18 settembre 2011- XXV Domenica del Tempo Ordinario: Forse tu sei invidioso, perché io sono buono?
News del 17/09/2011 Torna all'elenco delle news
Le pagine del Vangelo di Matteo che stiamo leggendo in queste settimane fanno parte di una sezione nella quale Gesù, dopo aver dichiarato di voler edificare la sua Chiesa su Pietro, va mostrando che cosa significhi la "Chiesa", che cosa sia chiesto a Pietro perché possa essere la pietra nelle mani del suo Signore e come siano chiamati a vivere i discepoli perché possano essere la "comunità riunita" dalla sua Parola e dal suo Amore.
Si tratta del dispiegarsi di un quadro le cui molte scene descrivono la normalità della vita umana illuminata dalla Parola di Gesù che rivela che, con la sua presenza, il regno dei cieli ha fatto irruzione nella storia: Dio è con noi, si è fatto compagno della nostra quotidianità, si è fatto uno di noi per poter amarci veramente, mostrarci che cosa significhi amare e fare dell'umanità dispersa una comunità (la "chiesa").
A Pietro chiede di "pensare secondo Dio e non secondo gli uomini": gli uomini pensano al Dio potente, che vince e che dona agli uomini potere e grandezza; per Gesù, pensare secondo Dio vuol dire discendere, farsi piccolo, farsi uomo, per condividere, per amare.
Il Vangelo, nella sua unità, ha una precisa intenzione pedagogica: vuole educarci a lasciarci guidare da Gesù per imparare, come Pietro, a pensare secondo Dio, perché possa edificare la sua Chiesa che mostri al mondo la presenza del regno dei cieli. E' meraviglioso il Vangelo, che non è un trattato di "ecclesiologia", ma la narrazione delle "meraviglie di Dio" che l'evangelista, credendo, vede scorrere sotto i suoi occhi: così anche noi vedendo Dio operante nella nostra vita, impariamo a narrare la vita felice che ci è offerta. La Liturgia omette la lettura del cap.19 di Matteo che presenta questioni importanti per la vita cristiana: dovremmo farne oggetto di studio personale facendo attenzione al rischio nel quale spesso cadiamo, di ridurre l'esperienza cristiana ad un'etica, dimenticando che si tratta invece, sempre, di rispondere a ciò che Dio fa per noi.
Il brano che leggiamo nella domenica XXV del tempo ordinario, Matt.20,1-16, ci apre ad uno sguardo nuovo sul mondo, sulla storia, sulle relazioni: lo sguardo della fede, di chi vede con gli occhi di Cristo. Certo potremmo fare una lettura deviante di questa pagina che comincia dicendo: "Il regno dei cieli è simile ad un uomo, responsabile della casa." Potremmo dire che, parlando del regno dei cieli, parla di una realtà inesistente, di una utopia: quale responsabile di una casa, di una impresa, agirebbe come questo uomo del Vangelo? Oppure potremmo pensare che parli del "paradiso" futuro a cui avranno accesso coloro che sulla terra sono stati così virtuosi da fare scelte umanamente fallimentari: è pure un rischio la lettura solo "spirituale" del Vangelo che ci conduce alla sdoppiamento della vita tra individuale e pubblico, fede e comportamento. Alla fine, potremmo farne una lettura solo consolatoria: è bello ascoltare il Vangelo, per poi ripiombare, tristi, nella realtà quotidiana!
La Liturgia ci ripropone questa pagina, provocante, perché accettiamo di lasciarci condurre da Gesù alla radice della nostra coscienza dove nascono tutte le domande. "Il regno dei cieli è simile ad un uomo": quando Gesù parla del "regno dei cieli" intende una realtà concreta, presente, già sperimentabile, intende parlare di Dio che è dentro la storia per darle il suo significato". E' simile ad un uomo, responsabile della casa, che uscì all'alba": Dio è presente, nella storia con la forza simile a quella di un uomo, responsabile della casa, che esce all'alba.
Comincia allora il Vangelo ad aprirci all'esperienza di Dio, un Dio presente nella storia con la preoccupazione e la passione di un uomo responsabile. Un Dio appassionato, che non rimane chiuso nella casa, ma "esce" alla ricerca di operai per la sua vigna: l'immagine di Dio che esce è pure espressiva, per dirci che si apre, si abbassa per amore per la sua vigna. Esce all'alba, per assumere con un contratto operai, tratta con loro, si accorda e li invia nella vigna. Esce poi di nuovo, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, alle cinque: è davvero preoccupato.
In realtà, gradualmente, l'atteggiamento dell'uomo responsabile cambia: se all'inizio la preoccupazione è solo economica, amministrativa, e il rapporto con gli operai è di fredda giustizia, gradualmente cambia. Già alle nove, il signore è attento alle persone: "Vide altri che stavano in piazza, disoccupati", e il rapporto con loro è unilaterale (forse non ne avrebbe strettamente bisogno): "Andate anche voi nella vigna e quello che è giusto lo darò a voi". Vede uomini bisognosi, poveri, potrebbe strumentalizzare la loro condizione e invece se ne assume il carico: la "giustizia" diventa gratuità che i lavoratori accettano, a loro volta con il rischio di rimanere poi delusi. La relazione non è più fondata su un contratto, ma sulla fiducia reciproca e sulla gratuità con cui il signore ha guardato alla povertà degli uomini. Questo si ripete a mezzogiorno e alla tre. Alle cinque, quando ormai la giornata è quasi finita, l'ultima uscita del signore diventa un dialogo con quegli uomini che "stavano lì", con la loro delusione, con il senso del vuoto. "Perché state qui tutto il giorno senza fare niente?" "Perché nessuno ci ha assunto": nessuno ha guardato a loro, forse sono troppo deboli, forse sono inaffidabili.sentono la loro inutilità, il loro fallimento, ma hanno incontrato qualcuno che si è fermato, li ha visti, ha parlato con loro "andate anche voi nella vigna".
Quale esperienza di Dio il Vangelo ci propone! Un Dio che entra nella storia, che scende, che impara a stare con gli uomini, che parla con loro, che supera gli schemi, che conosce la povertà, la delusione e che impara ad essere un Dio che solamente dona, che rimane fedele alla sua volontà di amore, di non abbandonare chi è solo, di chiamare chi nessuno chiama, di servirsi di chi nessuno si serve, di cambiare il mondo con chi sembra non contare niente, di salvare il mondo con chi il mondo mette in croce. Ma come: "noi abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo, e tu tratti chi ha lavorato solo un'ora, come noi!" L'esperienza di Dio che il Vangelo ci propone è l'esperienza di un Dio che dice: "Io sono buono", e che in Gesù ci ha mostrato che cosa significhi questa "follia di Dio" che continua a chiamare "amico" chi fa della bontà il motivo per diventare invidioso.
"Il regno dei cieli è simile a un uomo.": non si tratta di una utopia, ma della più concreta esperienza di Dio. E' così simile a ciò che accade ai nostri giorni, quello di cui parla la pagina del Vangelo. Gesù continua ad edificare la sua Chiesa su chi non ha rivendicazioni da fare, su chi non ha paura della propria fragilità, su chi si lascia guardare, cercare, interpellare da lui, su chi si lascia trovare da lui all'ultima ora perché davanti al mondo non conta niente, su chi ha gli occhi del bambino che sa vedere che Lui è buono e ha il coraggio di fare di questo la Legge nuova, la logica nuova su cui nasce un mondo più umano.
Testo di mons. Gianfranco Poma
Inizi ed incanti
Settembre è mese di inizi. Della scuola anzitutto: dai piccolini accompagnati da genitori emozionati per il primo giorno di scuola, ai grandi che si preparano all'università. Da quelli che entrano nel mondo delle superiori a quelli che di qui a giugno sentiranno parlar di continuo di maturità...
Iniziano anche i primi fermenti per le attività pastorali: ecco gli incontri dei vari gruppi, dalla cantoria alle catechiste, dal consiglio pastorale al gruppo sportivo? le riunioni si moltiplicano.
Evviva gli inizi!
In questo avvio ecco una pagina di vangelo che sconvolge un poco i piani. Destabilizza e disorienta, siamo sinceri. Ogni volta che leggo questo brano mi chiedo dove sia il centro, mi domando quale sia la chiave di lettura che mi fa entrare nel mistero di Dio.
M'incanto di fronte a questo Dio che sorprende i miei inizi, sradica le mie comode certezze, invita a mettermi in gioco con la sbocca spalancata.
Evviva gli inizi che custodiscono l'incanto: abbiamo bisogno di meraviglia e d'incanto ascoltando la Parola e vivendo la Messa. Abbasso chi vuole ipnotizzarci il cervello, alla larga ciarlatani e truffatori di ogni categoria.
In ascolto di un Dio che sorprende viviamo la gioia della Parola viva.
Dunque rimango incantato anzitutto da questo padrone che ad ogni ora esce a chiamare gente che lavori alla sua vigna. Per cinque volte, dal mattino presto fino all'ora che precede il tramonto eccolo in cerca di operai.
Dio è appassionato della sua vigna, di questa terra che è il nostro mondo.
Settembre? è anche l'inizio della vendemmia! In questi albori pastorali il Signore esce ad ogni ora per cercare lavoratori per la sua vigna, sognando il vino nuovo.
Ad ogni ora tu vieni a me, Signore. Ed io mi lascio guidare dalle parole del salmo: Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino.
Coraggio! Rispondiamo alla chiamata!
Ciò che accade è ovviamente molto strano per il mondo lavorativo. Il vangelo non è interessato a parlarci di giustizia salariale e simili. A questo dovremo pensarci noi: sì, noi cristiani come possiamo vivere questi tempi di radicale crisi economica e sociale? Possiamo accontentarci di mettere la testa nella sabbia?
No di certo, insieme cerchiamo le vie per iniziare e continuare sempre la costruzione di un mondo diverso, facendoci sentire, non restando in silenzio di fronte alle ingiustizie, promuovendo iniziative di aiuto a chi sta perdendo il lavoro.
Qui il vangelo ci parla di Dio, e della sua amicizia con l'uomo, vietato fraintendere.
Oggi si fa un gran parlare di meritocrazia: non c'è ambiente in cui non venga fuori questa parola magica. Fermo restando che ci si riempie la bocca di parole alla moda, siamo tutti d'accordo che il merito, le competenze, le abilità effetive di ognuno siano valorizzate! Siamo tutti d'accordo che ognuno deve guadagnarsi la pagnotta... poi andiamo spesso a scoprire che trasversalmente e in ogni ambiente sono altre le parole che governano la vita: potere, denaro, mazzette, piaceri di qua e scambi di là? e vivaddio tantissima gente onesta!!
Perché citare la meritocrazia?
Perché qui Gesù sembra andare contro questa regola: uno guadagna in base a quel che si merita. Quel che è giusto è giusto! E chi non potrebbe sottoscrivere?
Intanto c'è da dire che un denaro al giorno era la paga abituale per un bracciante. Lo stipendio mensile corrispondeva all'incirca a trenta denari? cifra per la quale Gesù sarà tradito!
Dunque c'è un padrone che non ci sta che ogni uomo non abbia il minimo per tornarsene a casa con una paga che permetta di sopravvivere con la propria famiglia.
Forse già a questo livello potremmo trarre delle conseguenze: non possiamo non batterci perché ognuno abbia di che vivere.
Il guaio è che non lo facciamo.
? meditiamo?
La chiave di lettura principale però mi pare ancora un'altra. Il centro direi che è ancora la relazione con Dio e l'idea che di lui abbiamo. Intendo dire noi oggi, cristiani della prima o dell'ultima ora.
Quel che è giusto è giusto, quel che uno si merita bene, altrimenti è una presa per i fondelli. Quando ascoltiamo che il padrone paga lo stesso i primi e gli ultimi ci prende il nervoso.
Ma come? Quelli hanno faticato tutto il giorno, si sono fatti un mazzo tanto? e sono ripagati in quel modo?! Ma pensa te che bella fregatura si beccano! (io lo dicevo che di quel padrone non ci si poteva fidare!).
Qui mi sembra che sia la chiave: i meriti con Dio sono una parola fuori luogo...
Scusate, ma si può può meritare l'amore? Si può conquistare a suon di ore lavorative la benevolenza di Dio?
Davanti a Lui non si acquisiscono meriti. Non meritiamo un premio? che non sia sempre il tutto: l'amore incondizionato di Dio. La bontà di Dio è smisurata, eccedente. Dio è sempre avanti nella bontà. È inutile, è un passo avanti a tutti, sempre. Per questo incanta!
Quegli operai, e noi!, non si lamentano perché a loro non è stato tolto qualcosa, ma perché ad altri è stato dato come a loro. Brutta bestia l'invidia, anche nelle nostre comunità parrocchiali.
Dio ama gratuitamente, non c'è merito, ricompensa o rendimento che conti.
Dio nella vita ama, altro non fa.
Io penso di conquistare qualcosa, di meritare questa gratuità in base alla mia fatica e al sudore che spreco!?!
Uff? che brutta idea di regno di Dio! Disgraziata concezione del nostro vivere la chiesa! Siamo sempre gli stessi a lavorare e sudare dalla mattina alla sera... amiamo dire. Ma per piacere!
E la gioia? E la perla preziosa? E il tesoro nascosto? E l'incanto? E la meraviglia degli inizi? Tutto scomparso?
Coraggio amici! Non ci facciamo seppellire da uno stile di vita credente che comprenda la sequela di Cristo solo come fatica e sudore! Abbandoniamo la tristezza, rituffiamoci nella gioia della sequela.
Noi che ci portiamo dentro il DNA di Dio con l'impronta di Cristo, sapremo camminare sulla via della gratuità e dell'amore incondizionato?
Sapremo vivere questi inizi di pastorale come l'occasione per ritornare ad amare? Ad incantarci di Cristo e di un nuovo volto di comunità?
Trepidanti ma entusiasti sussurriamo con san Paolo: per me vivere è Cristo.
Evviva gli inizi che sudano gioia ed incanto!
Testo di don Carlo Occelli
Una bontà che va oltre la giustizia
Finalmente un Dio che non è un 'padroné, nemmeno il migliore dei padroni. È altra cosa: è il Dio della bontà senza perché, che crea una vertigine nei normali pensieri, che trasgredisce le regole del mercato, che sa ancora saziarci di sorprese.
Intanto è il signore di una vigna: fra tutti i campi la vigna è quello dove il contadino investe più passione e più attese, con sudore e poesia, con pazienza e intelligenza. È il lavoro che più gli sta a cuore: per cinque volte infatti, da uno scuro all' altro, esce a cercare lavoratori.
E' questa terra la passione di Dio, e coinvolge me nella sua custodia; è questa mia vita che gli sta a cuore, vigna da cui attende il frutto più gioioso. Eppure mi sento solidale con gli operai della prima ora che contestano: non è giusto dare la medesima paga a chi fatica molto e a chi lavora soltanto un?ora. È vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l'amore è giusto, è un'altra cosa, è di più.
Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l'uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell'uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita d'altri oltre alla mia.
Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o che sottrae, ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro. Non fermarti a cercare il perché dell'uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l'accrescimento, l'incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori.
Nel cuore di Dio cerco un perché. E capisco che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meriti, ma conto sulla sua bontà. Dio non si merita, si accoglie.
Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace, perché sono l'ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi. Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi capace di gustare il bene.
Testo di padre Ermes Ronchi
Liturgia della XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 18 settembre 2011
Liturgia della XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 18 settembre 2011