27 novembre 2011 - Prima Domenica di Avvento: State attenti, vegliate!

News del 26/11/2011 Torna all'elenco delle news

Iniziamo un nuovo anno liturgico nel quale la Liturgia ci invita a leggere il Vangelo secondo Marco, il più antico dei quattro Vangeli canonici, il più breve, scritto da questo autore, nel quale la tradizione della Chiesa, dal sec.II, ha riconosciuto un discepolo di Pietro, del quale ha raccolto la testimonianza.
Si tratta del "lieto annuncio di Gesù, Cristo, Figlio di Dio" rivolto ad una comunità di cristiani di origine pagana, probabilmente Roma, che vive in condizioni difficili, di persecuzione. Questo contribuisce a fare di Marco un Vangelo "essenziale", a "forte concentrazione Cristologia", nel senso che "tutto si riassume nella chiamata a seguire Gesù".
E' singolare, il Vangelo di Marco: pur dicendo spesso che Gesù insegna, non specifica mai il contenuto dell'insegnamento. Solo il cap.4 (discorso in parabole) e il cap.13 (discorso escatologico) riportano discorsi di una qualche ampiezza, per il resto Marco, in rapporto a Matteo e a Luca, si caratterizza per le sue assenze: "Un Vangelo senza discorso della montagna, senza beatitudini, senza parabole della misericordia, senza nemmeno il Padre nostro, quasi a ribadire che è la persona di Gesù quello che conta, non i suoi insegnamenti."
Marco è essenzialmente il racconto di Gesù, "teologia narrativa": vale per questo, più che per gli altri tre, l'affermazione di un celebre esegeta secondo il quale i Vangeli sono "il racconto della Passione con una lunga introduzione". Vangelo "narrativo": solo apparentemente semplice, in realtà "egli fa parlare i fatti, gli eventi, la storia.
Il testo di Marco appare sovente marcato da chiaroscuri, attraversato da tensioni narrative, da contrasti evidenti che colpiscono e scandalizzano. Sembra che la narrazione di Marco abbia messo in atto una pedagogia dello scandalo: il suo messaggio centrale, la croce chiave ermeneutica per comprendere la rivelazione del volto di Dio, è pienamente scandaloso" (Enzo Bianchi).
Iniziamo un nuovo anno liturgico con il "tempo di avvento", il tempo di Dio che viene: è il tempo dell'attesa, del desiderio, dell'abbraccio con Colui che viene, il tempo dell'Amore. Attendere Dio, desiderare Dio, lasciarsi abbracciare ed abbracciare Dio: il tempo dell'Avvento si compie nel Natale, Dio nella carne, il bambino nelle braccia della mamma.
Celebriamo l'Avvento: ma noi, cristiani, uomini di oggi, attendiamo Dio? lo desideriamo? aspettiamo di poter gustare la gioia del suo abbraccio? Noi, uomini di questo occidente che ritiene di fare a meno di Dio, sazio della propria potenza e intristito dalla perdita del senso della vita, iniziamo l'Avvento leggendo una delle pagine più belle del libro di Isaia (Is.63-64), una preghiera drammatica, che dobbiamo fare nostra, in questo tempo, per ricomprendere che Dio ci ama talmente da lasciarci liberi di allontanarci da Lui perché ci accorgessimo che senza di Lui nulla ha senso.
Fa parte dell'Amore anche l'oscurità, il senso di vuoto. Questo, dopo un attimo di smarrimento, rinnova il desiderio, fa nuovo l'Amore: l'unica cosa che conta è l'onestà, il rimanere svegli. "Perché, o Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie, e lasci indurire il nostro cuore? Ritorna, per amore dei tuoi servi.! Se tu squarciassi i cieli e discendessi!... Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a Te, perché Tu avevi nascosto il tuo volto e ci hai messo in balia della nostra iniquità. Ma Tu, o Signore, sei nostro padre: noi siamo argilla e Tu sei colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani". "Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a Te.": l'uomo moderno è autosufficiente, crede di poter realizzare se stesso con le proprie forze e vive in modo autoreferenziale, autoesaltandosi. "Perché Tu avevi nascosto il tuo volto.": l'uomo moderno, trova in se stesso la misura della sua grandezza; ha chiuso la relazione con l'Altro, perdendo la possibilità di contemplare il volto di Colui del quale è immagine. E alla fine l'uomo sperimenta quanto sia illusoria la sua grandezza, quando, nonostante tutto, sente nel profondo del proprio cuore risorgere l'implorazione: "Signore, ci hai fatti per Te: il nostro cuore è inquieto se non trova riposo in Te"; "Signore, Tu sei nostro Padre." E rinasce allora dentro di noi l'attesa di Colui che aveva nascosto il suo volto perché ne sentissimo il desiderio, l'esperienza dell'Amore di Colui che non ha mai cessato di amarci, nonostante noi ci fossimo riempiti di noi stessi.
Celebriamo l'Avvento leggendo un brano di Marco (Mc.13,33-37), la parte finale del complesso discorso escatologico. Proprio questo piccolo brano costituisce la chiave di lettura del discorso escatologico che precede, anticipandolo, il racconto della passione e risurrezione di Gesù. Gli esegeti più attenti, parlano di una doppia conclusione del Vangelo di Marco: la prima è il cap.13, il discorso escatologico, aperto sul tempo della Chiesa, che mantiene il racconto evangelico "incompiuto" e invita il lettore di ogni tempo a trasformarsi in protagonista della storia, mentre la seconda è il racconto della passione e della risurrezione (Mc.14-16) che presenta l'evento salvifico definitivo e conclusivo della storia. Su questo evento che "chiude" e "porta a compimento" la storia, il Messia crocifisso e risorto, si fonda una "apertura" nuova per la Chiesa e per il mondo: Cristo crocifisso e risorto non è il racconto finale della storia di Gesù, ma è l'evento che dà il senso alla sua storia e anticipa il senso della storia dei suoi discepoli e del mondo intero. L'esistenza cristiana non è l'attesa di qualcosa che verrà ma di ciò che è già venuto e che viene in ogni attimo: si tratta di saper applicare "la chiave ermeneutica", la croce di Cristo, per saper scorgere il volto di Dio presente nella storia.
Il messaggio di Marco è stimolante: "Aprite gli occhi, state svegli". Per quattro volte ripete l'imperativo: "state svegli". Nelle mani degli uomini il Signore ha affidato la responsabilità della storia, nella quale la forza dell'Amore di Cristo, che è già vincitore, si fa presente, ma solo se noi apriamo i nostri occhi, i nostri orecchi, il nostro cuore, la nostra intelligenza e in piena libertà, impegniamo tutte le nostre forze.
Leggere la storia alla luce di Cristo, cogliere i segni dei tempi, essere svegli, cogliere "l'evento", fare spazio alla forza incontenibile del Dio che si incarna nelle nostre esistenze umane, è il senso affascinante e drammatico della vocazione cristiana, oggi, testimonianza trascinante per tutti gli uomini. "Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!": ma noi siamo svegli? 

Omelia di mons. Gianfranco Poma 


Avvento, tempo dell'attenzione

Entriamo nel tempo del­la speranza. Avvento vuol dire letteralmen­te avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgen­te: abbreviare distanze, trac­ciare cammini d'incontro. Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; as­sunzione di una responsabi­lità enorme, da parte del­l'uomo. Come custodire i be­ni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteg­giamenti iniziali: fate atten­zione e vegliate. Tutti cono­sciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, in­contrare qualcuno ed essere con la testa da tutt'altra par­te, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non aver­lo guardato. Gesti senz'ani­ma, parole senza cuore.

Vivere con attenzione è l'al­tro nome dell'Avvento e di o­gni vita vera. Ma attenti a che cosa? Atten­ti alle persone, alle loro pa­role, ai loro silenzi, alle do­mande mute e alla ricchezza dei loro doni. Quanta ric­chezza di doni sprecata at­torno a noi, ricchezza di in­telligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere.

Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifi­co, alla sua bellezza, all'ac­qua, all'aria, alle piante.

Attenti alle piccole cose di o­gni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato.

Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l'ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare.

Vegliate perché c'è un futu­ro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non co­me piccolo seme. Vegliate perché c'è una prospettiva, una direzione, un approdo.

Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell'alba, perché la notte che preme intorno non è l'ulti­ma parola, perché il presen­te non basta a nessuno.

Vegliate su tutto ciò che na­sce, sui primi passi della pa­ce, sui germogli della luce.

Attesa, attenzione, vigilanza sono i termini tipici del vo­cabolario dell'Avvento e in­dicano che tutta la vita del­l'uomo è tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il segreto della nostra vita è oltre noi.

Allora è sempre tempo d'Av­vento, sempre tempo di ab­breviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tem­po di adottare strategie di ri­sveglio della mente e del cuore, in modo da non ar­rendersi al preteso primato del male e della notte, in mo­do da non dissipare bellez­za, e non peccare mai con­tro la speranza. 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia della I Domenica di Avvento (Anno B): 27 dicembre 2011

Liturgia della Parola della I Domenica di Avvento (Anno B): 27 dicembre 2011