23 novembre 2014 - XXXIV e ultima Domenica del Tempo Ordinario: Solennità di Cristo Re dell'universo
News del 22/11/2014 Torna all'elenco delle news
"Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo": è il titolo solenne di questa domenica, l'ultima dell'anno liturgico. Essa cioè conclude il ciclo delle celebrazioni con le quali ogni anno si rivive l'intervento di Dio nella vita degli uomini. Si intende, l'intervento storico, di duemila anni fa, ma anche quello che si ripropone di continuo, perché occorre non dimenticarlo mai: ogni giorno Dio rinnova ad ogni uomo l'offerta della salvezza, e a chi la accoglie Egli apre le porte della vita eterna insieme con lui.
Il ciclo dell'anno liturgico si chiude appunto con uno sguardo al futuro, in cui campeggia maestosa la figura di Gesù, vincitore definitivo del male, di tutti i mali che affliggono l'umanità. Il brano evangelico di oggi (Matteo 25,31-46) è quello in cui Gesù, parlando di sé in terza persona, descrive il giorno del giudizio finale, quando egli convocherà tutti gli uomini e, con autorità sovrana, pronuncerà la sentenza sulla loro destinazione definitiva. Li dividerà in due gruppi, e al primo dirà: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo", mentre per il secondo risuonerà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli".
La divisione e il conseguente giudizio non saranno a capriccio, ma in base a una regola ben precisa: gli uomini staranno per sempre con lui o lontano da lui, a seconda che nella vita terrena abbiano o no imitato lui, supremo modello di amore. Per amore lui, il Figlio di Dio, ha assunto la povera natura umana; per amore si è chinato sui malati, sugli smarriti nel peccato, sui dubbiosi, sugli affamati, sugli emarginati dalla società; per amore ha accettato l'infamante morte in croce, per coinvolgere tutti nella nuova vita da risorto. Chi ha davvero accolto tanto amore lo contraccambia, amando quanti si trovano in necessità: ed egli considera fatto a sé quel che si fa a loro. Di qui le parole che motivano il giudizio finale: "Venite, benedetti... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, in carcere e siete venuti a trovarmi".
Ovviamente la fame, la malattia e le altre carenze umane qui elencate sono soltanto esempi. La carità può esplicarsi in tanti modi; si aiuta chi ha fame, ad esempio, dandogli il pane ma anche, potendo, dandogli un lavoro con cui guadagnarselo; si giova ai malati stando loro accanto ma anche studiando medicina, o fondando un ospedale; le leggi attuali rendono estremamente difficoltoso visitare i carcerati, ma si può sempre operare in questo campo superando i pregiudizi nei confronti di chi esce di prigione. Ulteriori ambiti sono richiamati in altre circostanze dallo stesso Gesù (le beatitudini, ad esempio, lodano chi si dà da fare per la pace e per la giustizia) e di altri ancora si trovano innumerevoli espressioni nella meravigliosa storia, lunga ormai duemila anni, della carità cristiana.
Un'ampia casistica in proposito offre poi quella sublime pagina della Bibbia che è denominata "inno all'amore" (1Corinzi, 13). Vi si dice tra l'altro: "L'amore è paziente e benigno; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine". Il giudizio universale che concluderà la storia per portarla nell'eternità comprende proprio questo: la fede e la speranza non avranno più ragion d'essere, perché avranno conseguito il loro oggetto; ma l'amore resterà: quello di Dio per noi, quello nostro per lui e per i fratelli, sarà la sostanza della vita nel regno "preparato per noi sin dalla fondazione del mondo".
Omelia di mons. Roberto Brunelli (Un regno ci attende dalla fondazione del mondo)
Eredi del Regno di Cristo
L'ultima domenica dell'anno liturgico è dedicata alla solennità di Gesù Cristo, Re dell'universo. E' una domenica speciale, in quanto è la conclusione di un cammino spirituale ed interiore che abbiamo fatto nel corso dell'anno alla scuola della parola di Dio che ogni domenica abbiamo ascoltato e commentato e ci auguriamo di aver messo in pratica. E' un cammino di amore e carità quello che annualmente siamo chiamati a percorrere con l'anno liturgico, una vera miniera di grazia e benedizione per quanti vogliono seriamente pensare alla salvezza della propria anima, che, poi, è la cosa più importante della nostra vita, rispetto a quanti si affaticano per conquistare altri beni, terreni o di altro genere, che non hanno valenza davanti al Re dei cieli. In fondo, anche in questa domenica, ci viene nuovamente riproposto il tema dell'amore Dio, dal quale deve scaturire l'amore verso i fratelli. Un amore concreto, operativo, fatto di gesti e di empatia, caratterizzato dalla questa forte tensione verso l'altro, specie di chi si trova nella difficoltà. Questo Re che oggi adoriamo, Cristo Signore, sarà un giudice dal cuore misericordioso e buono, ma ci chiederà solo alcune fondamentali cose, se le abbiamo fatte o meno nella nostra vita. Certo a Lui tutto è presente e tutto Lui conosce, ma l'incontro con Cristo, nell'eternità, avrà un momento (se così lo possiamo definire) di un tu a tu con Dio. Un confronto che è decisivo, in quanto sarà per la felicità o la condanna. Certo il Figlio di Dio, venuto sulla terra, incarnandosi per opera dello Spirito santo nel grembo verginale di Maria, è venuto a portare la salvezza ed assicurare a ciascuna creatura umana un'eredità di un valore infinito, di un valore eterno, in quanto è la gioia di partecipare al Regno di Dio per sempre, nel Santo Paradiso.
Il testo del Vangelo di oggi, su cui abbiamo meditato nella domenica del 2 novembre scorso, in occasione dell'annuale commemorazione dei defunti, ci riporta alla realtà di una vita eterna che passa attraverso la scelta della carità. Un giudizio di Dio sul nostro operato e quello dell'intera umanità ci sarà e sarà espresso secondo criteri e parametri evangelici.
Vorrei sottolineare in questa meditazione ed omelia questo ultima versetto del vangelo di Matteo sul giudizio universale: "E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna". L'eternità e il nostro destino futuro lo costruiamo noi con le nostre mani, con le mani e il cuore dell'amore o dell'odio. Tutti abbiamo sperimentato nella vita l'amore e l'odio. Sono due forze contrastanti che si eliminano a vicenda. Chi segue la via dell'amore, sceglie anche per il suo futuro la gioia del regno di Dio, entrerà a far parte di coloro che saranno felici per sempre e davvero. La via dell'amore e della felicità è la via del dono, dell'accoglienza, dell'attenzione, della misericordia, del servizio umile e disinteressato verso i poveri e i bisognosi del mondo.
Da questo vangelo dell'amore che Papa Francesco ogni giorno coglie l'occasione per richiamare all'attenzione dei credenti il loro fondamentale impegno di amare e donare, di servire e rendersi disponibile.
Un Re che ci chiede di fare il bene agli altri, non chiede per se stesso nulla. Anzi è stato Lui stesso a dare tutto per noi, morendo sulla croce, sacrificandosi per noi. Una regalità speciale, fuori dai canoni delle regalità e dei regni di questa terra, che hanno altre prospettive di soggiogare le persone e il mondo alle proprie idee e posizioni.
Nella prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi, che oggi ascoltiamo, ci viene proprio evidenziata la missione di Cristo. Una missione che si concentra sul tema della morte e risurrezione, sulla Pasqua.
Gesù Cristo quindi, al centro della redenzione "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza". Per cui, "è necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte". Una regalità per la vita e non per la morte. La morte, infatti, è la negazione della vita, è l'opposto e l'opposizione della vita. Cristo è per la vita e la vita oltre la vita, senza la quale non possiamo parlare di vera vita.
Questo Re, inoltre, si indentifica con il pastore umile, buono ed accorto, perché tutte le sue pecorelle possano trovare conforto e gioia in Lui, e che nessuna di essa non avverta la solitudine dell'esistenza o dello smarrimento, ma solo l'amore che è ricerca e attenzione, come ci rammenta
Il nostro Dio, il nostro Re, è un Dio che va alla ricerca e soffre se anche una sola delle sue pecore dovesse perdersi, smarrirsi, non ritrovare la strada del paradiso. In questa sua affannosa ricerca, se gli uomini non rispondono a questo amore, alla fine c'è la separazione, c'è il giudizio, tra pecore e pecora e tra montoni e capri. Segno evidente che Dio non può fare a meno di emettere il suo verdetto sul nostro comportamento, se non va verso il pentimento, verso la conversione permanente.
Sia questa allora la nostra umile preghiera in questo giorno di lode e ringraziamento al Re dei Re: O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d'amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l'ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l'opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti".
Concludo questa mia riflessione con una delle espressioni più belle che hanno accompagnato il canto e la preghiera della Chiesa nei secoli: Christus vincit, Christus regnat, Christus, Christus imperat.
E con un saluto finale che fino a non molti anni fa tutti utilizzavamo per salutare i sacerdoti, i parroci: "Cristo, regni!". "Sempre".
Regni sempre nella nostra mente, nei nostri pensieri, nel nostro agire, nel nostro vivere quotidiano nella gioia e nella sofferenza che tante volte può interessare la nostra vita e la vita degli altri. Regni il Signore, perché il suo Regno è un Regno d'amore e di gioia, comunque e sempre. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Il peccato più grande? Smarrire lo sguardo di Dio
Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere... Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell'uomo, sulla sua povertà e fragilità. E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell'uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?
Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio.
Grandioso capovolgimento di prospettive: Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più. Bellezza della fede: la luce è più forte del buio; una spiga di grano vale più della zizzania del cuore.
Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l'amore, dato e ricevuto. In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l'avete fatto a me!
Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d'amore per l'uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi offrono aiuto sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere.
Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente.
Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso? Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.
Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.
Il contrario esatto dell'amore non è allora l'odio, ma l'indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina.
Questo atteggiamento papa Francesco l'ha definito «globalizzazione dell'indifferenza». Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l'attenzione, il cuore di Dio fra noi.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia e Liturgia della Parola della XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 23 novembre 2014
tratto da www.lachiesa.it