4 dicembre 2011 - Seconda Domenica di Avvento - Giovanni proclama: Viene dopo di me colui che...vi battezzerĂ nello Spirito Santo
News del 03/12/2011 Torna all'elenco delle news
La seconda domenica di Avvento si apre con una stupenda pagina dell'Antico Testamento, (Is.40,1-11), l'inizio della parte del libro di Isaia che si chiama "libro della consolazione", attribuito ad un profeta anonimo della fine dell'esilio del popolo di Israele in Babilonia.
"Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata.Veramente il popolo è come l'erba: secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre".
L' Avvento è il tempo della ricerca, dell'esperienza di Dio, dell'ascolto della sua parola: Dio parla al cuore del suo popolo, parla agli uomini "come ad amici". Oggi Dio parla a noi: l'Avvento è il tempo nel quale risuona la voce dei profeti che in suo nome ci parlano di salvezza, di gioia, di consolazione. Se dal profondo delle nostre delusioni, chiusure, durezze, impariamo di nuovo l'umiltà che ci fa aprire a Lui, per invocarlo, ritroviamo la gioia e la speranza: dobbiamo imparare a rimanere immersi nella nostra storia quotidiana, a partecipare alla vita complessa dei nostri giorni, ascoltando la parola di Dio che ci illumina e ci aiuta a vedere la sua presenza, che è sempre presenza di amore e di salvezza.
E in questa seconda domenica di Avvento, leggiamo l'inizio del Vangelo di Marco, Mc.1,1-8, che la Liturgia ci farà riprendere nella domenica del "Battesimo di Gesù".
"Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, figlio di Dio, come sta scritto nel profeta Isaia". Marco ci stupisce dall'inizio del suo Vangelo: mentre Matteo e Luca cominciano la loro narrazione dall'infanzia di Gesù, Marco lo fa in modo più misterioso, con una frase senza verbo, in stile telegrafico. Altrettanto misteriosa e sorprendente sarà la finale di Marco, con la fuga silenziosa, piena di timore delle donne dal sepolcro di Gesù (Mc.16,1-8).
Ma sia all'inizio che alla fine del Vangelo (Mc.1,2; 16,7) Marco parla di qualcuno che parte per preparare una strada, per imprimere alla storia un significato nuovo: all'inizio incomincia l'evento misterioso di Gesù, del suo ministero, della sua morte e della sua risurrezione e alla fine, quando la storia di Gesù si chiude, inizia l'avventura dei discepoli che devono proclamare il Vangelo al mondo intero.
"Inizio del lieto annuncio di Gesù, Cristo, figlio di Dio": è l'inizio dell'evento storico di Gesù che, per il modo in cui si è svolto e si è compiuto, si è rivelato l'inizio di una storia che si prolunga in un futuro senza fine. Così il termine "inizio" è usato in un senso duplice, imprimendo al Vangelo una forma circolare: è l' "inizio" della storia di Gesù che, come Marco sottolinea nel corso della narrazione, spesso i discepoli non riescono a comprendere se non dopo la risurrezione. Il lettore di Marco è spinto quindi, una volta arrivato alla fine partecipe della incomprensione dei discepoli, a rileggere da capo con gli occhi e gli orecchi ormai aperti alla gioia della lieta notizia. E la circolarità del Vangelo vissuta dal lettore credente, si apre ad un nuovo "inizio" della storia che diventa ormai una "spirale" aperta verso l'infinito: l'evento "Gesù, Cristo, Figlio di Dio", è l' "inizio" (arché) di una storia che si compie aprendosi a Lui, lasciando che il mistero della sua morte e risurrezione si dilati afferrando il fluire del tempo.
E' questo il senso dell'esistenza cristiana che l'Avvento vuole comunicarci: l'evento di Gesù, concretamente accaduto dentro la storia, pieno della presenza del figlio di Dio fa nuova la storia. Il tempo vissuto da noi, con la concretezza degli avvenimenti che ogni giorno lo connotano, è compenetrato dalla venuta del Messia, il Figlio di Dio. L'evento iniziale, è la chiave di interpretazione con cui noi possiamo capire e vivere la nostra storia.
Marco vuole esplicitamente stupirci: all'inizio dell'esperienza cristiana c'è un evento radicalmente nuovo; questo evento è l'inizio di una storia pure radicalmente nuova. Per i suoi discepoli, Marco elabora un cammino pedagogico particolare: si tratta di aprirsi alla novità di Gesù Cristo, figlio di Dio, di accogliere il dono che viene dall'alto, ma al tempo stesso di rimanere immersi nell'umanità.
E' pure straordinario che il titolo "Inizio del Vangelo." sia seguito da una citazione della Scrittura: si tratta di avvertire che la "lieta notizia" di cui parla questo libro è talmente "nuova" che non può non avere una sorgente che sfugge ad ogni rappresentazione umana. Il Vangelo trascende il racconto scritto da Marco, "il lieto annuncio" è iniziato "come è scritto nel profeta Isaia": per risuonare nel mondo, (oggi parliamo di "nuova evangelizzazione") ha bisogno di profeti.
Giovanni è il profeta chiamato ad aprire la strada all' "inizio" di ciò che Isaia ha annunciato. Anche il modo di presentare la figura di Giovanni è particolare, in Marco: non è concesso nessun spazio alle sue esortazioni morali mentre è sottolineato il successo (accorrono a lui da tutta la Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme) della sua missione. Giovanni è il profeta, nella linea di Elia, la cui missione è rivolta al popolo più che ai singoli: il fatto che tutti si facciano battezzare da lui, nel fiume Giordano, significa che egli riesce nella sua missione di riportare il popolo all'osservanza della Legge. Ma proprio a questo punto si innesta la "novità" di Giovanni: il suo modo di presentarsi, di vivere, per nulla convenzionale, è per dire che egli rappresenta una rottura.
La sua missione non si esaurisce nel richiamo alla conversione etica: c'è un "oltre" l'etica a cui l'uomo aspira e che non può raggiungere da solo. La missione profetica diventa un annuncio: è l'annuncio efficace di ciò che solo uno più forte può fare. "Viene il più forte di me dietro di me, del quale io non sono degno, chinandomi, di sciogliere i legacci dei sandali": si tratta di parole precise che illuminano il rapporto tra Giovanni e Gesù che ha interessato molto la prima comunità cristiana, perché in realtà sottolineano il rapporto tra l'etica e la fede e contribuiscono a precisare l'identità cristiana.
Giovanni è il profeta che apre la strada a Colui "che viene dietro di lui": è il profeta che in qualche modo riassume tutta la storia di Israele, storia di osservanza della Legge, storia che attesta la fragilità umana in attesa di un "cuore nuovo" e di una Legge "nuova" che l'uomo non può darsi da solo. Giovanni proclama che "viene", "adesso", quando l'uomo sperimenta la sua fragilità etica, "il più forte" di lui, il "Signore" che può dare all'uomo ciò che può fargli superare il suo limite. Tutto il seguito del Vangelo mostrerà in quale modo è presente "il più forte", Colui che non dà nuove leggi, non impone nuove regole, ma offre se stesso, dona il suo Amore, e stabilisce una relazione nuova con l'uomo, fatta di libertà capace non solo di evitare il male ma di operare il bene.
E Giovanni precisa ulteriormente questa radicale novità che ha inizio con la venuta di Gesù: è lo Spirito di Dio che fa di lui l' "inizio" della storia nuova dell'umanità, abitata dalla incontenibile forza dello Spirito: "Io vi ho battezzato con acqua, egli vi battezzerà nello Spirito Santo".
Marco continua a stupirci: all'inizio del Vangelo annuncia la promessa dello Spirito Santo ai suoi lettori che ancora non conoscono nulla e del quale noi che pure siamo antichi lettori mostriamo di sapere ben poco. Eppure "il più forte" viene proprio per ricrearci nello Spirito Santo! Marco ci inquieta: forse noi siamo rimasti discepoli di Giovanni e continuiamo a lasciarci battezzare soltanto nell'acqua!
Omelia di mons. Gianfranco Poma (04-12-2011)
Riconoscere il nostro "deserto" per poterne uscire
Isaia annuncia: "Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio"; indicando che "una voce" esorta al ravvedimento e alla predisposizione nei confronti del Signore, invita alla conversione e al radicale mutamento di vita. Non può essere che la voce di Dio, il quale rivolge agli Israeliti la presente esortazione dopo averli resi partecipi del fatto che Gerusalemme sta per essere resa alla libertà, perché "la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata." Ha scontato le pene delle proprie colpe e si sta avviando verso un nuovo destino di gloria il cui preludio è stata la speranza. Poiché è terminato il tempo della penitenza e degli affanni meritati dai peccati, adesso si prospetta la novità della salvezza, per la quale occorre convertirsi e orientarsi verso Dio.
La voce di Dio invita a spianare i sentieri accidentati, a trasformare in valli i terreni scoscesi, ad abbassare ogni monte e ogni colle, tutte espressioni plastiche della metafora tipica di questo profeta, che attraverso allusive immagini e paradigmi descrive la nuova situazione di pace e di prosperità che Dio vuole realizzare nell'uomo. Sinteticamente, questi è invitato a raddrizzare i suoi sentieri e ad orientare la sua condotta nella giustizia e nella verità, perché Dio si è ricordato di lui e lo sta conducendo a salvezza, una volta superato il castigo.
Si chiede però all'uomo di riconoscere umilmente il proprio "deserto", cioè la condizione di miseria morale e di peccaminosità nella quale si trova per potervi porre rimedio con la suddetta condotta di rinnovamento. E' appunto in questo "deserto" che si è chiamati a raddrizzare i propri sentieri e pertanto occorre innanzitutto assumere consapevolezza di esso, del fatto che in esso si è immersi e radicati e che costituisce il presente delle nostre disfatte morali.
Nelle pagine evangeliche, a differenza che in Isaia, avviene che Giovanni proclama se stesso: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, come disse il profeta Isaia"(Gv 1, 23) e identifica se stesso con la voce di colui che annuncia, esorta e sprona alla conversione. Egli stesso è la voce di Dio che grida nel deserto, sia geografico che spirituale, per chiamare l'uomo al ravvedimento.
Il termine "deserto", nell'accezione latina suona con "de - serere", ossia non - legare, non annodare. (serere = annodare) e indica appunto lo scioglimento, la privazione di ogni legame, di ogni consistente efficienza materiale e spirituale.
Il deserto è quindi la dimensione di smarrimento in cui ci si trova per aver perduto ogni legame con Dio a causa del peccato, la situazione esistenziale di vuoto, di perdizione e di manchevolezza che comporta la distanza da Dio. Come non poter riconoscere il proprio deserto, cioè lo stato di privazione apportata dal peccato, soprattutto quando esso rivela tutta la sua inutilità e inefficienza? Esso oltre che dannoso è anche inutile e infruttuoso e verte sempre a nostro svantaggio. Occorre riconoscerlo, concepire di esserne immersi, per potercene liberare.
Per questo Giovanni si rende "voce" di uno che grida nel deserto. Egli indica la voce di Dio che invita a predisporsi al Messia e ad accogliere la salvezza; al contempo tale voce è egli stesso, essendo il Precursore nonché preannunciatore del Cristo.
Giovanni, il cui nome significa "dono di Dio" oppure "Dio ha misericordia", vive il deserto geografico perché noi riconosciamo la nostra aridità spirituale, e si rende per questo latore di un messaggio di conversione e di cambiamento che sottende la speranza e la gioia. Egli non solamente invita a riconoscere il nostro deserto di abbandono e di precarietà spirituale, ma egli stesso vi si immedesima e lo assume fino in fondo.
Anche l'abbigliamento e l'austerissimo vitto di locuste e di cavallette si affina al messaggio di cui è portatore e la sua attività di Battezzatore di coloro che riconoscono e confessano i propri peccati è un atto che accompagna il senso delle sue parole: nel battesimo egli significa ed esteriorizza la condizione di pentimento dalle colpe.
Il Battesimo: in effetti non si tratta di un rito nuovo, quanto alla sua esteriorità, poiché riti iniziatici di aspersione o di immersione in acqua sono propri di tante culture o religioni pre cristiane. Giovanni tuttavia lo compie come segno interiore di un rinnovamento interiore: chi riceve da lui l'abluzione ha ammesso il proprio peccato e ha optato per il pentimento e il ravvedimento. Si tratta di una pratica esteriore che significa un dato interiore. Diverso sarà il battesimo istituito da Gesù, che sarà di Spirito Santo e fuoco, atto esso stesso ad eliminare il peccato e a rinnovarci a nuova vita inserendoci nella dimensione di figli di Dio, ma adesso il Battista sta eseguendo questo rito in preparazione al Cristo, invitando tutti ad un rinnovamento e ad una ricca predisposizione per la quale si rompe definitivamente con il peccato e ci si orienta alla novità del Regno di Dio.
Ma al di là del Battesimo esteriore, da parte nostra, mentre proseguiamo il nostro itinerario di Avvento in attesa del Natale, siamo esortati dal Battista a fare chiarezza sul nostro "deserto" per rinvenire in esso tutto quello che è di ostacolo al rapporto con Dio e alla piena realizzazione di noi stessi. In una parola a convertirci, cioè a convincerci di Dio.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta (04-12-2011)
Quelle buone novelle nella vita di ogni giorno
I l Vangelo di questa domenica è chiuso tra due parentesi che subito dilatano il cuore.
La prima: inizio del vangelo di Gesù.
E sembra quasi una annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma il sigillo del senso è nel termine «vangelo» che ha il significato di bella, lieta, gioiosa notizia.
Dio si propone come colui che conforta la vita e dice: «Con me vivrai solo inizi, inizi buoni!» Perché ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, uno straccetto di speranza almeno intravista. Infatti è così che inizia la stessa Bibbia: Dio guardò e vide che era cosa buona!
La bella notizia di Marco è una persona, Gesù, un Dio che fiorisce sotto il nostro sole. Ma fioriscono anche altri minimi vangeli, altre buone notizie che ogni giorno aiutano a far ripartire la vita: la bontà delle creature, le qualità di chi mi vive accanto, i sogni coltivati insieme, le memorie da non dimenticare, la bellezza seminata nel mondo che crea ogni comunione. A noi spetta conquistare sguardi di vangelo! E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via gli angoli oscuri del cuore.
Infine la parentesi finale: Viene dopo di me uno più forte di me. Giovanni non dice: verrà, un giorno. Non proclama: sta per venire, tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, adesso Dio viene. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi di lui, viene, in cammino su tutte le strade. Si fa vicino nel tempo e nello spazio. Il mondo è pieno di tracce di Dio.
C'è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni vede il cammino di Dio nella polvere delle nostre strade. E ci aiuta, ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di non vederlo: Dio che si fa vicino, che è qui, dentro le cose di tutti i giorni, alla porta della tua casa, ad ogni risveglio. La presenza del Signore non si è rarefatta in questo mondo distratto, il Regno di Dio non è stato sopraffatto da altri regni: l'economia, il mercato, l'idolo del denaro.
Io credo che il mondo è più vicino a Dio oggi di dieci o vent'anni fa. Me lo assicura la libertà che cresce da un confine all'altro della terra, i diritti umani, il movimento epocale delle donne, il rispetto e la cura per i disabili, l'amore per l'ambiente...
La buona notizia è una storia gravida di futuro buono per noi e per il mondo, gravida di luce perché Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Profumo di vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi (04-12-2011)
Liturgia della Seconda Domenica di Avvento (Anno B): 4 dicembre 2011
Liturgia della Parola della Seconda Domenica di Avvento (Anno B): 4 dicembre 2011