16 dicembre 2018 - III Domenica di Avvento "Gaudete": il cammino della gioia parte da condivisione e giustizia

News del 15/12/2018 Torna all'elenco delle news

La domanda delle folle, «che cosa dobbiamo fare?», indica che la parola di Giovanni ha colpito nel segno. Chi ascolta una verità, dolce o amara che sia, ma ritenuta valida per la propria vita, non può non rimanere colpito da essa e deve decidere se abbracciarla o fuggirne. Gli ascoltatori del Battista, che aveva predicato la conversione, sembrano disposti a lasciarsi accompagnare nell’attuazione dell’annuncio ricevuto; per questo chiedono di essere illuminati sulle vie concrete attraverso cui si può camminare in una vita nuova.

Giovanni anzitutto indica la strada della condivisione, alludendo al vestito e al cibo. La nudità nella Bibbia è simbolo di umiliazione e di punizione; rivestire un corpo nudo significa restituirgli dignità mediante cure amorevoli. Dunque cedere una tunica al fratello vuol dire non solo soccorrerlo nell’indigenza, ma liberarlo da sguardi giudicanti e sprezzanti, cui prima poteva essere esposto, donandogli così la capacità di relazioni sane e paritarie. La condivisione del cibo, con la forza che ne deriva, rimette l’altro in cammino e ti rende collaboratore della sua gioia di raggiungere la meta. È proprio la gioia che dà l’intonazione all’intero testo, anche se a parlare è l’austero Giovanni, che pur avendo apostrofato il popolo «razza di vipere» e aver preconizzato «l’ira imminente», è in realtà in uno stretto legame con la gioia: aveva esultato nel grembo di Elisabetta alla presenza di Gesù e nel vangelo di Giovanni, prima di congedarsi, dirà: «Ora questa mia gioia è piena». Ma qual è il cammino della gioia che il Battista traccia? Oltre alla condivisione, egli indica la via della giustizia. Ai pubblicani dice di accontentarsi di quanto spetta loro, senza peccare di avidità. Anche i soldati devono essere sobri, senza abusare del loro potere né esercitare la violenza per arricchirsi e umiliare. Fare del male a qualcuno anche con le parole, cui può alludere il verbo greco, far piangere, ‘estorcendo’ dunque lacrime e non solo beni, è un’azione alquanto disumana. Infatti il profeta non sta chiedendo delle pratiche religiose, ma di essere umani, di assumere e valorizzare l’umanità degli altri, consentendogli di essere se stessi nella loro verità e libertà, perché «la bestemmia è mettere le cose prima delle persone» (Ermes Ronchi). E proprio perché ogni uomo è diverso dall’altro, Giovanni non dà una risposta preconfezionata, uguale per tutti, ma diversa a seconda di chi si trova di fronte. Ogni uomo ha una sua storia e vive uno stato di vita che gli è proprio, per cui il profeta, con le sue parole, illumina la vita personale di ciascuno e lo aiuta a conformarsi alla volontà di Dio. Tutto ciò elimina ogni sorta di competizione e ci libera dalla tentazione di paragonare la nostra vita a quella degli altri, col rischio di sentirci sempre inadeguati. Chissà quante volte ci siamo chiesti ‘ma cosa devo fare? Cosa vuole Dio da me?’. E chissà quante volte abbiamo cercato le risposte lontano da noi, in un io ideale, finendo col rimandare il bene che potevamo fare qui nel momento presente ad un domani che non arrivava mai, perché non corrispondeva alla verità della nostra esistenza. Oggi Giovanni ci insegna la prima regola del discernimento: fai quello che devi fare e puoi fare, qui ed ora! Fai il tuo dovere adesso, senza aspettare di essere come vorresti essere! Sei un insegnante? Allora di sicuro quello che Dio ti chiede di fare è di santificarti facendo bene il tuo lavoro. Sei una mamma? La tua perfezione la raggiungi spendendoti senza misura per i tuoi figli. Sei un sacerdote? Fai della tua vita una completa donazione a Dio e agli altri. Tutto questo è di una semplicità disarmante, eppure il più delle volte troviamo difficoltà a metterlo in pratica. Ecco perché è su questo punto che il Battista ci invita alla conversione. Ed è una conversione che nessun altro può fare al nostro posto, perché la vita è nostra e ne siamo personalmente responsabili.

La gente, sentendolo parlare così, pensava che fosse lui il Messia tanto atteso ma Giovanni si smarca e ci invita ad allargare il cuore, a non fermarci al profumo che sentiamo ma a cercarne la fonte, che è Gesù. Perché è bello ascoltare qualcuno che mi parla di Dio, ma ancora più bello e averlo trovato e vivere sentendo che Dio è con me. E cosa produrrà la sua presenza in noi? Egli separerà la paglia dal frumento. «Abbiamo tanta paglia, tanta parte di noi che non è vita, carta intorno a ciò che veramente conta. E noi finiamo per vivere di quell’involucro e non del contenuto» (Fabio Rosini). Si bruci la paglia!

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Convertirsi partendo da un solo verbo: dare

«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Sofonia racconta un Dio che esulta, che salta di gioia, che grida: «Griderà di gioia per te», un Dio che non lancia avvertimenti, oracoli di lamento o di rimprovero, come troppo spesso si è predicato nelle chiese; che non concede grazia e perdono, ma fa di più: sconfina in un grido e una danza di gioia. E mi cattura dentro. E grida a me: tu mi fai felice! Tu uomo, tu donna, sei la mia festa.

Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce interiore dei sogni; solo qui, solo per amore, Dio grida. Non per minacciare, ma per amare di più. Il profeta intona il canto dell'amore felice, amore danzante che solo rende nuova la vita: «Ti rinnoverà con il suo amore».

Il Signore ha messo la sua gioia nelle mie, nelle nostre mani. Impensato, inaudito: nessuno prima del piccolo profeta Sofonia aveva intuito la danza dei cieli, aveva messo in bocca a Dio parole così audaci: tu sei la mia gioia.

Proprio io? Io che pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno, una preoccupazione. Invece il Signore mi lancia l'invito a un intreccio gioioso di passi e di parole come vita nuova. Il profeta disegna il volto di un Dio felice, Gesù ne racconterà il contagio di gioia (perché la mia gioia sia in voi, Giovanni 15,11).

Il Battista invece è chiamato a risposte che sanno di mani e di fatica: «E noi che cosa dobbiamo fare?». Il profeta che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome, risponde: «Chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha». Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: «Chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha». E appare il verbo che fonda il mondo nuovo, il verbo ricostruttore di futuro, il verbo dare: chi ha, dia!

Nel Vangelo sempre il verbo amare si traduce con il verbo dare. La conversione inizia concretamente con il dare. Ci è stato insegnato che la sicurezza consiste nell'accumulo, che felicità è comprare un'altra tunica oltre alle due, alle molte che già possediamo, Giovanni invece getta nel meccanismo del nostro mondo, per incepparlo, questo verbo forte: date, donate. È la legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare.

Vengono pubblicani e soldati: e noi che cosa faremo? Semplicemente la giustizia: non prendete, non estorcete, non fate violenza, siate giusti. Restiamo umani, e riprendiamo a tessere il mondo del pane condiviso, della tunica data, di una storia che germogli giustizia. Restiamo profeti, per quanto piccoli, e riprendiamo a raccontare di un Dio che danza attorno ad ogni creatura, dicendo: tu mi fai felice.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) 16 DICEMBRE 2018

tratta da www.lachiesa.it