31 agosto 2014 - XXII Domenica del Tempo Ordinario: prendere la croce per trovare la vita
News del 28/08/2014 Torna all'elenco delle news
Termina il vagabondaggio libero e felice sulle strade di Palestina, lungo le sponde del lago, e all'orizzonte si staglia Gerusalemme. Per la prima volta si profila la follia della croce. Dio sceglie di non assomigliare ai potenti, ma ai torturati e uccisi del mondo. Potere vero per lui è amare, è la supremazia della tenerezza e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerò.
È una cosa tanto inedita e sconvolgente che Pietro la rifiuta: nella logica umana scegliere di stare dalla parte delle vittime, dei deboli, significa esautorarsi di ogni potere. Gesù allora lo invita a entrare in questa rivoluzione, ad aprirsi al nuovo che irrompe per la prima volta nella storia: «Pietro, torna a metterti dietro di me, riprendi ad essere discepolo».
Non é solo Pietro a seguire questa logica, ma tutti i discepoli. E allora Gesù allarga a tutti lo stesso invito: Se qualcuno vuole venire dietro a me... e detta le condizioni. Condizioni da vertigine. La prima: rinneghi se stesso. Parole pericolose se capite male. Rinnegare se stessi non vuol dire mortificarsi, buttare via i talenti. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente dalla vita realizzata. Rinnega te stesso vuol dire: non sei tu il centro dell'universo; impara a sconfinare oltre te. Non una mortificazione, ma una liberazione.
Seconda condizione: Prenda la sua croce e mi segua. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del vangelo, che abbiamo interpretato come esortazione alla rassegnazione: soffri con pazienza, accetta, sopporta le inevitabili croci della vita. Ma Gesù non dice «sopporta», dice «prendi». Non è Dio che manda la croce. È il discepolo che la prende, attivamente.
La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d'amore, amore fino a morirne. Sostituiamo croce con amore, ed ecco: se qualcuno vuole venire con me, prenda su di sé il giogo dell'amore, tutto l'amore di cui è capace e mi segua. Quindi la parola centrale del brano: Chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l'accento sul perdere la vita. Ma se l'ascolti bene, senti che l'accento non è posto sul perdere, ma sul trovare.
Seguimi, cioè vivi una esistenza che assomigli alla mia, e troverai la vita, realizzerai pienamente la tua esistenza. L'esito finale è «trovare vita», Quella cosa che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tutti i giorni che è dato loro di vivere: realizzare pienamente se stessi. E Gesù ne possiede la chiave. Perdere per trovare. È la legge della fisica dell'amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Pensare secondo Dio è innamorarsi del Crocifisso
Il testo del vangelo della XXII domenica del tempo ordinario riporta un nuovo dialogo ed incontro di Gesù con Pietro. Ma, in questo, caso, si tratta di un incontro di chiarimento della concezione sul modo di pensare di Pietro circa la persona e la missione di Cristo. Se nella confessione di Cesarea di Filippi Pietro riconosce Gesù come Figlio di Dio, qui non riesce ad entrare nel grande mistero del Cristo Crocifisso e Redentore, che passa attraverso la passione e il dolore. Non riesce ad accettare la croce, né a capire il senso più vero del soffrire e del patire nell'ottica di Cristo Crocifisso.
Il testo che oggi ascoltiamo ci dice esattamente la consistenza di questa rivelazione che Gesù fa di se stesso proprio a coloro, i discepoli e Pietro in particolare, che meglio di ogni altro dovrebbero riconoscere in Lui il vero Salvatore e l'atteso Messia, non potente nelle cose della terra, ma potente nelle cose del cielo. Invece, quanta fatica costa a Pietro accettare un Messia sofferente ed accettare la croce, come via preferenziale per seguire Gesù! Proprio in questi giorni, nel ministero della confessione, mi ritrovo davanti a delle persone di ogni condizione sociale che sono state toccate dalla perdita di persone care, soprattutto di figli giovani e bravi, ma anche toccate dalle varie malattie, soprattutto quella più terribile e ricorrente che è il tumore o il male oscuro della depressione. Quanto è difficile anche per un sacerdote dare parole di conforto e di speranza alle persone che vivono queste sofferenze indicibili da un punto di vista umano. L'unico e costante richiamo che faccio a me stesso e agli altri, nel momento della prova e del dolore, è alzare la testa e guardare la croce e chi su quella croce è stato inchiodato dall'odio e dalla cattiveria umana: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che passò tra la gente facendo solo il bene.
Ecco la Croce e soprattutto il Crocifisso è l'albero della nostra vittoria contro ogni tentazione ad azzerare nel nostro pensiero e nella nostra vita. Meditare su questo brano del Vangelo, che, a mio modesto avviso, è uno dei più belli e significativi di tutto il messaggio cristiano, come sacerdote passionista vi invito a farlo, personalmente, non solo oggi, in questo giorno di festa che è la domenica, ma sempre, soprattutto nei momenti difficili della nostra vita e, spesso, sono tanti e ricorrenti perché non si vide la via d'uscita. Quella via è indicata dalla Via Crucis, dalla via del Calvario che prima o poi tutti i veri cristiani sono chiamati a percorrere, seguendo il nostro maestro. Matteo, nel descrivere con dovizia di particolari questo dialogo tra Gesù e suoi apostoli, ci offre una meditazione sul mistero di Gesù Crocifisso, che dobbiamo saper valorizzare per la nostra crescita spirituale.
Pensare secondo Dio è pensare nell'ottica della Croce, come amore ed oblazione. E la vera sequela di Gesù passa attraverso questa adesione e risposta d'amore a lui. Possiamo guadagnare ed avere tutto in questo (e molti per la verità ce l'hanno pure), ma a nulla serve possedere delle cose, se poi non si possiede la vera ricchezza che è Cristo e l'amore. Facciamo nostro questo appello ed invito di Gesù: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Guadagniamo davvero le cose che contano per sempre e non quelle che contano per un tempo, quel tempo della vita terrena che non è tutto. Lasciamoci sedurre dalle cose di Dio e non da quelle della carne e degli uomini, come ci ricorda la prima lettura della liturgia di oggi, tratta dal profeta Geremia. Avere l'ardore missionario, non per denunciare, ma per testimoniare con la propria vita l'amore verso Dio, la verità, l'onesta, la giustizia, la pace, la rettitudine del cuore e della vita.
Noi vogliamo essere sulla linea che Paolo Apostolo ha tracciato, da un punto di vista morale e dottrinale, nella bellissima lettera ai Romani. Non ci vogliamo conformare alla mentalità del mondo, di un mondo di oggi specialmente, in certe realtà culturali, sociali, politiche, economiche corrotto al massimo. E come spesso ci ricorda Papa Francesco che "è tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio. E, passo dopo passo, finiscono per convincersi che dovevano uccidere Gesù, e uno di loro ha detto: "E' meglio che un uomo muoia per il popolo".
Sia questo il nostro sincero atteggiamento di cristiano e la nostra autentica preghiera in questa giornata di festa domenicale e per il resto della nostra vita: "Rinnovaci con il tuo Spirito di verità, o Padre, perché non ci lasciamo deviare dalle seduzioni del mondo, ma come veri discepoli, convocati dalla tua parola, sappiamo discernere ciò che è buono e a te gradito, per portare ogni giorno la croce sulle orme di Cristo, nostra speranza". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Lo scandalo della croce
C'è sempre, nel cammino della vita, un momento in cui salta per aria qualcosa. Una bella relazione entra in un momento di crisi, una allegra compagnia vive un tempo di incomprensioni e smarrimento, un impiego redditizio non garantisce più la sussistenza... È il passaggio amaro e duro del limite, della fatica, della delusione, di cui la nostra esistenza umana non può fare a meno.
A volte - o forse spesso - è un passaggio segnato dall'odio e dalla violenza. Lo sanno bene i nostri fratelli del Medio Oriente, la cui esistenza è appesa a un filo, se non è già stata spezzata. Non è un gioco la tragedia della sofferenza.
Anche nell'itinerario di Gesù, Maestro di Israele, nel suo rapporto con i suoi discepoli e con le folle che lo seguono entusiaste, comincia il tempo della crisi, dell'incomprensione, dello scandalo. Scandalo significa inciampo, sasso che ostacola il passo. È un fastidio nel cammino, rischia di fare cadere chi sta sulla strada.
Oggi Gesù ci mette di fronte alla logica della Croce, ?scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani' (1 Cor 1, 23). E scardina la logica del mondo, manifestata con la consueta passionalità da Pietro, che è di scandalo, invece, al pellegrinaggio terreno del Figlio di Dio.
Per chi sogna un futuro di successi, un avvento glorioso del Messia che sistemerà le cose e sopprimerà ogni ingiustizia e sopruso; per chi si prospetta la venuta di un regno di pace che passa attraverso la vittoria altisonante dell'esercito del cielo sui combattenti del male; per chi semplicemente immagina che ci sia una esistenza su questa terra privata dell'esperienza terribile e corroborante del dolore... la Croce è davvero scandalo atroce!
Piacerebbe un po' a tutti noi che le faccende della vita si sistemassero senza troppi conflitti. E d'altro canto, non è la Parola stessa che prospetta ?nuovi cieli e terra nuova' (Is 65, 17), in cui non ci sarà più né lutto né pena alcuna e la giustizia e la pace si baceranno, la verità e la misericordia si incontreranno (cfr. Sal 84, 11)?
Il sentiero per giungere alla meta del regno, però, non contempla l'annullamento di ogni tensione e di ogni contraddizione. Non qui, almeno; non ora. Anzi: il germoglio fragile del regno è spesso vittima di orrenda persecuzione. Non possiamo chiudere gli occhi sulla tragedia, né illuderci che passi presto il dramma dell'oppressione sull'innocente.
E questo perché eliminare la tensione e le contraddizioni significherebbe eliminare di sana pianta noi stessi, ogni uomo. Esse, infatti, abitano dentro di noi. Basti vedere Pietro stesso: poco prima si è lasciato condurre da un autentico afflato dello Spirito, riconoscendo in Gesù il Figlio del Dio vivente (cfr Mt 16,16); e subito dopo ritorna a indossare le vesti del ?controllore di volo', per decidere lui quello che al Figlio tocca fare, permettendosi persino di rimproverarlo in un trasporto di condottiero per la pace.
La guerra sta dentro di noi! Ecco perché non ci deve sorprendere troppo come Gesù possa fin d'ora annunciare la sua sorte finale. Egli, che conosce il cuore dell'uomo, sa che la sua proposta di una vita donata, perduta, offerta in ogni istante e in ogni relazione, in ogni quotidiana attività, per farne un ?culto spirituale gradito a Dio' (cfr Rm 12, 1), non è esattamente consona alla tentazione di egoismo che sibila costantemente in noi. Siamo continuamente sull'orlo di uno scivolo che ci fa desiderare un possesso, una sicurezza, una garanzia da controllare e da poter rivenderci per affermarci sugli altri.
Gesù, invece, prospetta il cammino della totale donazione per amore, dell'abbandono fra le braccia dell'altro, della perdita di sé. Questo è scandaloso. Non è necessario ricorrere a moralistiche considerazioni sulla cultura dell'esibizionismo e del consumo che ci attornia. È dentro di noi che si insinua, come gli spifferi dalle finestre, la paura di non sentirci più nostri. Con l'illusione che possedermi significhi essere vivo. Quando invece chi più si tiene stretto, più rimane solo, isolato, privo di relazioni... e quindi muore!
Si insinua la voce di Satana, che vuole mettere davanti le nostre scuse, le nostre giustificazioni, le nostre garanzie. In fondo, perché sposarsi tanto giovani, se non si ha un lavoro sicuro? E come si può avere figli oggi, quando non c'è uno stipendio assicurato? E perché dovremmo aiutare chi viene da altri Paesi, se vengono fondamentalmente a rubarci impiego e denaro? Perché non lasciare che i popoli lontani se la sbrighino da soli? La logica di Satana, che è logica del mondo - nel linguaggio paolino - e logica dell'uomo svincolato da Dio, è razionale e apparentemente impeccabile. Ma porta al peccato più grave: la chiusura alla relazione, e quindi alla vita.
Per vivere è necessario accettare la sfida della relazione, che non è minaccia. E poiché l'altro non è mai totalmente a mio uso e consumo, relazione significa perdita. La diversità dell'altro mi proietta fuori da me stesso, mi scaraventa su terreni inesplorati, mi sollecita a viaggi inimmaginabili. Questo fa paura. Ma la prospettiva che mi attende ha orizzonti infiniti. Molto più grandi di quelli di cui potrei godere anche se salissi sull'Himalaya e potessi vedere tutto il mondo come un mio possesso. Il viaggio fuori di me, infatti, verso l'altro mi riporta a scoprire l'abisso e l'altura della mia interiorità.
È lì che accolgo l'incontro con il volto di chi mi sta davanti. Specialmente se è il volto di Gesù, che è l'Altro per eccellenza. Che dolore deve avere provato Pietro quando il Maestro si volta e gli toglie lo sguardo, e non ne vede più gli occhi! Ma d'altro canto, poter posare il nostro sguardo sul suo significa accettare di percorrerne prima la via, calpestando le sue stesse impronte. È Lui che insegna la strada, non io. È Lui che da il ritmo, non io. È Lui che si dona per primo a me, non io.
La Croce di Gesù diviene così il culmine di uno stile di vita, che mi viene offerto come incalcolabile opportunità di ricchezza. Difficile comprendere qualcosa senza prima provarne il passo. Si comincia dalle piccole scelte quotidiane, dall'assumere le ordinarie contraddizioni della vita con spirito nuovo. Non rifiutandole, non evitandole, non rinnegandole, ma spalancando attraverso di esse la finestra per guardare l'altro e guardare dentro di me. Per interessarmi dell'altro e lasciare che si interessi di me. Per portare il mondo dentro il mio cuore, affinché la mia guerra trovi pace nell'incontro.
L'unico modo per sconfiggere gli spifferi dalle fessure, infatti, se non si vuol tappare e morire, è aprire del tutto.
Omelia di don Luca Garbinetto
Liturgia e Liturgia della Parola della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 31 agosto 2014
tratto da www.lachiesa.it