4 settembre 2011 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario: Il 'noi', principio di vita, l'amore e la correzione fraterna

News del 03/09/2011 Torna all'elenco delle news

Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro

La Liturgia della domenica XXIII del tempo ordinario ci propone la lettura di Matt. 18,15-20, un brano del "discorso sulla vita della Chiesa".
Purtroppo la lettura liturgica continuata del Vangelo di Matteo omette tutto il cap.17 che è molto importante nel cammino che Gesù sta compiendo con i suoi discepoli, con Pietro in particolare e con noi, oggi: la Trasfigurazione è l'esperienza vissuta da Gesù nella quale introduce i discepoli nel cuore del suo mistero, che è il centro della rivelazione cristiana: l'umanità di Gesù risplende della gloria di Dio, nella fragilità della carne è presente l'infinito della divinità. E' Gesù che invita ancora Pietro in particolare, ad entrare nella fede che ha professato: Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, ma occorre che entri veramente in ciò che "il Padre gli ha rivelato", non riporti tutto alla razionalità umana, bisogna che impari a vedere Dio nella carne di Gesù, Dio che si inabissa nella debolezza umana per fare dell'umanità il luogo della divinità. Per questo Matt.17,23 ripropone l'annuncio della passione e in questa logica nei vv.24-27, in un brano che è per noi di grandissima attualità, Gesù pagando con Pietro il tributo al tempio, indica alla Chiesa la via per essere immersa nel mondo, per vivere l'esperienza di Dio restando dentro la storia.
Matt.18 contiene il quarto dei grandi discorsi di Gesù che hanno come unico argomento il "Regno dei cieli", nucleo centrale del suo messaggio. Dopo aver insistito sulla formazione dei discepoli e di Pietro in particolare, Gesù, indica quali debbano essere i rapporti tra i discepoli nella comunità ("la Chiesa"), forma di vita che logicamente assume la relazione fraterna sperimentata da loro.
Molto opportunamente la Liturgia di questa domenica ci fa leggere come seconda lettura, il brano della lettera ai Romani 13, 8-10: "Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole: chi ama l'altro, i ha dato compimento alla Legge. Infatti.ogni comandamento si ricapitola in questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. L'amore non fa male al prossimo: pienezza della Legge è l'amore". In questa ottica che comprendere il cap.18 di Matteo: l'esistenza cristiana si riassume nell'amore. Anche Giovanni rivela: Dio è Amore perché Gesù ci ha mostrato che cosa è l'Amore con il quale il Padre ama il Figlio e attraverso il Figlio ama l'umanità. la Croce è la rivelazione piena dell'amore di cui Cristo risorto vive vivificando l'umanità della vita nuova di Dio. E ancora S.Paolo, nella 2 Cor.5,14 ci ricorda: "L'amore di Cristo ci possiede.poiché egli è morto per tutti perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risorto per loro.Se uno è in Cristo è una nuova creatura, le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove".
Quando Matteo parla della comunità ("la chiesa") come "forma" della vita cristiana, ci invita precisamente ad entrare in questa esperienza: in Cristo c'è una creazione nuova, le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove. La comunità, manifestazione concreta della comunione che Cristo risorto genera, è la "cosa nuova" che prende vita in noi e che abbiamo sotto i nostri occhi.
La comunità di cui parla Matteo, non è frutto degli sforzi umani, ma è generata dall'amore per cui Cristo è morto: è un dono che viene dal cuore del Padre che donando il proprio Figlio realizza il suo progetto, di fare della creazione una unità nell'Amore. Per questo la comunità è anzitutto un fatto di fede: credere la "comunità" (la Chiesa) significa credere l'amore che Dio ha per noi, per fare di noi dei figli suoi e quindi fratelli tra noi. Costruire la comunità, di conseguenza, non è principalmente un impegno etico, ma è una risposta di fede a ciò che Cristo opera in noi, è una risposta d'amore all'amore che lui ha per noi: Cristo cambia le nostre relazioni con Dio e con gli altri; Dio diventa il nostro Padre e gli altri nostri fratelli. Solo Cristo crea in noi l'atteggiamento autentico per entrare in un rapporto vero con gli altri, aprendoci così la via per una relazione nuova con Dio: amare Dio significa accettare in ogni momento di essere già amati da Lui e di riproporre nella nostra vita la stessa proposta di gratuità di amore, di amicizia verso gli altri. La gratuità la cui fonte è Dio, genera sempre nuova gratuità: e nasce così un tessuto nuovo di relazioni interpersonali che ci avvicina al "regno dei cieli" nel quale non c'è desiderio di possesso, violenza, prepotenza, aggressione.
Per ben due volte nel nostro brano Gesù usa l'espressione: "In verità vi dico." che significa che egli sta rivelando qualcosa del mistero di Dio. Introdurre sulla terra un'atmosfera di vita senza ipocrisia, libera, sciolta, essere concordi di fronte a Dio, è il segno che Cristo risorto è con noi e fa di noi la sua comunità.
Matteo, quando scrive, ha di fronte la sua comunità, per lei attualizza le parole di Gesù, ad essa propone la esperienza meravigliosa della fede, diventare cioè il luogo che sulla terra rende visibile il mistero dell'Amore che è Dio. Ma la bellezza del Vangelo è il suo realismo: il Vangelo non fa "teoria", mostra la verità della presenza di Dio nell'uomo, nella sua fragilità, nel suo peccato. La comunità è il luogo nel quale impariamo a vivere l'amore di Dio che scende nella nostra fragilità. Accogliere vicendevolmente la fragilità, non nasconderla mettendo maschere, accogliere i "piccoli", accettare di essere noi "piccoli", fare della accoglienza vera, vicendevole, il normale metodo della vita della comunità, è la via normale per non impedire all'amore di Dio di mostrare tutta la sua forza.
Matteo ha di fronte a sé una comunità che comincia a darsi una struttura: le relazioni diventano "sociali", "economiche", "gerarchiche". La preoccupazione di Matteo è di mostrare che le strutture se da una parte sono necessarie, dall'altra non possono esaurire l'amore: le regole della convivenza non possono sostituirsi alla "libertà" dell'amore.
Come comportarsi in una comunità di persone reali che credono l'Amore e che rimangono persone fragili, peccatrici? Matteo indica le regole di comportamento: tra persone che si amano, non ci si nasconde, non ci si evita, non c'è una relazione falsificata. "Se il tuo fratello pecca, parla tra te e lui.": è una trafila di comportamenti fatti di verità. Ma alla fine: "se non ascolterà, sia per te come il pagano e il pubblicano" che non vuol dire "escludilo, allontanalo, scomunicalo.", anzi.Gesù è sempre in cerca del pagano e del pubblicano: Gesù scandalizza gli scribi e i farisei perché accoglie i peccatori e mangia con loro. La meraviglia della comunità cristiana è di essere il luogo dell'infinita, incontenibile forza dell'amore gratuito di Dio: ha bisogno dell'etica, ma non si rinchiude nei suoi confini, ha bisogno di regole ma non dimentica che l'amore è il compimento della legge, ha bisogno di "autorità", ma a condizione che non si faccia servire ma che serva, che come Cristo doni la vita perché la comunità viva. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 

 

Il 'noi', principio di vita

Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, tu va'... Queste parole tracciano le regole di base per la convivenza fraterna. La prima: se qualcuno ti ferisce, tu non chiudere la comunicazione, non lasciare che l'offesa occupi tutta la scena, non metterti in atteggiamento di vittima o di sudditanza di fronte al male - questo lo renderebbe più forte -, ma fa tu il primo passo, riapri tu il dialogo. È il primo modo per de-creare il male, per esserne liberati.
Se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello.
Una espressione inusuale e commovente: «guadagnare» un uomo, «acquistare» un fratello, arricchirsi di persone. Il vero guadagno della mia vita corrisponde alle relazioni buone che ho costruito. Ogni persona vale quanto valgono i suoi amori e le sue amicizie. Una comunità si misura dalla qualità dei rapporti umani che si sono instaurati.
Dio è un vento di comunione che ci sospinge gli uni verso gli altri. Senza l'altro l'uomo non è uomo. Il Vangelo ci chiama a pensare sempre in termini di «noi».
Tutto quello che legherete sulla terra... Il potere di sciogliere e legare non ha nulla di giuridico, consiste nel mandato fondamentale di tessere nel mondo strutture di riconciliazione: ciò che avrete riunito attorno a voi, le persone, gli affetti, le speranze, lo ritroverete unito nel cielo; e ciò che avrete liberato attorno a voi, di energie, di vita, di audacia e sorrisi, non sarà più dimenticato, è storia santa.
Ciò che scioglierete avrà libertà per sempre, ciò che legherete avrà comunione per sempre. Nel Vangelo di oggi un crescendo di comunità. Fino alla affermazione ultima: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.
Non semplicemente nell'io, non semplicemente nel tu, il Signore sta tra l'io e il tu, nel legame. In principio ad ogni vita, il legame, come nella stessa Trinità.
La costruzione del mondo nuovo inizia dai mattoni elementari io-tu, dalle relazioni quotidiane. Ma c'è un terzo tra i due, un terzo tra me e te, il cui nome è Amore: collante delle vite, forza di coesione degli atomi (Turoldo), unità dei mondi.
È tra noi, ad una condizione: che siamo riuniti nel suo nome. Non per interesse, non per superficialità, non per caso, ma nel suo nome: amando ciò che lui amava, preferendo coloro che lui preferiva, sognando il suo sogno di un mondo fatto di fratelli, dove il giusto e il peccatore, il violento e l'inerme si tengono per mano; dove Abele diventa capace della più grande follia, la divina follia di prendersi cura di Caino ( se tuo fratello ti ha fatto del male, tu và... ), per essere liberi dal male come l'unico libero. Come potremmo non essere liberi se fra noi è la Libertà stessa? 

Testo di padre Ermes Ronchi 


Il dialogo nell'Amore

In questo vangelo Gesù c'invita ad imparare ad avere tra di noi un dialogo costruttivo attraverso la trasparenza. Questo si fa sopratutto manifestando all'altro il male che mi fa', non con il pianto o con atteggiamenti ostili, tipo il mutismo, ma con il dialogo, manifestando ciò che vivo, prima che il male subìto rovini la relazione. Questo discorso, apparentemente così scontato, di fatto è difficile da mettere in pratica perché quando l'altro mi fa del male tendo a non fidarmi di lui e nasce la paura che aprendomi nella semplicità e nella trasparenza possa farmi ancora più male! Per cui abbiamo tendenza ad usare altre tecniche che sono fondamentalmente di difesa o di attacco, come la gazzella braccata dal leone che corre finché può ma che, se si sente incastrata, si rigira ed è capace di ferire a morte il leone. Sono reazioni istintive.
Penso che a noi tutti sia capitato di notare che qualcuno ci evita oppure che di colpo si avventano contro di noi con una violenza inaspettata, segno che gli abbiamo fatto del male senza rendercene conto.
Il dialogo è ciò che permette all'altro di scoprire che ci sta facendo del male. E' sbagliato presumere che lo sa già. Inoltre mi dà la possibilità di scoprire le motivazioni dell'altro, scoprendo magari che si comporta cosi perché anche lui è stato ferito proprio da me, senza che io me ne rendessi conto, oppure ha altre motivazioni alle quali io non avevo pensato.
Fatto sta che molto malessere nasce e cresce proprio per la nostra incapacità a dialogare e a confrontarsi. Imparare a dialogare è un dono grande, che Gesù desidera farci, Lui che è maestro di comunicazione.
Qual è la chiave per cominciare? L'amore, la capacità di perdonare prima ancora di cominciare il dialogo, che evita che l'altro si metta sulla difensiva e che mi viene dall'essere cosciente di essere io per primo bisognoso di essere perdonato da Dio e dai fratelli; mentre il sentirsi giusti acceca e paralizza le relazioni.
Inoltre Gesù ci dice che tutto ciò che leghiamo sulla terra rimane legato anche in cielo, rendendo il nostro futuro un inferno, perché costretti a vivere in eterno con persone che non abbiamo perdonato; mentre ciò che sciogliamo con il perdono e la comprensione, rende il futuro bello.
Gesù ci dice che quando chiediamo qualche cosa insieme nel suo nome, il Padre ascolta perché Gesù è in mezzo a noi; e allora che cosa dobbiamo chiedere nel suo nome? D'imparare a stare insieme bene ora e per la vita eterna. 

Testo di padre Paul Devreux

 

Dove sono due o tre...

In un contesto come il nostro in cui l'individualismo la fa da padrone, la liturgia della Parola di questa domenica crea non poche difficoltà e suona ai nostri orecchi come eccessiva. Le parole di Gesù, poi, non solo ci invitano alla comune responsabilità, ma vanno ben oltre. Se, infatti, desideriamo fare esperienza della sua presenza - afferma Gesù - è necessario condividere almeno con qualcuno il nostro cammino di fede. La persona di Gesù si rende presente, stando alle sua parole, tutte le volte che condividiamo l'ascolto della sua parola e l'esperienza di fede che da questo ascolto scaturisce, con una o più persone. Questo significa che il cammino cristiano di fede è un'esperienza, al tempo stesso, personale e di gruppo. Non si dà cammino di fede se manca un cammino di gruppo, con tutto quello che ciò comporta.
Dobbiamo tutti confessare che più volte abbiamo pensato che il nostro rapporto con Gesù, quale unico mediatore del nostro incontro con Dio, potesse bypassare la relazione con gli altri e svolgersi in un rapporto individuale. Condividere l'ascolto della Parola e l'esperienza di fede che dall'ascolto scaturisce non è cosa semplice, anzi talvolta si rivela un cammino che ben presto fa emergere paure, gelosie e rivalità. Non è un caso che molti, causa la difficile relazione con gli altri, rinunciano ad un percorso di fede e ripiegano per una relazione personale cadendo nell'errore di una religione fai da te. A tal proposito le parole di Benedetto XVI all'ultimo incontro mondiale con i giovani risultano molto efficaci: «Cari giovani, permettetemi che, come Successore di Pietro, vi inviti a rafforzare questa fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli, a porre Cristo, il Figlio di Dio, al centro della vostra vita. Però permettetemi anche che vi ricordi che seguire Gesù nella fede è camminare con Lui nella comunione della Chiesa. Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare "per conto suo" o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un'immagine falsa di Lui».
Risultano molto più chiare ora le parole di Gesù circa la necessità della correzione fraterna all'interno della comunità. Il fratello o la sorella che con noi condividono un cammino di fede sono un dono prezioso che non possiamo perdere senza cercare di fare del nostro meglio per evitare che smarrisca la strada. È la consapevolezza, infatti, della preziosità di ciascun fratello e sorella che ci fa sentire responsabili anche del suo cammino. L'esperienza ci dice che è molto difficile praticare la correzione fraterna perché chi la esercita spesso non si domanda prima se nel suo cuore c'è la consapevolezza che il fratello o la sorella da correggere sono da lui ritenuti un tesoro prezioso. Resta comunque vero che noi non diventeremo mai migliori senza gli altri.
Buona domenica e buona settimana! 

Testo di don Luca Orlando Russo
 

Liturgia della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 4 settembre 2011

Liturgia della Parola della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 4 settembre 2011