è per noi richiamo potente a recuperare il gusto e la responsabilità di una presenza. In mezzo al popolo che sta nella notte, lo Sposo, la Parola, il Bambino che viene ci chiede di esserci. E di esserci in stretta e manifesta relazione con Lui. Noi ci siamo, come uomini e come cristiani, perché siamo in attesa di Lui. E questo ci da' fiducia e speranza. E questo accende in noi la luce, e di essa brilliamo condividendo con gli altri la luce.

Abbiamo già ricevuto tutto quello che ci serve: è l'olio dello Spirito, che ci è stato dato in dono, e che viene rinnovato nei piccoli vasetti della carità, attinta alla fontana della Grazia nei sacramenti. Abbiamo già ricevuto il battesimo di fuoco, che ci immerge nel cuore del Mistero di amore e dolore, trasfigurato da Dio in Gesù morto e risorto.

Poiché già abbiamo ricevuto, grati Lo attendiamo vigilanti, chiamati a essere testimoni fra chi ancora non lo conosce. L'attesa restituisce senso alla vita, mai più bruciata dai fuochi ingannevoli del ?tutto e subito'.

Omelia di don Luca Garbinetto

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Terza Domenica di Avvento (Anno B) 14 dicembre 2014

tratto da www.lachiesa.it