«Se» apriamo il nostro cuore a Gesù
News del 28/05/2011 Torna all'elenco delle news
«Se mi amate...». Gesù chiede di dimorare in quel luogo da cui tutto ha origine, da cui tutto parte, in cui tutto si decide e che tutte le religioni chiamano «cuore». Entra nel mio luogo più importante e intimo, nel vero santuario della vita. Ma lo fa con estrema delicatezza, perché tutto si tiene alla prima parola: «se».
«Se mi amate». Un punto di partenza così umile, così fragile, così libero, così fiducioso, così paziente: se. Nessuna minaccia, nessuna costrizione. Puoi accogliere o rifiutare, in piena libertà. Se ti fai lettore attento del Vangelo non potrai però sfuggire all'incantamento per Gesù uomo libero, parola liberante.
«Se mi amate osserverete». La vera molla che spinge a compiere in pienezza un'opera è l'amore. L'esperienza quotidiana lo conferma: se c'è la scintilla dell'amore ogni atto si carica di una vibrazione profonda, di un calore nuovo, conosce una incisività insospettata.
«Il Padre vi darà un altro Soccorritore e sarà con voi... presso di voi... in voi». In un crescendo mirabile Gesù usa tutte le preposizioni che dicono comunione. Dio vive in me, in me ha termine l'esodo di Dio. Se io penso al Signore non penso a qualcosa che ho incontrato in un libro, fosse pure il Vangelo, ma ad una storia che continua fino al presente e «non è ancora finita»: la storia della comunione con una persona viva, la storia del suo essere 'in' me. Le parole decisive del brano di Giovanni sono: Voi in me e io in voi. Sosto nella percezione di essere «in» Dio, immerso in Lui, tralcio nella madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, respiro nell'aria vitale. Allora ti carichi di una linfa', di un'acqua, di una fiamma che faranno della tua fede visione nuova, incantamento, fervore, poesia, testimonianza viva.
«Non vi lascerò orfani». Orfano è parola legata all'esperienza della morte e della separazione, ma Gesù è enfasi della nascita e della comunione. Altri partiranno da altri presupposti, io riparto da Cristo e dal suo modo di liberare, di generare, di porre luce e cuore su ciò che nasce e mai su ciò che muore: amare è non morire. Lo ripete anche oggi: «Perché io vivo e voi vivrete». Piccola frase che rende conto della mia speranza. Io appartengo a un Dio vivo e Lui a me. E queste parole mi fanno dolce e fortissima compagnia: appartengo a un Dio vivo, amare è non morire.
Testo di padre Ermes Ronchi
Farsi paracliti
Nel Vangelo Gesù parla dello Spirito Santo ai discepoli con il termine di Paraclito che significa ora consolatore, ora difensore, ora le due cose insieme. Nell'Antico Testamento, Dio è il grande consolatore del suo popolo. Questo "Dio della consolazione" (Rom 15, 4), si è "incarnato" in Gesù Cristo che si definisce infatti il primo consolatore o Paraclito (Gv 14, 15).
Lo Spirito Santo, essendo colui che continua l'opera di Cristo e che porta a compimento le opere comuni della Trinità, non poteva non definirsi, anche lui, Consolatore, "il Consolatore che rimarrà con voi per sempre", come lo definisce Gesù.
La Chiesa intera, dopo la Pasqua, ha fatto un'esperienza viva e forte dello Spirito come consolatore, difensore, alleato, nelle difficoltà esterne ed interne, nelle persecuzioni, nei processi, nella vita di ogni giorno. Negli Atti leggiamo: "La Chiesa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma della consolazione (paraclesis!) dello Spirito Santo" (At 9, 31).
Dobbiamo ora tirare da ciò una conseguenza pratica per la vita. Bisogna diventare noi stessi dei paracliti! Se è vero che il cristiano deve essere "un altro Cristo", è altrettanto vero che deve essere un "altro Paraclito". Lo Spirito Santo non solo ci consola, ma ci rende anche capaci di consolare a nostra volta gli altri. La consolazione vera viene da Dio che è il "Padre di ogni consolazione". Viene su chi è nell'afflizione; ma non si arresta in lui; il suo scopo ultimo è raggiunto quando chi ha sperimentato la consolazione se ne serve per consolare sua volta, il prossimo, con la consolazione stessa con cui lui è stato consolato da Dio. Non contentandosi, cioè, di ripetere sterili parole di circostanza che lasciano il terreno che trovano ("coraggio, non avvilirti; vedrai che tutto si risolverà per il meglio"!), ma trasmettendo l'autentica "consolazione che viene dalle Scritture", capace di "tener viva la speranza" (cfr. Rom 15,4). Così si spiegano i miracoli che una semplice parola o un gesto, posti in clima di preghiera, sono capaci di operare accanto al capezzale di un ammalato. È Dio che sta consolando quella persona attraverso di te!
In un certo senso, lo Spirito Santo ha bisogno di noi, per essere Paraclito. Egli vuole consolare, difendere, esortare; ma non ha bocca, mani, occhi per "dare corpo" alla sua consolazione. O meglio, ha le nostre mani, i nostri occhi, la nostra bocca. La frase dell'Apostolo ai cristiani di Tessalonica: "Consolatevi a vicenda" (1 Tess 5,11), stando alla lettera, si dovrebbe tradurre: "siate dei paracliti gli uni per gli altri. Se la consolazione che riceviamo dallo Spirito non passa da noi ad altri, se vogliamo trattenerla egoisticamente solo per noi, essa ben presto si corrompe.
Ecco perché una bella preghiera, attribuita a san Francesco d'Assisi, dice: "Che io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere, di essere amato, quanto di amare...".
Alla luce di quello che ho detto, non è difficile scoprire chi sono oggi, intorno a noi, i paracliti. Sono quelli che si chinano sui malati terminali, sui malati di AIDS, che si preoccupano di alleviare la solitudine degli anziani, i volontari che dedicano il loro tempo alle visite negli ospedali. Quelli che si dedicano ai bambini vittime di abusi di ogni genere, dentro e fuori casa.
Terminiamo questa riflessione, con i primi versi della Sequenza di Pentecoste, dove lo Spirito Santo è invocato come il "consolatore perfetto":
"Vieni, padre dei poveri, vieni datore dei doni, vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto; ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto conforto".
Testo di padre Raniero Cantalamessa
Voi conoscete il Padre
Noi, che conosciamo la nostra debolezza di fronte ai compiti che tante volte la vita ci pone, sappiamo quanto sia difficile affrontarli.
È vero che tanti, oggi, - e non torna ad onore - gli impegni e le sofferenze cercano di evitarli, come se questo nella vita fosse 'possibile' o come se fosse la soluzione migliore.
Potremmo dire che oggi l'obiettivo del mondo e l'impostazione della sua 'moda' sia quella di cancellare anche solo l'idea di sofferenza, facendo prevalere la filosofia dello star bene ad ogni costo: una corsa alla felicità che, quando non si incontra con i nostri desideri, può continuare, come impazzita, verso paradisi artificiali, quali la droga o altro, che si rivelano alla fine come anticamere della morte.
Del resto viene per tutti, in qualunque condizione sociale, l'impatto con il dolore o con la necessità di scelte radicali o con le asprezze dei compiti da realizzare. Guardare in faccia la propria 'croce' è da gente forte, da gente di autentica fede e di grande ed indiscutibile amore: ed è già un sentirsi verso la vetta.
Avere paura è come gettare le armi, ancor prima che inizi la 'battaglia': è rinunciare a vivere, prima ancora di essersi assunti un impegno, è lasciare un discorso in sospeso, quando per sua natura dovrebbe essere finito.
Affrontare le difficoltà nella vita, le piccole o grandi scelte, fa parte della natura umana, e, molto di più, di chi vive di fede, sapendo che Dio 'mette alla prova' il nostro amore, ma nello stesso tempo si fa nostro Cireneo.
A volte si rimane stupiti di fronte a fratelli e sorelle che affrontano nella vita difficoltà, scelte, sofferenze, che per i più sembrerebbero insormontabili. Ma sono la testimonianza di quanto un credente vero può vivere con coraggio e serenità e la 'dimostrazione' concreta di come solo da Dio ricevano la forza di vivere.
D'altra parte noi sappiamo che la nostra vita non è un disegno uscito dalla nostra fantasia, ma è sin dall'inizio un percorso che il Padre ha tracciato per noi, e solo a noi spetta di decidere se seguirlo con amore e libertà.
Troviamo nel Vangelo di oggi, come Gesù, prima ancora della Pentecoste, avesse tracciato per gli Apostoli il cammino che li attendeva, assicurandoli che non li avrebbe lasciati soli.
È quello che, del resto, riserva per ciascuno di noi. Così, oggi, Gesù ci parla:
"Gesù disse ai suoi discepoli (noi!): 'Se mi amate osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non crede e non Lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io Sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui". (Gv. 14, 15-21)
Queste parole Gesù le rivolgeva ai Suoi prima della sua passione, morte e resurrezione. Conosceva molto bene la loro - e nostra - debolezza e li voleva rassicurare: con la Pentecoste, la Presenza dello Spirito 'annulla' ogni debolezza umana.
Quella stessa debolezza, manifestatasi subito dopo la Sua morte, quelle ore di smarrimento, ... di tradimento! ... da parte dei Dodici, sono in fondo la nostra stessa fragilità di fronte alle difficoltà o alle grandi scelte.
Ma c'è la promessa del Consolatore!
Ricordo il mio smarrimento quando improvvisamente ed inaspettatamente mi giunse la nomina, da parte di Paolo VI - che mi conosceva e mi amava - ad essere vescovo della Chiesa. La mia confusione era simile a quella dei Dodici. Confesso che provai un senso di 'paura' di fronte a quella chiamata: una 'paura' che non dovrebbe assolutamente essere nostra!
Quando il beato Giovanni Paolo II fu eletto Papa, le prime parole che rivolse al mondo, ma soprattutto alla Chiesa, furono: 'Non abbiate paura!' ... perché dietro ad ogni volontà del Padre, c'è Lui stesso a sostenerci!
'Non vi lascerò orfani' - ripete Gesù a noi - 'Tornerò da voi'.
Ed è quello che ho sperimentato nella mia vita da vescovo. Ci furono momenti molto difficili, per tante ragioni e per tante scelte. Volendo liberare la mia terra dalla criminalità organizzata, sentivo come mio dovere di Pastore di dover 'liberare' il territorio affidato alla mia cura pastorale, fronteggiandola. Fu una lotta dura, in cui si doveva mettere in conto anche la possibilità di essere ucciso. Lo dissi una volta, in visita, al Papa, il beato Giovanni Paolo II, che comprese il mio animo e con forza mi ripeté le parole: 'Non abbiate paura. Vi sarò vicino'. E fu così.
Impressiona oggi la solitudine di tanta gente nel momento della prova.
Basta saper guardare per incontrare volti che sembra chiedano una parola di conforto, di non sentirsi soli nella sofferenza, di incontrare qualcuno che dica loro: 'Non sei solo, siamo insieme con le nostre sofferenze e speranze: tutto è un racconto di comunione'.
E, a volte, basta un sorriso, un nulla per rompere la solitudine. Non è nemmeno necessario 'fare' tanto: nella nostra società così dispersiva, distratta, così abituata a consumare persone e cose, ciò che la gente tutti i giorni desidera è un orecchio disponibile ad ascoltare, una mano pronta a sorreggere, una voce che, con pazienza, tatto, bontà, narri la buona notizia che Gesù è venuto a dirci: 'Non abbiate paura. Il Padre vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi, per sempre'.
Così affermava il Santo Padre, Benedetto XVI, a Verona, nel Convegno ecclesiale, durante l'omelia della S, Messa, il 19 ottobre 2006:
'Noi siamo eredi di quei testimoni, di tanti santi, martiri. Ed è da questa constatazione che nasce la domanda: che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo oggi comunicarla? La certezza che Cristo è risorto ci assicura che nessuna forza avversa può distruggere la Chiesa. Ci anima anche la consapevolezza che soltanto Cristo può pienamente soddisfare le profonde attese del cuore umano e rispondere agii interrogativi più inquietanti sul dolore, l'ingiustizia, il male, la morte e l'aldilà. C'è allora un vasto e capillare sforzo da compiere perché ogni cristiano si trasformi in 'testimone' capace e pronto ad assumere l'impegno di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima. Per questo occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l'evento della Morte e Resurrezione, cuore del cristianesimo, fulcro della nostra fede, vento impetuoso che spazza via ogni paura ed indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo.
Con Giovanni XXXIII, il Papa del sorriso, preghiamo:
'O Principe della Pace, Gesù Risorto, guarda benigno all'umanità intera. Da Te solo aspetta l'aiuto e il conforto alle sue ferite.
Tu sempre prediligi i piccoli, gli umili, i doloranti,
sempre vai a cercare i peccatori.
Fà che tutti Ti invochino e Ti trovino per avere in Te, la Via, la Verità, la Vita.
Allontana dal cuore degli uomini ciò che può mettere in pericolo la pace e confermali nella verità, nella giustizia, nell' amore per i fratelli. Accendi la volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rinsaldare i vincoli della mutua carità, ad essere pronti a compatire, comprendere e perdonare, affinché nel Tuo Nome le genti si uniscano e trionfi nei cuori, nelle famiglie, nel mondo, la Pace, la Tua Pace'.
Testo di mons. Antonio Riboldi