2 febbraio: Festa della Presentazione del Signore

News del 30/01/2012 Torna all'elenco delle news

Il 2 febbraio – 40 giorni dopo il Natale – è la festa della presentazione di Gesù al tempio.

E' una festa spiccatamente Cristologia. E' Cristo che viene riconosciuto e presentato dal vecchio Simeone, come luce del mondo "luce per illuminare le genti". Il Bambino è presentato al tempio da Maria, assieme a Giuseppe; si ricorda il rito ebraico della purificazione di Maria. Per questo la giornata ha anche una connotazione mariana nella nostra tradizione. La consuetudine di benedire e accendere le candele e portarle a casa in benedizione fa riferimento sempre a Cristo che è la luce "che illumina ogni uomo". Simeone poi lo presenta come gloria del popolo d'Israele e anche segno di contraddizione.

E' importante accogliere e contemplare Cristo luce del mondo, luce della nostra vita, senso pieno di ogni esistenza.

Scriveva papa Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte: "Chiediamo anche noi di poter vedere Gesù. Come gli antichi greci di cui parlano gli Atti, anche gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo vedere. E non è forse compito della chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?

La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto. Il nostro sguardo resta più che mai fisso sul volto del Signore. Alla contemplazione piena del volto del Signore non arriviamo con le sole nostre forze, ma lasciandoci prendere per mano dalla grazia. Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offre l'orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente, di quel mistero, che ha la sua espressione culminante nella solenne proclamazione dell'evangelista Giovanni: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Come dice Simeone: "I miei occhi hanno visto la salvezza!".

Nella nostra parrocchia, come in tutta Italia, celebriamo la Festa della Vita, con alcuni momenti e gesti che si modellano sul vangelo. Si legge: "Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore". Abbiamo invitato i genitori dei bambini da uno a dieci anni, con un invito particolare a quanti hanno ricevuto il battesimo nell'ultimo anno, a partecipare alla Messa parrocchiale. All'offertorio sfileranno in processione dal fondo della chiesa fino all'altare, "per offrire il proprio bambino al Signore" e lasceranno sull'altare, in preghiera, un lume acceso, invocando tutta la grazia e la benedizione del Signore sui propri bambini e su tutte le famiglie. Sarà un momento forte di fede, di amore, di impegno cristiano.

Che cosa può significare oggi "presentare il proprio bambino al Signore"? Significa riconoscere che i figli sono un dono di Dio, che appartengono a Lui, prima ancora che al papà e alla mamma. E'm Dio infatti che infonde nel bambino, al momento tesso del concepimento, il principio spirituale che chiamiamo anima. Procreare significa collaborare con Dio che è l'unico creatore. La Bibbia ci presenta una mamma che, guardando i suei sette figli, esclama, con stupore: "Non so come siete apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita... ma il creatore del mondo che ha plasmato fin dall'origine l'uomo".

Non basta offrire i figli al Signore una volta sola, all'inizio della vita; bisogna poi educarli nella fede. I genitori sono i primi evangelizzatori dei figli, anche con le piccole cose, con le preghiere che insegnano, le risposte che danno alle loro domande, i giudizi che esprimono in loro presenza. Si dice di Gesù: "Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui". E un giorno Gesù dirà: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio".

Presentare i figli al Signore, educarli alla fede, significa anche accettare che nella libertà delle loro scelte crescano fedeli al Signore o anche che attraversino periodi di crisi.

Uno scrittore spirituale dice: "Quando si è fatto tutto il possibile e non si può più parlare di Dio ai figli è giunto il momento di parlare a Dio dei figli, cioè di pregare per loro, sempre".

In questa giornata in cui ricordiamo la vita consacrata si deve comprendere che i figli sono sempre un dono di Dio, che è un dono ogni vocazione alla quale sono chiamati, che è un dono grande e speciale del Signore la vocazione ala vita consacrata, per la lode di Dio e per il ben di tutta l'umanità. 

Testo di don Roberto Rossi 


La Festa della Presentazione di Gesù al Tempio chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua.

Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32), ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. (Mess. Rom.)

Festa della Presentazione del Signore, dai Greci chiamata Ipapánte: quaranta giorni dopo il Natale del Signore, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele. (Martirologio Romano)

La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione.
La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce.

Questo atto di obbedienza a un rito legale.. costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza degli sfollati e dei perseguitati, quindi degli esuli.

L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio.

Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l'imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l'impero d'Oriente.

Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio 1 (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore.

Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora". La notizia data già da Beda il Venerabile, secondo la quale la processione sarebbe un contrapposto alla processione dei Lupercalia dei Romani, e una riparazione alle sfrenatezza che avvenivano in tale circostanza, non trova conferma nella storia.

Testo di Piero Bargellini tratto da www.santiebeati.it


I miei occhi hanno visto la tua salvezza

L'evangelista Luca, all'inizio della narrazione, si collega alla legge mosaica secondo la quale la madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio e offrire in sacrificio al Signore, per la sua purificazione, un agnello oppure una coppia di colombe.
La consacrazione del primogenito (come di ogni primizia) ricordava a tutto il popolo d'lsraele il primato di Dio sulla vita e sull'intera creazione. Maria e Giuseppe, pertanto, obbedienti alla legge di Mosè fecero quanto era prescritto e portarono Gesù nel Tempio per consacrarlo al Signore. Erano poveri e non potendo acquistare l'agnello per il sacrificio offrirono una coppia di colombe, in realtà essi donavano a Dio il "vero agnello" per la salvezza del mondo.

La festa della Presentazione di Gesù al tempio è tra quelle - poche in verità - celebrate assieme dalle Chiese cristiane d'Oriente e d'Occidente.

Di essa si ha memoria già nei primi secoli a Gerusalemme (era chiamata il "Solenne incontro" una processione per le strade della città ricordava il viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme con Gesù appena nato.

Ancora oggi la santa liturgia prevede la processione, cui, si è aggiunta, dal X secolo, anche la benedizione delle candele, che ha dato il nome popolare di "candelora" a questa festa.

La luce che viene consegnata nelle nostre mani ci unisce a Simeone ed Anna che accolgono il Bambino, "luce che illumina le genti", come canta Simeone riprendendo le parole del profeta Isaia nei capitoli 42 e 49 sul Servo di Jahvè.

E' piccolo Gesù, ha appena quaranta giorni, e subito si reca a Gerusalemme. E' il primo viaggio, ma già prefigura l'ultimo. Tornerà nella città santa al termine della sua vita, ma non più offerto nel Tempio e non più posto sulle braccia di Simeone, sarà invece condotto fuori le mura della città e sarà inchiodato sulle braccla della croce.

Oggi le braccia di Simeone lo prendono e lo stringono con affetto, ma nelle parole di questo saggio vecchio si delinea già il futuro del Bambino: "Sarà rovina e resurrezione per molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori", e guardando la madre - quasi prefigurando la scena della croce - aggiunge: "Anche a te una spada trafiggerà l'anima".

Simeone, uomo giusto e timorato di Dio che "sospirava" il conforto d'Israele, "Mosso dallo Spirito, si recò nel tempio... prese il bambino tra le braccia e benedisse Dio".
Come prima fecero Maria e Giuseppe, ora anche Simeone "prende il Bambino con sé" ed è riempito di una consolazione senza limiti tanto che dal suo cuore salì una tra le preghiere più belle della Bibbia: "Ora lascia, o Signore che il tuo servo vada in pace... perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti".
Era anziano Simeone, come pure la profetessa Anna (il Vangelo ne precisa l'età, ottantaquatttro anni).

In essi sono rappresentati certamente tutto Israele e l'umanità intera, che attende la "redenzione", ma possiamo vedervi anche le persone più avanti negli anni, gli anziani. Ebbene, Simeone ed Anna sono l'esempio di bella anzianità. E' sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l'unica consolazione, quando è possibile, è il rìmpianto della passata giovinezza.
Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta - ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani - che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, una iattura, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza.
Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia. Certo, a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po' d'amore, un po' di compagnia, un po' d'affetto.
Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi; sebbene proprio da questa mentalità - ma è questa la tragica contraddizione che pure viene supinamente accettata e sostenuta dalla maggioranza - che nascono le violenze e le crudeltà della vita.

Oggi, vediamo venirci incontro Simeone ed Anna, sono essi che ci annunciano il Vangelo, la buona notizia all'intera nostra società: un bambino, non forte né ricco, anzi debole e povero, può consolare, rallegrare e rendere persino operosa la vecchiaia. Così fu per loro. Non chiusero gli occhi sulla loro debolezza, sull'affievolirsi delle forze; in quel bambino trovarono una nuova compagnia, una nuova energia, un senso in più per la loro stessa vecchiaia. Simeone, dopo aver preso tra le sue braccia il Bambino, poté cantare il "Nunc dimittis" non con la tristezza di chi aveva sprecato la vita e non sapeva cosa sarebbe accaduto di lui; ed Anna, l'anziana, da quell'incontro ricevette nuova energia e nuova forza per lodare Dio e parlare del bambino a chiunque incontrava. Ambedue, assieme al gruppo dei pastori e dei magi, furono i primi missionari del Vangelo.
Questa pagina evangelica del "solenne incontro" tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia Piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani opera ancora oggi miracoli incredibili.

La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l'amore e la forza di Dio. Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte.
L'età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore. Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia

Testo di mons. Vincenzo Paglia 

  

Liturgia della parola della Festa della Presentazione di Gesù 2 febbraio 2012
tratti da: www.la chiesa.it