Seconda Domenica di Quaresima: la Trasfigurazione è la quotidianità della nostra esperienza di Cristo risorto
News del 18/03/2011 Torna all'elenco delle news
Alzatevi e non temete
La domenica di Abramo e della Trasfigurazione segna la seconda tappa della quaresima: Gen.12,1-4 e Matt.17,1-9 sono testi fondamentali nel cammino della nostra formazione umana e cristiana.
Abramo è chiamato ad uscire dalla propria terra per partire verso un paese che Dio gli donerà: è il cammino della libertà, è l'avventura della pura grazia. "Lascia la tua terra" può essere tradotto anche: "Va' verso te stesso". La "terra promessa" verso la quale Abramo è invitato da Dio a camminare è l'autenticità della esistenza alla quale può arrivare uscendo da tutti i condizionamenti che impediscono la libertà: l'avventura della vita è la ricerca della verità e della autenticità che Dio solo può donare all'uomo, Dio che è con noi e che sperimentiamo camminando nell'intimo di noi stessi.
L'esperienza della Trasfigurazione, che oggi è offerta a noi come a Pietro, Giacomo e Giovanni, ci porta alla realizzazione piena del cammino della libertà iniziato con la chiamata rivolta da Dio ad Abramo: nello splendore del volto di Gesù, nella luce candida delle sue vesti, si rivela la sua vita intima, e noi contempliamo chi è Dio e chi è l'uomo.
Luca, nella sua redazione dell' evento della Trasfigurazione, dice così: "Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto…" (Lc.9,28-29). Secondo questa tradizione, la Trasfigurazione fu essenzialmente una esperienza spirituale, una esperienza originale di preghiera, una preghiera sul monte. Più degli altri evangelisti, Luca si ferma a sottolineare la preghiera di Gesù: nei momenti forti della sua vita, Gesù prega, e la sua preghiera comincia sempre con l'invocazione: "Padre…" Nel contesto della Trasfigurazione, la preghiera prende tutto il suo significato: esprime la intimità di Gesù con il Padre. Con la preghiera Gesù abbatte la frontiera di carne che lo separa da Dio, e crea un contatto con il divino così reale, così forte, che la gloria di Dio risplende sul suo volto e sulla sua veste.
Anche per noi, la preghiera di Gesù di cui siamo resi partecipi nella Liturgia, è la via attraverso la quale accediamo alla intimità con Dio: Dio Trinità, mistero di Amore. Ma cos'è la preghiera di Gesù? C'è un filo che collega direttamente la Trasfigurazione con la Passione di Gesù: anche in quel momento Gesù prega. "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato" (Matt.27,46), "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc.23,46). La preghiera è l'esperienza più autenticamente umana di Gesù, nella quale ha la percezione della radicale debolezza di tutto, del più terribile nulla e per questo anche dell'infinito tutto che è l'Amore. La preghiera è per Gesù l'esperienza dell'abbandono più totale: la lontananza diventa "affidamento" solo in Dio, percepito come "Dio mio", come il Padre al quale il Figlio si consegna. E la preghiera è l'esperienza nella quale il Figlio accoglie la risposta del Padre: al nulla sperimentato dal Figlio risponde l'Amore infinito del Padre. La preghiera non può non essere Passione: la Trasfigurazione è la risposta dell'Amore del Padre al Figlio che, spogliato di tutto si affida a Lui, è la umile carne calata nella storia resa splendente dalla gloria del Padre.
Sulla preghiera di Gesù si configura la nostra preghiera. Luca colloca la Trasfigurazione appena prima dell'inizio del grande viaggio che Gesù compie verso Gerusalemme "per essere consegnato nelle mani degli uomini" (Lc.9,44): "mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto…ed ecco, due uomini conversavano con lui. Erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria e parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme…" (Lc.9,29-30) Nella preghiera Gesù vive la concretezza della sua vita, l'angoscia di ciò che lo attende, ma vive tutto non ripiegato su se stesso, come se dovesse contare solo sulle proprie forze, vive come figlio che parla, confida, ha l'amore del padre. E il Padre gli dona di sperimentare che la sua fragilità (il suo volto, le sue vesti) è il luogo della gloria. Matteo colloca la Trasfigurazione in un contesto nel quale Gesù sta istruendo i suoi discepoli.
Dopo il primo annuncio della Passione, alla reazione di Pietro che gli dice: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai", Gesù risponde con forza: "Va' dietro a me, Satana, tu mi sei di scandalo…" e poi continua: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Matt.16,21-24).
La Trasfigurazione diventa esperienza pedagogica per i discepoli (oggi per noi), perché sappiano bene che cosa significa e non abbiano paura di seguire Gesù per la via che egli ha scelto: la via dell'esperienza filiale dell'ascolto della Parola del Padre, del fare la sua volontà, la via del servo di Dio che dona tutto. E' la via di Mosè e di Elia, servi di Dio, ma che Dio ha esaltato nella sua gloria. E' la via attraverso la quale il servo "non ha più bellezza, tanto è stato sfigurato" (Is.52,14) eppure il "suo volto brilla come il sole e le sue vesti diventano candide come la neve": è la via dell'Amore onnipotente di Dio che passa attraverso la fragile debolezza dell'uomo. La Trasfigurazione è parte essenziale della pedagogia di Dio, perché i discepoli di Gesù vedano che la sua forza sta nella debolezza umana (2 Cor.12,9) e imparino (Pietro per primo), a non pretendere di possedere la gloria di Dio senza sperimentare la debolezza del figlio. A Pietro, alla Chiesa, a noi che oggi riviviamo il mistero nella Liturgia, la Trasfigurazione propone una profonda esperienza di fede: la nube luminosa ci copre con la sua ombra, lo Spirito dell'Amore del Padre ci avvolge, ne sentiamo la forza che ci infonde coraggio, speranza. Ma con Pietro non pretendiamo di cancellare la nube: rimane la "voce" che continua a dire: "Questi è il mio Figlio, l'amato, in cui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo". E' la voce del Padre "che sta nei cieli": ascoltare la Parola di Dio è la fede. A noi è dato di guardare Gesù, solo, che cammina con noi, è il Figlio, l'amato, nel quale il Padre si compiace perché rende visibile sulla terra, nell'oscurità di ogni giorno, la luce dell'Amore del Padre.
Gesù si accosta a noi ("Io sono con voi tutti i giorni" Matt.28,20) per dirci: "Alzatevi e non temete". E noi possiamo riprendere il cammino, siamo fragili, possiamo cadere, ma sappiamo che Lui è con noi: anche nella notte più buia, risplende la luce.
La Trasfigurazione è la quotidianità della nostra esperienza di Cristo risorto, ed è il nostro ingresso, con lui, nella libertà della terra promessa.
Testo di mons. Gianfranco Poma
Vivere è la fatica di «liberare» la bellezza
«Un fiore di luce nel nostro deserto» ( Turoldo), così appare il volto di Cristo sul Tabor. Il volto è come la grafia del cuore, la sua scrittura.
Quel volto di sole ci assicura che a ogni figlio di Adamo è stato dato non un cuore d'ombra, ma un seme di luce, come nostro volto segreto. Adamo è una luce custodita in un guscio di fango: alternanza di tenebra e di luce, di ombra e di sole, di tentazione e di trasfigurazione. In cammino però, come una linea ascendente, che avanza senza ritorni. Ogni uomo abita la terra come un'icona ancora incompiuta, scritta come le icone autentiche, su un fondo d'oro che è la nostra somiglianza con Dio. Vivere altro non è che la fatica gioiosa di liberare la luce e la bellezza seminate, per grazia, in noi.
Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, i primi chiamati, e li conduce su un alto monte, là dove la terra s'innalza nella luce, dove il celeste si condensa nel candore della neve, nascita delle acque che fecondano ogni vita. Là appare un volto «Totalmente Altro» (K. Barth) affinché anche il volto dell'uomo diventi tutt'altro da quello che è. Il volto «alto» dell'uomo è comprensibile solo a partire da Gesù.
Ogni antropologia è una Cristologia incompiuta.
Ogni Cristologia è una antropologia che trascende se stessa in pienezza.
È bello che noi siamo qui. Stare qui, davanti a questo volto, dove tutto converge: la legge, i profeti, il sole; l'unico luogo dove possiamo vivere e sostare. Qui siamo di casa, altrove siamo sempre fuori posto; altrove non è bello, e possiamo solo camminare, non stare. Qui è la nostra identità, la fine del viaggio, di un esule il ritorno a casa. Trovare Cristo è trovare senso e bellezza del vivere.
Ma come tutte le cose belle la visione non fu che la freccia di un attimo: una nube li coprì e venne una voce: Ascoltate lui.
Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro la parola di suo Figlio: «ascoltate Lui». La fede biblica è una religione non della visione, ma dell'ascolto. Sali sul monte per vedere, e sei rimandato all'ascolto.
Scendi dal monte, e ti rimane nella memoria l'eco dell'ultima parola: Ascoltatelo. La visione del volto cede all'ascolto del volto. Il mistero di Dio e il mistero dell'uomo sono ormai tutti dentro Gesù. Quel volto parla, e nell'ascolto di Gesù, ascoltatore perfetto del Padre, anche noi diventiamo, come lui, figli e volto del Padre.
Testo di padre Ermes Ronchi
Liturgia della II Domenica di Quaresima (Anno A)
Liturgia della Parola della II Domenica di Quaresima (Anno A)