22 febbraio 2012: Mercoledì delle Ceneri - Inizio della Quaresima
News del 20/02/2012 Torna all'elenco delle news
Iniziamo con oggi il tempo forte della Quaresima. Lo scopo di questo periodo è la vera conversione, ossia il ritorno al Signore. Il segno esterno della nostra disponibilità a percorrere un cammino di rinnovamento interiore e di adesione al Gesù e al suo Vangelo sarà l'imposizioni delle Ceneri. Essa fa parte della celebrazione del giorno e la qualifica.
Il senso della Quaresima però va la di là della liturgia e va anche oltre i confini della Chiesa, intesa come il popolo dei credenti. Sarebbe triste se il nostro spirito quaresimale avesse il fiato corto limitato ai momenti delle cerimonie qui in Chiesa, ma nemmeno trovo bello che un cristiano pensi al tempo di Quaresima come ad un'occasione che riguardi solo i praticanti e al più i credenti. È tutta la società intera che ha bisogno di conversione, di fermarsi a riflettere, di prendere della decisioni risolute, di ritornare sui propri passi, di migliorare la propria condotta e stabilire nuove relazioni scambievoli.
Il papa Benedetto ha dedicato il suo messaggio per la Quaresima di quest'anno al tema del digiuno. Possiamo domandarci, egli dice, quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro sostentamento? Il digiuno rappresenta una pratica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui effetti negativi investono l'intera personalità umana.
A questo punto il papa cita un antico inno liturgico quaresimale che tradotto dice così: Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti. L'esortazione conclusiva suona così: La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Risulta evidente che l'impegno quaresimale di un cristiano e di una famiglia cristiana non può lasciare indifferente il mondo attorno, ma diventa un segno di invito e di richiamo.
Quelli vicini al Signore saranno stimolati in una gara di imitazione nel bene e quelli tiepidi e lontani riceveranno un richiamo salutare a prendere sul serio le esigenze del Vangelo. A questo punto un'obiezione può nascere spontanea nella mente di chi ha ascoltato il Vangelo di stasera. Gesù dice di non praticare le proprie opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, elemosine, preghiere e digiuni. È difficile però ai nostri giorni che tali pratiche esercitate per amore di Dio suscitino approvazione o esaltazione. Chi digiuna va in televisione solo se lo fa per motivi politici o di protesta. A chi prega, cioè a chi parla con Dio poi, viene preferito chi sa intrattenere, cioè chi parla conversando amabilmente di argomenti futili, che non disturbino. Se uno vuol fa conoscere che offre del denaro per una buona causa fa mettere il suo nome stampato in grande, ma non in chiesa. Elemosina, preghiera e digiuno così sono tornati ad essere comportamenti caratteristici del vero credente e di essi è più facile provare imbarazzo che andare fieri. Eppure preghiera, digiuno ed elemosina sono ancora importanti per il mondo d'oggi perché testimoniano una purezza di intenzioni che altrove manca.
Perché si dovrebbe perdere tempo a pregare se non per Dio? Chi conosce il sacrificio del digiuno se non sempre lo stesso Signore Dio? E chi saprà adeguatamente ricompensare una offerta fatta di cuore se non il medesimo Signore Onnipotente? Se qualcuno mettendo in pratica il triplice esercizio delle virtù quaresimali ancora teme di mettersi al centro dell'attenzione e di occupare un posto che non gli compete questa paura riceve una smentisce anche dalle parole di san Paolo nella seconda lettura. Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Con questa dichiarazione san Paolo invita a distogliere lo sguardo diretto su di lui e a rivolgere invece l'attenzione sul contenuto del suo messaggio. Un ambasciatore ripete quello che ha sentito pronunciare dal suo Signore e parla con l'autorità e dentro i limiti che ha ricevuto. Chi svolge l'ufficio di ambasciatore non può attirare l'interesse su se stesso, ma si mette al servizio della comunicazione ricevuta e da trasmettere. Questa è anche l'intenzione di san Paolo nell'assolvere il suo ministero di predicatore della Parola di Dio e di Apostolo di Gesù Cristo. Tuttavia san Paolo non si tira indietro di fronte al compito ricevuto, ma lo assolve con totale dedizione: Poiché siamo suoi (di Cristo) collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Qui san Paolo parla ai cristiani credenti di Corinto, ma attraverso di loro intende rivolgersi a tutti gli uomini. Tutti infatti hanno bisogno della grazia di Dio e se vogliono ne possono approfittare: Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Con il nostro comportamento cristiano riconoscibile noi siamo un messaggio vivente, anzi in molti casi siamo l'unico Vangelo che gli uomini di oggi leggano ancora. Ecco la nostra responsabilità sulle orme di san Paolo, ecco un motivo in più per vivere bene la Quaresima, dare testimonianza di fede vissuta ad un mondo in difficoltà che ha bisogno di ritornare a Dio e non sa come fare a incominciare.
Omelia di don Daniele Muraro (Paolo ambasciatore di Geù Cristo)
"Questo è il tempo del ritorno" canta la liturgia all'inizio della quaresima.
Le ceneri, imposte oggi sul nostro capo, ricordano la nostra fragilità. Tuttavia, non per rattristarci.
Il Signore, infatti, non si vergogna della nostra fragilità. Al contrario la ama e la vuole salvare. Per questo ci chiede oggi di tornare a Lui con tutto il cuore: chi torna troverà un Padre che con amore infinito lo abbraccerà.
Le parole del Vangelo sono un invito a vivere la propria fede nel Signore non misurandola a partire da gesti o da atteggiamenti esteriori, né valutandola con il metro del giudizio della gente, ma convertendo il nostro cuore a Lui.
Il Vangelo di Gesù non abolisce la legge, "la porta a compimento". E la legge si compie quando si torna al cuore, al senso profondo dell'elemosina, della preghiera, del digiuno.
Tornare al Signore è spogliarsi delle proprie sicurezze, delle tante regole che ci dettiamo e delle tante leggi che troviamo, per cercare il Signore e ascoltare la sua Parola.
Solo così, apprenderemo la via della sequela del Signore fino ai giorni della Passione e della Resurrezione.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
Il discorso riprende l'enunciato di 5,20; "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Il termine giustizia (sedaqah) è usato nella Bibbia per sintetizzare i rapporti dell'uomo con Dio, la pietà, la religiosità, la fede.
I rapporti con Dio, nostro Padre, devono essere improntati alla fiducia, alla confidenza e soprattutto alla sincerità.
L'autentica giustizia non ha come punto di riferimento gli uomini, ma va esercitata davanti al Padre che è nei cieli. Farsi notare dagli uomini è perdere ogni ricompensa presso il Padre.
Matteo sottolinea la vanità di un gesto puramente umano: gli ipocriti, che cercano l'approvazione, hanno già ricevuto la loro ricompensa.
L'ipocrisia consiste nel fatto che un'azione, che ha Dio come destinatario, viene deviata dal suo termine. L'elemosina, la preghiera e il digiuno devono essere fatti per il Padre che vede nel segreto.
Queste azioni fatte "nel segreto" non significano necessariamente azioni segrete: indicano ogni azione, anche pubblica, fatta per il Padre e non per essere visti dagli uomini. E' l'intenzione profonda che conta perché la ricompensa si situa a questo livello: la ricompensa è l'autenticità del rapporto con il Padre.
Il cristiano deve fare l'elemosina in modo da salvaguardare la rettitudine dell'aiuto prestato al fratello per amore del Padre.
La strumentalizzazione della preghiera è la deformazione più inspiegabile della pietà, perché mette a proprio servizio anche ciò che è essenzialmente di Dio.
Gesù nel suo intervento non si propone di modificare il rituale della preghiera giudaica, solo suggerisce un modo più retto di compierla, evitando l'ostentazione, il formalismo, l'ipocrisia. Gli stessi rabbini insegnavano: "Colui che fa della preghiera un dovere, che ritorna a ora fissa, non prega con il cuore".
Il richiamo di Gesù è sulla stessa linea della tradizione profetica e sapienziale e trova conferma nei suoi successivi insegnamenti e più ancora nella sua vita.
Il digiuno è un'altra importante pratica della vecchia e della nuova "giustizia". Esso è un atto penitenziale che completa e aiuta la preghiera.
Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno, ma il modo nel quale era fatto. Invece di esprimere la propria umiliazione, esso diventava una manifestazione di orgoglio.
Il digiuno cristiano, come l'elemosina e la preghiera, deve essere compiuto di nascosto. Il cristiano non deve fare ostentazione della sua penitenza; deve anzi nasconderla con un atteggiamento gioioso.
Il digiuno, come ogni altra sofferenza, è una fonte di gioia perché ottiene un maggior avvicinamento a Dio. L'invito di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo della penitenza cristiana: poter soffrire è una grazia (cfr 1Pt 2,19).
Omelia di padre Lino Pedron
Nesso tra le letture
Le letture di oggi parlano tutte della conversione interiore del cuore a Dio, che è segnata da azioni compiute in sincerità e purezza di cuore. C'è anche un'implicita fiducia nel fatto che Dio perdonerà i nostri peccati e purificherà i nostri cuori. Pentendoci e convertendoci a Dio, sperimenteremo la gioia della sua salvezza.
Il profeta Gioele in nome del Signore rivolge a tutto il popolo il suo appello ´"Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianto e lamenti". Laceratevi il cuore e non le vestiª (2,12-13). I sacerdoti in special modo devono intercedere presso Dio per la loro gente.
Il salmo 50, tradizionalmente attribuito al Re David, racchiude la confessione delle offese, l'azione purificante di Dio e l'esperienza della gioia di essere salvato.
Il Vangelo di Matteo insiste sulla sincerità e purezza d'intenzione della preghiera, del digiuno e dell'elemosina ai bisognosi, segnali di genuina conversione e pentimento. Ogni gesto religioso compiuto per mera esteriorità o per promuovere la propria immagine è segno d'ipocrisia.
San Paolo ricorda ai cristiani di Corinto che è questo il tempo per essere riconciliati con Dio. Il Figlio di Dio fu trattato da peccatore, affinché noi fossimo giustificati.
Il peccato. Una realtà costante nell'Antico come nel Nuovo Testamento è la presenza del peccato. In genere è visto come un voltare le spalle a Dio, e seguire idoli di rimpiazzo. In particolare, assume la forma di atti specifici, che infrangono la Legge di Dio e mostrano così l'indifferenza per Dio, nonostante la sua bontà e la sua protezione. La storia d'Israele è un continuo altalenare tra il peccato e la conversione, e tra la punizione di Dio e la sua misericordia. Il calendario liturgico d'Israele esprimeva questo bisogno di purificazione nel grande Giorno dell'Espiazione, quando un capro offerto in sacrificio veniva caricato dei peccati degli israeliti e poi condotto nel deserto. Preghiere e invocazioni di perdono venivano elevate dal Sommo Sacerdote (Lev 16). Nei Vangeli, Gesù mostra una straordinaria compassione per i peccatori. Egli è venuto per i peccatori, per tutti noi. Egli perdona i nostri peccati e provoca un completo cambiamento di prospettiva nella nostra vita. Quel che colpisce è la gratuità del perdono che Egli ci offre, ed il comandamento positivo d'amore che non solo ha ingiunto a noi peccatori, ma che sembra quasi evocare dai nostri cuori. Il peccato è considerato un ostacolo alla realizzazione della propria vita nell'amore. Con la rimozione del peccato si è liberi di amare. Quel che pure è insolito è il fatto che sia proprio la gente apparentemente più lontana da Dio quella che riconosce e desidera di più questa liberazione dal peccato (i paragrafi 386-387 trattano della realtà del peccato; i paragrafi 397-409 riferiscono del primo peccato dell'uomo e della dura battaglia contro il male e il peccato; il paragrafo 1739 parla della libertà e del peccato).
Il perdono di Dio. Dovendo portare avanti l'azione di Gesù con il perdono dei peccati, ai sacerdoti viene conferita l'autorità di perdonare i peccati in nome e in virtù del potere di Dio. Questo perdono è autentico, non soltanto simbolico, ed è sempre disponibile. Dio perdona tutti i peccati commessi a coloro che vogliono essere perdonati (i paragrafi 1440-1470 trattano del sacramento della penitenza e della riconciliazione).
Pentimento e conversione. Sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, il tipo di conversione e di pentimento richiesto è un profondo cambiamento interiore, del cuore. Non è un lavacro superficiale di macchie esteriori. Per quanto la confessione sacramentale assuma la forma della confessione periodica dei peccati, questa abitudine si basa su un orientamento più profondo della propria intera esistenza verso Dio. In ogni persona, mossa dalla grazia di Dio, c'è un movimento della propria intera esistenza verso Dio. Quando questo movimento viene accettato liberamente, la propria vita si apre alla verità più grande. Si comincia a mutare le proprie azioni, i propri desideri e i propri pensieri, volgendoli nella medesima direzione. Lungo questo percorso si può peccare, ma pur sempre nel contesto di un movimento dell'intero proprio essere verso Dio. Questa è la completa conversione cristiana del cuore, ed è questo impulso di tutta l'esistenza che, lungi dall'essere vana finzione, dà senso alla confessione periodica (i paragrafi 1427-1439 si riferiscono alla conversione dei battezzati, alla penitenza interiore e alle molte forme di penitenza nella vita cristiana).
Il peccato è oggi una delle realtà più incomprese, anche tra i cristiani. Ci siamo forse abituati ad una caricatura del suo significato, riducendo la concezione di peccato al suo aspetto formale di contravvenzione alla regola o alle norme. Questo legalismo religioso non permette di apprezzare la realtà del peccato, ed ha scarsa attrattiva per coloro che scelgono di non seguire le regole. È di ben trascurabile utilità in una cultura che esalta la libertà e l'autonomia.
È stato detto che si è perso il senso del peccato. Sembra sia proprio questo il caso; quel che non abbiamo perso, invece, è l'esperienza del peccato, anche se non siamo in grado di comprenderlo o riconoscerlo nella nostra vita. Bisogna stare attenti ad attribuire una valenza peccaminosa ad ogni azione che sia moralmente sbagliata (sembra che a nostro Signore importassero assai più la liberazione dal peccato e la gioia del regno che non semplicemente definire il livello di responsabilità morale). Anche così, il peccato causa dolore, che viene percepito su di sé e negli altri. Il senso di alienazione dall'altro, l'esperienza della divisione in se stessi, il senso della vergogna, la frustrazione, la sensazione di vuoto interiore possono essere alcune delle esperienze intime del peccato. Esperienze che sono autentiche, che giungono a noi come conseguenza di atti compiuti o meno da noi. La miseria dei senza tetto, la violenza, i bambini non amati, la sofferenza provocata dall'altrui infedeltà, la discriminazione e l'odio razziale o religioso sono alcune delle conseguenze esteriori di atteggiamenti peccaminosi di commissione od omissione, di fuoco o di ghiaccio (cfr. R. Frost).
Dobbiamo recuperare ed identificare l'esperienza di peccato come qualcosa di autentico, dannoso e sbagliato. La realtà del peccato non è soltanto un articolo della fede; è un'esperienza quotidiana, comune. È visibile. E può essere cambiato. L'immagine del figliol prodigo quale uomo "ridotto in pezzi" che fa ritorno a casa è il punto d'avvio. Siamo chiamati, in questa vita, ora, a ricostruire la nostra esistenza e quella altrui. C'è un piano di costruzione. La conversione dev'essere concepita in questo senso, quale scopo e compito di tutta una vita.
testo di Totustuus (Commento Matteo 6,1-6.16-18)