2 dicembre 2018 - INIZIA L'ANNO LITURGICO C - I Domenica di Avvento: stare attenti, vegliare, pregare ed aspettare

News del 01/12/2018 Torna all'elenco delle news

Ci saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle. Il vangelo di Luca oggi non vuole raccontare la fine del mondo, ma il mistero del mondo; ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa, a guardare in alto, a percepire il cosmo pulsare attorno a noi, immensa vita che patisce, soffre, si contorce come una partoriente (Is13,8), ma per produrre vita.

Ad ogni descrizione drammatica, segue un punto di rottura, un tornante che apre l'orizzonte, lo sfondamento della speranza e tutto cambia: ma voi risollevatevi e alzate il capo, la liberazione è vicina. Anche nel caos della storia e nelle tempeste dell'esistenza, il vento di Dio è sopra il mio veliero.

State attenti a voi stessi, che il cuore non diventi pesante! Verrà un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch'io il morso dello sconforto, per me e per il mondo, ma non gli permetterò più di sedersi alla mia tavola e di mangiare nel mio piatto. Perché fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa: che non può esserci disperazione finché custodisco la testarda fedeltà all'idea che la storia è, nonostante tutte le smentite, un processo di salvezza.

Il dono dell'Avvento è un cuore leggero come la fiducia, quanto la speranza; non la leggerezza della piuma sbattuta dal vento, ma quella dell'uccello che fende l'aria e si serve del vento per andare più lontano.

E poi un cuore attento, che legga la storia come un grembo di nascite: questo mondo porta un altro mondo nel grembo, un sogno da trasformare in vita, perché non si ammali. Vivete con attenzione, state attenti alle piccole enormi cose della vita. Scrive Etty Hillesum dal campo di sterminio: «Esisterà pur sempre anche qui un pezzetto di cielo che si potrà guardare, e abbastanza spazio dentro di me per poter congiungere le mani nella preghiera».

I Vangeli d'Avvento usano questo doppio registro: fanno levare il capo verso le cose ultime, verso Colui-che-si-fa-vicino, e poi abbassare gli occhi verso le cose di qui, dentro e attorno a noi. Lo fanno per aiutarci a vivere attenti, ad abitare la terra con passo leggero, custodi dei giorni e pellegrini dell'eterno, guardando negli occhi le creature e fissando gli abissi del cosmo, attenti al venire di Dio e al cuore che si fa stanco. Pronti ad un abbraccio che lo alleggerisca di nuovo, e lo renda potente e leggero come un germoglio.

Avvento: la vita è non è una costruzione solida, precisa, finita, ma è una realtà germinante (R. Guardini), fatta anche e soprattutto di germogli, a cui non ti puoi aggrappare, che non ti possono dare sicurezze, ma che regalano un sapore di nascite e di primavera, il profumo della bambina speranza (Péguy).

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Stare attenti, vegliare, pregare ed aspettare

Se vogliamo sintetizzare il nostro comportamento nel tempo di Avvento, potremmo concentrarci su queste quattro azioni, espresse dai relativi verbi: stare attenti, vegliare, pregare ed aspettare.

Stare attenti a che cosa? Gesù lo dice con chiarezza nel discorso apocalittico presentato dall'evangelista Luca a conclusione del suo scritto. Bisogna stare attenti a se stessi, perché c'è il rischio che i nostri cuori si appesantiscono in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita; per cui il giorno del Signore, piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra?.

Il Vangelo fa riferimento quindi al secondo e definitivo avvento di Cristo sulla terra, che non sarà annunciato ufficialmente, ma potrà essere interpretato come imminente in base ai segni premonitori di esso e del suo arrivo prossimo. Da qui la necessità di stare attenti a non comportarsi male e vivere nella grazia di Dio e nella sua amicizia.

Per attuare un progetto efficace di vigilanza è necessario vegliate in ogni momento e concretizzare questa veglia con la preghiera e valorizzando la preghiera.

La preghiera ci darà la forza di presentarci davanti al tribunale di Dio per essere giudicati in modo più adeguato e preparato. In base al testo sacro bisogna considerare gli elementi cosmici che saranno interessati a questo secondo avvento di Cristo e come ci dice l'evangelista Luca, ripotando le parole di Gesù: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte?. Dopo questo sconvolgimento cosmico, apparirà Cristo, ?Figlio dell'uomo? che viene su una nube con grande potenza e gloria?.

L'annuncio della fine è annuncio di un nuovo inizio, quello eterno per tutti, morti e viventi.

Per cui, "quando cominceranno ad accadere queste cose", bisogna risollevarsi e alzare la testa, cioè incamminarsi e guardare in alto, perché la nostra liberazione è davvero vicina.

Questa apertura ad una nuova speranza cristiana è anticipata dal profeta Geremia, nella prima lettura di questa domenica, nella quale viene detto che verranno giorni -nei quali Dio realizzerà le promesse di bene che aveva fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda. Queste promesse si realizzeranno mediante un nuovo assetto politico e sociale, per Giuda e Gerusalemme. Una nuova condizione socio-economica in positivo è vista da lontano dal profeta.

Il che fa pensare a quel germoglio di Davide, che è Cristo, della discendenza di Davide che, appunto, mediante la sua venuta sulla terra porterà giustizia e pace al mondo intero.

E' qui anticipata la figura e la missione del Messia, che apporterà al nuovo Israele tutto il bene che si attendeva.

Questo bene, che diventa modo di agire e comportamento di ogni credente, di ogni cristiano che San Paolo Apostolo nella Lettera ai Tessalonicesi, ricorda in modo puntuale e preciso, al punto tale che scrive che il Signore li faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra loro cristiani di Tessalonica e verso tutti.

D'altra parte, Paolo sottolinea che nei loro riguardi l'amore sovrabbonda, allo scopo di rendere saldi i loro cuori e irreprensibili da un punto di vista morale, in prospettiva della venuta del Signore Gesù Cristo con tutti i suoi santi.

Si tratta di un forte appello a rispondere alla chiamata alla santità mediante un comportamento evangelico, al cui centro ci deve essere l'amore a Dio e ai fratelli. D'altra parte, l'Avvento come tutti i tempi forti dell'anno liturgico si vive in profondità, non solo mediante l'asciolto della parola di Dio, mediante la preghiera e il silenzio, ma soprattutto mediante una carità vissuta a servizio del prossimo.

Ce lo ricorda il salmista, nel Salmo 24 inserito nella liturgia della parola di questa prima domenica di Avvento: Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza. Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta; guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via. Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti. Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza?.

Giustificata quindi la nostra orazione iniziale della messa di questa prima domenica con simili richieste che rivolgiamo al nostro Dio e Salvatore: ?Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell'umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore.

Sapere attendere Cristo che viene con una dovuta vigilanza sul nostro agire quotidiano e con un atteggiamento orante, che apra i nostri cuore alla gioia dell'incontro e non all'angoscia della fine e del termine della nostra vita e di quella dell'intera storia dell'umanità.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Un invito ad alleggerire il cuore

Con questa domenica comincia un nuovo anno liturgico. Dopo lo sguardo al futuro suggerito dalla festa di Cristo Re, oggi è il capodanno dell'anno vissuto nella fede, in sintonia con tutti quanti sono, nella fede, fratelli. A differenza dell'anno civile, che si limita a registrare una successione di giorni ripartiti per mesi e settimane, l'anno liturgico, per così dire, "ha un'anima", è percorso al suo interno da dinamiche complesse, si ripartisce per periodi tra loro intimamente collegati e nel contempo caratterizzati ciascuno dall'attenzione a un aspetto particolare della fede.

L'anno che va da oggi alla prossima festa di Cristo Re è caratterizzato nei vangeli dal prevalere di quello secondo Luca; come sempre tuttavia, a prescindere dal vangelo che si segue, l'anno "con l'anima" comincia con il tempo di Avvento.

Avvento, cioè venuta: alludendo alla triplice venuta di Cristo. Alla prima, preceduta da una lunga attesa e poi realizzatasi duemila anni fa, accenna la prima lettura: il profeta Geremia (33,14-16) preannuncia l'invio del Salvatore, parlando di un germoglio che Dio farà spuntare nella discendenza di Davide (e in effetti per la legge umana Gesù era un discendente del grande re). La terza venuta è quella futura: quella generale, della fine del mondo; ma per i singoli uomini, della fine della loro presenza in questo mondo, col passaggio a quello ultraterreno. In evidente collegamento con quanto abbiamo sentito nelle ultime domeniche, la prima parte del vangelo di oggi (Luca 21,25-28) parla degli sconvolgimenti di quel giorno decisivo, dopo i quali si vedrà "il Figlio dell'uomo", cioè Gesù Cristo, in tutta la magnificenza della sua regalità.

Tra quella già realizzatasi e quella che verrà, ecco la seconda venuta, diversa dalle altre perché è continua, addirittura quotidiana. Gesù viene ogni giorno, nelle forme da lui volute e rivelate: viene con i dettami della coscienza, con la Parola che la illumina e i sacramenti che la rafforzano; viene nella persona di quanti possiamo aiutare (riassumendo le parole del Maestro, "Ogni volta che avrete fatto del bene a uno dei miei fratelli, l'avrete fatto a me"), viene tra quanti si riconoscono cristiani (il Maestro ha detto anche che "Là dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro"). Viene, di continuo, con una sollecitudine infinita, proprio perché ci prepariamo all'incontro definitivo con lui.

Questo scopo è richiamato dalla seconda lettura (1Tessalonicesi 3,12-4,2) e dalle parole finali del vangelo odierno (Luca 21,34-36): "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso... Vegliate in ogni momento pregando, per poter comparire davanti al Figlio dell'uomo". Vegliare significa non dormire, cioè stare attenti e lucidi, per non essere colti alla sprovvista.

Vegliare, dice il vangelo, per non appesantire il cuore: che bella espressione, e quanto risponde al vero, nelle situazioni elencate. Una vita dissipata è quella trascorsa all'inseguimento di cose banali, superficiali, effimere; in definitiva inutili, che appesantiscono il cuore proprio perché, paradossalmente, lo lasciano vuoto. Il cuore è reso pesante anche dalle ubriachezze, che non sono solo quelle da vino; lo sono anche per le droghe, i vizi, l'odio e tutti gli stordimenti che distolgono da quanto è bello, buono, vero. E pesante, quanto pesante, il cuore si fa quando si concentra sugli affanni della vita, sulle più varie preoccupazioni, dimenticando che, per quanto impegnative, esse sono tutte destinate a passare, perché non sono le realtà ultime. Il cuore si fa pesante quando non sa vedere al di là, non si protende al futuro: e in proposito l'Avvento torna anche quest'anno, col valore di un salutare richiamo e di una consolante speranza. Torna anche quest'anno, ad alleggerire il cuore.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

C'è sempre un'alternativa al male 

Uno degli insegnamenti più originali che Gesù è venuto a portarci è che c’è sempre un’alternativa al male. Quasi mai nel corso della storia precedente era stata presa davvero sul serio questa possibilità, e anche chi era deputato a contrastare il male spesso agiva somministrando una cura peggiore della malattia. Cristo invece è l’autentico profeta della non violenza, e nella solennità di Cristo Re lo abbiamo contemplato come sovrano mite e disarmato.

Anche in questa prima Domenica d’Avvento Egli viene sulle nubi che si addensano sul nostro cammino con armi diverse da quelle degli imperi umani, «con grande potenza e gloria», come il Figlio dell’uomo annunciato dal profeta Daniele, segno delle promesse di Dio che si compiono. E in questo vangelo, costellato di eclatanti segni cosmici indicanti il dramma della creazione e della storia che si avviano verso il loro epilogo, Egli è il segno vittorioso del bene che alla fine dei tempi trionferà sul male. Luca parla di una «angoscia di popoli» terrorizzati dallo stravolgimento degli astri, del mare e della terra che, pur riferendosi al giorno del giudizio secondo il linguaggio apocalittico, ben si addice anche allo stato d’animo di questa nostra generazione: è la paura radicale, quella della morte, a celarsi dietro le «dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita», in cui anche oggi tanta gente si ripiega. Sono tutti stili di vita che ispessiscono le pareti del cuore, rendendolo impermeabile all’azione dell’amore. Dissipare un bene significa sprecarne la bellezza, e quanta intelligenza oggi è buttata via in cose banali o addirittura dannose! Davvero il miglior passatempo di un adolescente è scommettere sulle partite di calcio o pubblicare ‘storie’ su Instagram? Se poi questo diventa il principale interesse anche di un adulto, allora la questione è preoccupante! Se dissipare è sciupare un bene, non possiamo rischiare di sciupare il bene più grande, la figliolanza divina, che Gesù ci ha riconquistato sulla croce. Le ubriachezze sono i piaceri di cui ci nutriamo senza discernimento, senza cioè prima pensare se accrescono o diminuiscono il nostro bene. «L’ubriaco è colui che è preso da cose che riguardano solo se stesso, da quello che assume; si riempie lo stomaco ma svuota il cuore» (Fabio Rosini). Gli affanni sono rappresentati dalle cose che inseguiamo, e forse quello più inquietante è la brama del possesso: si investono le energie migliori in realtà penultime, che un giorno ci verranno tolte.

Il vangelo pone un’alternativa a tanto ripiegamento e lo fa con un’espressione tra le più belle che Gesù ci ha lasciato: «risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Solo chi considera la meta ultima della vita e non assolutizza il cammino su questa terra è capace di resistere alla sfida del tempo che passa senza soccombere alla paura della morte. Anzi, il trascorrere degli anni viene percepito come un approssimarsi progressivo della liberazione. Liberati da cosa? Dalla precarietà di questo mondo, a differenza di chi ne rimane invischiato per aver scelto un’impostazione di vita autocentrata. Per questi ultimi il giudizio di Dio è come un «laccio» che decreta il fallimento di un’esistenza gretta, mentre, per chi sa vegliare, tale giudizio si attua ogni giorno come esperienza di salvezza che il credente riceve in abbondanza dalle mani del Padre e come capacità di lettura lucida e pacificata della propria vita. Il modo migliore per cogliere il senso degli eventi che accadono, i quali inevitabilmente rimangono oscuri se non si è svegli e attenti nell’elaborarli, è la preghiera, un dialogo vivo e ininterrotto con Dio. Caino uccide il fratello non perché prova gelosia e rabbia, sentimenti che tutti noi viviamo, ma perché interrompe il dialogo col Creatore che lo interroga sul suo stato interiore. Da un lato la preghiera fa resistere al male, cosa alle volte meritoria quanto e più di un’azione buona compiuta, dall’altro ci fa stare alla presenza del Signore della storia universale, in cui confluisce la nostra storia, che da piccola diventa grande perché inserita nella storia della salvezza.

Siamo invitati a vivere l’Avvento con questa grande trepidazione nel cuore, come una madre che attende la nascita del suo bambino, una tensione che dilata il cuore e non lo restringe e, dunque, ci permette di rimanere in Lui, nella preghiera e nella contemplazione di ogni più piccolo segno che richiama e fa sentire la sua presenza. Vivere così libera da tutto ciò che appesantisce il cuore e ci fa assaporare fin da ora l’eternità.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) 2 DICEMBRE 2018