5 giugno 2011- Solennità dell'Ascensione del Signore: Perchè guardare il cielo?
News del 04/06/2011 Torna all'elenco delle news
Celebriamo oggi la solennità dell'Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo al cielo. E' la festa della speranza cristiana, è la festa della vera e definitiva meta di ogni credente, quel cielo ove Gesù si innalza per propria potenza, quel cielo che fissano i discepoli nel momento in cui Gesù Cristo lascia definitivamente la terra, nell'attesa del suo secondo e definitivo ritorno per giudicare i vivi e i morti.
Oggi di fronte al mistero dell'Ascensione di Cristo c'è bisogno di interrogarsi sul perché guardare il cielo se ancora il cielo indica qualcosa per noi uomini e credenti del terzo millennio dell'era cristiana. Quel cielo che indica l'eternità di Dio e la nostra definitiva patria.
Cogliere il vero significato che il cielo ha per noi viventi è dare senso alla nostra vita nel tempo.
Guardare il cielo perché in esso scorgiamo la gioia di vivere, la vera serenità e l'aspettativa più vera per ciascuno di noi e per l'intera umanità, salvata da Cristo, asceso al cielo.
Gli Atti degli Apostoli ci descrivono il momento esatto in cui Gesù ascende al cielo e parimenti ne spiega anche le ragioni storiche e teologiche.
Dal racconto comprendiamo esattamente anche ciò che ci spetta fare mentre continuiamo a vivere nel tempo. Bisogna continuare l'opera di Cristo nel mondo nell'attesa della sua venuta. Un'opera che comprende esattamente quello che Gesù dice agli apostoli di fare mentre se ne torna alla destra di Dio Padre. Questo comando Gesù lo esplicita con chiarezza, nei contenuti, nei metodi e nelle finalità nel brano del Vangelo di Matteo che oggi ascoltiamo.
Andare in tutto il mondo e predicare il regno di Dio, la salvezza operata di Cristo. Compito fondamentale è quello dell'evangelizzazione e del battesimo, quale fondamentale scelta di fede e di adesione a Cristo. Non si tratta di fare proseliti di un regno che non ha senso, ma di comprendere il mistero della salvezza del genere umano, cioè un Dio che ha inviato il suo Figlio Unigenito nel mondo perché tutti avessero la pienezza della vita.
Insegnamento e adesione volontaria e responsabile al Vangelo sono i passi preliminari di quanti vogliono seguire Cristo e immettersi nell'esperienza di quella famiglia di Dio che è la Chiesa. Da questa adesione scaturisce l'impegno e la fedeltà, che consiste nell'osservare tutto ciò che il Signore ha comandato di fare per il nostro ed altrui bene. Ma consiste pure nel vivere in un atteggiamento di fede-speranza i cui connotati essenziali sono espressi nel brano della seconda lettura odierna tratta dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.
La sintesi della persona e della missione di Cristo che l'Apostolo Paolo ci offre in questo testo ci aiuta a capire quale scelta fare per essere davvero dalla parte giusta. Quale grande apostolo delle Genti, dopo la sua conversione fece di Cristo davvero il centro della sua e l'unico fine della sua esistenza terrena. Abbiamo anche noi di fare questa forte esperienza di Cristo nella fede, nella speranza e nella carità, le tre virtù teologali che trovano la ragion d'essere proprio in Cristo, perché Dio Padre tutto ha sottomesso a Cristo e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose.
La nostra lode e ringraziamento al Signore della vita e della gioia, a quel Cristo che è andato a preparare un posto per tutti nel suo regno di gloria e di gioia per sempre. Possiamo allora pregare con le parole della liturgia odierna: "Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria. Amen".
Testo di padre Antonio Rungi (Perché guardare il cielo?)
Cristo, pienezza e futuro di ogni cosa
«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» È inutile inseguire quel volto, impossibile toccare quel corpo. È finito il tempo degli incontri e dei nomi, quando egli diceva: «Pietro!», «Maria!», «Tommaso!» e sulle sue labbra i nomi parevano bruciare; finito il tempo del pane e del pesce condivisi attorno allo stesso fuoco sulla riva del lago.
L'ascensione è la festa della sua presenza altrimenti: della sua presenza in tutte le cose, in tutti gli uomini, in tutti i giorni. Gesù non è andato lontano: è andato avanti e nel profondo. E chiama a pienezza gli uomini, il tempo e le cose. Dice Paolo: «Cristo è il perfetto compimento di tutte le cose». Cristo è la pienezza e il futuro di ogni cosa che esiste. Il mio cristianesimo è la certezza forte e inebriante che in tutte le cose Cristo è presente, forza di ascensione dell'intero creato, energia che alimenta la nostra esistenza e la storia umana.
Un aggettivo prorompe da Matteo e da Paolo: «tutto»: Andate in tutto il mondo, a tutte le genti annunciate tutto ciò che vi ho detto, ogni potere è mio, io sarò con voi tutti i giorni, tutto è sotto i suoi piedi. «Dal giorno dell'ascensione abbiamo Dio in agguato all'angolo di ogni strada» (F. Mauriac).
C'è un sapore di totalità, un sapore di infinito, una pretesa di assoluto, un superamento dei limiti di luogo, di materia, di tempo. Si apre la dimensione del Cristo cosmico, non assenza ma più ardente presenza, sparpagliato per tutta l'umanità, seminato in tutte le cose, fino a che alla fine dei giorni sarà «tutto in tutti» (Col 3, 11). Non solo in me, in te o perfino nel cuore distratto e in quello che si crede spento, ma Cristo è presente in tutte le cose: nel rigore della pietra, nel canto segreto delle costellazioni, nella forza di coesione degli atomi, per un nuovo cielo, per una nuova terra. Tutti i giorni e tutte le cose sono ora messaggeri di Dio; tutti i giorni e tutte le cose sono angeli e Vangeli. «E il divino traspare dal fondo di ogni essere» ( Theilard de Chardin).
«Voi sarete miei testimoni», testimoni che dicono: noi dipendiamo da una fonte che non viene meno; nella nostra vita è in gioco una forza più grande di noi e che non si esaurisce mai. Il nostro compito è accogliere questo flusso di vita che ci è consegnato. Accogliere e restituire – alle vene del mondo, alle relazioni, al cuore limpido – tutto ciò che alimenta la vita e che ha la sua sorgente oltre noi.
Testo di padre Ermes Ronchi
In una manciata di 40 giorni - ben piccola cosa di fronte alla storia che conosce i tempi lunghi - si è come ripetuta la bellezza e la sofferenza della creazione, ma questa volta con un nome, che suona eternità: Resurrezione. E c'è voluta la Presenza e l'Opera di Dio, per compiere un miracolo del genere, che esce dalle leggi della natura, il Miracolo dei miracoli, impensabile all'uomo. Quest'uomo che, per un tragico 'no' all'amore, nel momento della sua creazione, si era condannato irrimediabilmente alla morte. In possesso della vita, aveva perso il senso stesso del dono ricevuto, rifiutando l'amore del Padre da cui era stato creato e per Cui solo poteva trovare la ragione del suo esistere. Un uomo, ripeto, che senza Dio sarebbe stato destinato a brancolare eternamente nel buio del 'non senso', guardando verso l'alto, ma senza ricevere risposta.
Ma ora, con Gesù, il Cielo si era riaperto, pronto ad accogliere l'uomo: un Cielo che possiede la fedeltà dell' Amore di Dio che, creandoci, aspetta da noi solo amore, vero senso e stupore della vita.
Un Cielo che si fa mèta e strada sicura per chi vuole indirizzare i suoi passi verso la vera Vita e non camminare a testa bassa, verso il nulla. Il Cielo che ci ha aperto Gesù, salendovi, al termine di una storia, chiusa in una manciata di giorni!
I giorni dell'obbedienza al disegno del Padre, per riconciliare a Sé tutta l'umanità, nella umiliazione e sofferenza della passione e del sacrificio con la morte in croce.
I giorni della Resurrezione, con l'incredibile stupore degli Apostoli nel vedere vinta la morte, nel constatare che, di fronte all'amore che si immola, chi ha la peggio è sempre la cattiveria, il peccato. 'L'Amore è più forte', ripete da sempre la Chiesa, come a stamparlo nella mente e nel cuore, fino a diventare l'unica esperienza che conosciamo e viviamo, il centro stupendo della vita.
ed è in Gesù risorto che diciamo anche noi, assediati a volte da violenze ed assurdità: 'L'Amore è più forte'.
Oggi la Chiesa fa festa per il trionfo dell'Amore in Gesù che, dopo 40 giorni dalla Sua Resurrezione, rassicurando i suoi della Sua continua Presenza, torna al Padre: ascende in Cielo, dove sappiamo che ha la Sua sede, ma restando sempre con noi ogni istante, fino a farsi compagno nel cammino per risorgere anche noi e con Lui, un giorno, salire al Cielo.
Il segreto della vita è tutto qui: una vita dataci come dono, perché possa realizzarsi in pienezza nel ritorno a Casa, in Cielo.
E verrà quel giorno, in cui, dopo il tempo che il Padre ha concesso a ciascuno di noi, torneremo da Lui, per l'eternità, se avremo fatto della vita un cammino di ricerca della verità e di amore.
Ora i discepoli sanno che Gesù non è più soggetto alla miseria e fragilità della nostra natura umana: continua ad essere tra noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della Sua potenza, pronto a farci partecipi di tale 'potenza' (e lo dimostra la vita di tutti i Santi, a volte in modo sbalorditivo).
Ma ancora di più, gli Apostoli ora sanno che anche per loro il Cielo è aperto e Gesù li ha solo preceduti. L'importante sarà tenere fisso lo sguardo - e non è facile per noi, distratti dal 'mondo', che proprio nulla ha a che fare con il Cielo - verso l'Alto, per 'interpretare' tutto attraverso quella Luce, che dall'Alto discende, vivendo, quindi, in qualche modo, già da ora come 'cittadini del Cielo'.
Dovremmo seguire l'invito, pregando perché si realizzi, dell'apostolo Paolo:
"Possa davvero Dio illuminare gli occhi della nostra mente, per farci comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la Sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti ..”. (Ef. 1, 17-23)
Il difficile, adesso, (ma è la somma sapienza cristiana, dono dello Spirito Santo) è vivere, dunque, con lo sguardo fisso alla mèta, il Cielo: non è avere 'la testa fra le nuvole', ma vivere con i piedi ben piantati sulle realtà terrene, che sono la nostra vita quotidiana, nella Luce della Volontà d'amore del Padre.
Nessuno può nascondersi i rischi e le paure che ci prendono tutti, percorrendo i giorni della nostra vita terrena: soprattutto le velenose insidie, che ci vengono dalla nostra superbia e da tutti gli altri vizi che ci si appiccicano addosso come velenose sanguisughe.
È necessario, carissimi, corazzarci di una continua e salda fede, per non perdere mai di vista la mèta che ci attende, il Cielo. Abbiamo fiducia!
Dio non ci lascia mai soli, nessuno .... siamo noi, purtroppo, che Lo dimentichiamo!
Dovremmo abituarci a vivere quotidianamente nella consapevolezza di essere alla Sua Presenza, con la fede dei santi, veri interpreti della vita eterna, già quaggiù, con Dio.
"Sarebbe troppo lungo - afferma Paolo VI, il prezioso compagno nelle nostre riflessioni - indagare: comprendiamo che le cose di questo mondo cambiano assai di valore. Sentiremo in un primo momento, quasi uno strappo da quella madre terra da cui nasce la nostra vita naturale, a cui dobbiamo riconsegnare tutto all'ultimo giorno; ci sembrava che essa potesse soddisfare i nostri desideri e darci quell' ora di felicità che bastava alle nostre modeste pretese di esseri mortali, invece la speranza cristiana ci distacca e ci sospinge senza riposo al di là del tempo, dopo la morte, fuori dei nostri consueti modi di percepire e di pensare. 'L'universo - dice lo scrittore Zendel - non è chiuso. Tutte le linee si prolungano all'infinito e orientano lo sguardo verso il polo invisibile donde ogni cosa è misteriosamente attratta. Il mondo è aperto in un 'immensa aspirazione verso la pienezza alla quale è sospeso tutto il suo avvenire'. Là sentiranno questa consolazione quelli a cui la terra non ha dato la felicità, e siamo tutti noi. Quelli specialmente i cui desideri furono ingiustamente delusi.
La speranza cristiana è il grande conforto per il dolore del mondo: guai a quelli che la spengono nel cuore del popolo che lavora, che soffre.
La speranza cristiana è la grande certezza per coloro che combattono per un giusto ideale.
L'inno della speranza dovrebbe echeggiare verso il Cristo che scompare ascendendo al Cielo, e dovrebbe tornare come forza ai rimasti in terra, per seguire i Suoi esempi e aspettarne il ritorno". Siamo noi i 'rimasti a terra', che ogni giorno dovremmo 'tessere' la preziosa speranza!
Non riesco a capire come possano essere davvero felici e guardare con speranza il futuro che ci attende, quanti tra di noi hanno occhi e cuore rivolti solo su questo mondo, che sa donare pochi sorrisi e tante lacrime.
Se ci interrogassimo seriamente - e questa Solennità dovrebbe aiutare - non potremmo non renderci conto che questa terra non è che un provvisorio asilo, non le apparteniamo per sempre, e quindi ogni passo dovrebbe essere come un'ascendere verso il Cielo', con la semplicità e profondità di una vita di fede, di bontà e di generosità nei sacrifici, che appartengono alla nostra condizione umana.
Dona sempre tanto conforto pensare e sapere che questa vita non è un camminare senza senso e verso il nulla, ma è un accostarsi al giorno del nostro ritorno a Dio ... come una vigilia, vivendo, in ogni momento, lo stupore degli Apostoli, che assistono all'ascensione di Gesù, che li lascia, salendo al Cielo, ma promettendo che sarà sempre con loro.
È davvero da 'saggi' vivere guardando verso un futuro, che non è la fine di tutto, ma il principio della vera vita, nella pienezza della felicità in Dio.
Forse per troppi questo discorso dell'attesa del Cielo può sembrare utopia. Forse non comprendono l'inganno del mondo.
Che non sia così per voi, per noi.
Con il salmista preghiamo:
"Applaudite, popoli tutti; acclamate Dio con voci di gioia,
perché terribile è il Signore, l'Altissimo, e grande su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro Re, cantate inni.
Dio è re di tutta la terra. Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo". (Salmo 16)
Testo di mons. Antonio Riboldi
tema delle letture
Liturgia della Solennità dell'Ascensione (Anno A): domenica 5 giugno 2011
Liturgia della Parola della Solennità dell'Ascensione (Anno A): domenica 5 giugno 2011