18 novembre - XXXIII Domenica del T.O.: Dall'angoscia alla certezza della salvezza eterna

News del 18/11/2018 Torna all'elenco delle news

Le ultime domeniche dell'anno liturgico ci immettono nel clima meditativo delle cose ultime, dei novissimi, con particolare attenzione al giudizio universale, di cui ci parlano i testi sacri in questa domenica XXXIII del Tempo Ordinario.

A partire dalla prima lettura, tratta dal profeta Daniele, l'immagine ricorrente è quella dell'ansia e dell'angoscia di quanto dovrà accadere.

Possiamo dire che si alimenta nella vita del credente quello stato di attesa, tipico di ogni persona religiosa che guarda al futuro nel segno della certezza della salvezza. Dall'angoscia alla speranza e alla certezza di un futuro senza più preoccupazioni è il cammino spirituale e di conversione che tutti siamo chiamati a compiere in ragione di quanto ci viene detto dai testi sacri. Dalla parola di Dio bisogna attingere le notizie certe e le verità di fede su cui strutturare la nostra esistenza terrena.

Le parole scritte dal profeta Daniele, sotto ispirazione, sono chiare e non ammettono confusione di termini e di interpretazioni: ?In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo?. Questo tempo non è altro l'apocalisse, il termine conclusivo della storia dell'umanità su questa terra. Perciò è descritto con il tipico genere letterario catastrofico, specifico dell'Apocalisse. Infatti leggiamo nella prima lettura che ?sarà un tempo di angoscia, come non c'era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo?. Non sarà la distruzione di tutto e di tutti, ci sarà un resto di un popolo e soprattutto di quanti sono scritti nel libro della vita eterna. Predestinazione o libero arbitrio nel camminare verso la libertà e la salvezza? La risposta la troviamo nei versetti che seguono: ?Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre?. Ecco la salvezza eterna prospettata dal profeta e che attiene alla vita morale di chi agisce nel tempo in attesa della vita eterna, che è stato saggio e ha lavorato per le cose giuste.

Su questo stesso argomento si snoda il brano del Vangelo di Marco di oggi, nel quale troviamo in modo accentuata e drammatica la descrizione delle ultime cose che succederanno prima del secondo e definitivo avvento di Cristo sulla terra, per giudicare i vivi e i morti, come ci ricorda il Credo: ?In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte?. Una vera catastrofe cosmica per preparare l'ingresso di Cristo glorioso e trionfante. Infatti, ci ricorda l'evangelista Marco che ?allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria?. Ed Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo?.

La convocazione dell'umanità ai piedi di Cristo Redentore e Re dell'Universo per il giudizio finale che Egli pronuncerà per i buoni, i meno buoni ed i cattivi.

Quando accadrà tutto questo? Non lo sappiamo, solo Dio lo conosce, perciò abbiamo il dovere di essere preparati e pronti, di apprendere dalla vita dei campi e della natura come si attende e come si accorge che ormai il tempo è maturo per il raccolto finale.

Gesù ci ricorda di imparare dalle piante di fico le cose che ci attendono: ?quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina?. Il discernimento dell'arrivo delle ultime cose va fatto e allora, quando vedremo accadere queste cose, dobbiamo sapere che il Signore è vicino, è alle porte. Potremmo, come fanno tanti, pensare che sia ancora molto lontano questo arrivo e conclusione? La risposta la possiamo trovare in questo versetto del Vangelo di oggi, riferito alla parola di Gesù: ?In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga?. 

Cosa avverrà? Che il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole di Gesù non passeranno, perché sono parole di vita eterna. Sono le parole certe e sicure del Sommo ed eterno sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Gesù Cristo, unico salvatore, che come ci ricorda la lettera agli Ebrei ?si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c'è il perdono di queste cose, non c'è più offerta per il peccato.

Il sacrificio di Cristo sulla Croce ci ha liberato dal peccato e dall'angoscia di un'esistenza fallimentare, ci ha immesso sulla strada della salvezza finale, quella che cambierà la nostra vita in gloria e gioia eterna in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella Gerusalemme celeste. Qui la sofferenza e la morte non potranno più farci paura e angosciarci per quello che umanamente trasmettono, senza nessun riferimento all'assoluto e all'eternità, in quanto non ci saranno più. Vivremo la pace e nel riposo eterno.

Perciò, con la convinzione più profonda della nostra fede, possiamo pregare il Signore con queste semplici ed umili parole di speranza e piena fiducia in Lui: ?O Dio, che vegli sulle sorti del tuo popolo, accresci in noi la fede che quanti dormono nella polvere si risveglieranno; donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio, che verrà per riunire tutti gli eletti nel suo regno?. E con il Salmista, possiamo giustamente elevare la mente e il cuore oltre i confini del tempo e del contingente, per collocarci, concettualmente e moralmente su piani più elevati di sapienza che discende dal cielo: ?Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra?.

Possa ognuno di noi avere chiara in se stesso questa prospettiva, che la vera e piena felicità non sta in terra, ma sta in cielo, anche se in terra costruiamo la nostra felicità celeste. Lavoriamo seriamente per questo progetto di salvezza che avrà pieno compimento in cielo.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Il Signore è vicino: vitale e nuovo come la primavera

L'universo è fragile nella sua grande bellezza: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna si spegnerà, le stelle cadranno dal cielo... Eppure non è questa l'ultima verità delle parole di Gesù: se ogni giorno c'è un mondo che muore, ogni giorno c'è anche un mondo che nasce, un germoglio che spunta, foglioline di fico che annunciano l'estate.

Quante volte si è spento il sole, le stelle sono cadute a grappoli dal nostro cielo, lasciandoci vuoti, poveri, senza sogni: una disgrazia, una delusione, la morte di una persona cara, una sconfitta nell'amore. Fu necessario ripartire, un'infinita pazienza di ricominciare, guardare oltre l'inverno, all'estate che inizia con il quasi niente, una gemma su un ramo, guardare «alla speranza che viene a noi vestita di stracci perché le confezioniamo un abito da festa» (P. Ricoeur).

Gesù non ama la paura (la sua umanissima pedagogia è semplice: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura), vuole raccontare non la fine ma il fine della storia: Dio è vicino, è qui; bello, vitale e nuovo come la primavera del cosmo.

Dalla pianta di fico imparate: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Gesù ci porta alla scuola delle piante, del fico, del germoglio, perché le leggi dello spirito e le leggi profonde della creazione coincidono. Così un albero e le sue gemme diventano personaggi di una rivelazione. «Ogni essere vivente, ogni cosa, perfino il granello di polvere è un messaggio di Dio» (Laudato si').

Imparate dalla sapienza degli alberi: quando il ramo si fa tenero, l'intenerirsi del ramo lo puoi percepire toccando; l'ammorbidirsi per la linfa' che riprende a gonfiare i suoi piccoli canali non è all'occhio che si rivela, ma al tatto: vai vicino, tocca con mano. I sensi sono il nostro radar per addentrarci nella sapienza del mondo. Toccate. Guardate. Anzi: contemplate.E spuntano le foglie: piccole gemme che l'albero spinge fuori, che erompono al sole e all'aria, come un minimo parto, da dentro a fuori. Voi capite che l'estate è vicina. In realtà le gemme indicano la primavera, che però in Palestina è brevissima, pochi giorni ed è subito estate. Così anche voi sappiate che egli è vicino, alle porte. Da una gemma di fico imparate il futuro del mondo: «che non compiuto così com'è, ma è qualcosa che deve svilupparsi ancora oltre, e che deve essere inteso più in profondità. Il mondo è una realtà germinante» (R. Guardini), incamminata verso una pienezza profumata di frutti.

Da una gemma imparate il futuro di Dio: che sta alla porta, e bussa; viene non come un dito puntato, ma come un abbraccio; non portando un'accusa ma un germogliare di vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Oltre la paura della morte

"Caro amico, giunga a te e a chi sta al tuo capezzale questa Parola oscura e al contempo capace di evocare la luce, allarmante eppure protesa a una presenza che deve venire sulle nubi che si addensano sulla vicenda umana". Davvero la vita, nel suo volgere al termine, a volte assomiglia ad una catastrofe dal sapore apocalittico come quella descritta da Gesù, in cui «il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce», ossia anche ciò che è certo e che scandisce il tempo non riesce più a fungere da riferimento perché ci si incammina inesorabilmente verso una dimensione che non conosce più il tempo.

Il passaggio verso l’ignoto genera paura, ma il Signore non ci lascia nell’angoscia, perché chi ha occhi e sa attendere vedrà «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi». Siamo al cuore della fede cristiana, che è chiamata a vedere la vita quando tutto intorno a te e dentro di te parla di morte. Un tale paradosso è reso più oscuro dal fatto che la promessa evangelica è riferita ad una vita che ancora non si conosce, anche se Gesù l’ha anticipata e testimoniata. Allora esiste solo questa via, che è Cristo e la fiducia in Lui, per non cadere nella disperazione e lasciarsi guidare dalle sue parole che «non passeranno». L’abbandono totale alla Parola del maestro è l’unica possibilità data all’uomo per non rimanere succube del terrore della morte e saper cogliere ‘la fine’ come l’inizio ‘del fine’ ultimo della creatura, ossia la comunione eterna col Crocifisso-Risorto che vince la morte. Affinché questo annuncio di vita non rimanga un’illusione, Gesù invita a guardare non lontano da noi, perché dentro un semplice fico che produce le foglie è contenuta l’indicazione dell’estate, di un oltre non ancora realizzato ma già promesso. «Solo chi ama la terra, questa terra, può credere la nuova terra della promessa. Gesù chiede all’uomo di mettersi alla scuola dell’albero del fico perché la fedeltà alla terra è la condizione per credere e attendere la venuta gloriosa del Signore» (Luciano Manicardi). Ecco perché non si va al cielo senza l’amore su questa terra. La conclusione della nostra vita terrena, come pure la persecuzione, soprattutto quella in nome della fede, è per ciascuno proprio l’opportunità di consegnarsi con amore a Colui che sceglie di manifestarsi nelle pieghe più dolorose dell’esistenza, là dove nessun altro potrebbe entrare, se non inopportunamente e senza un respiro di cielo.

‘Non ti preoccupare, andrà tutto bene!’. Spesso ce lo sentiamo ripetere, però quante volte ci crediamo davvero? Di certo non quando questa parola ci viene da chi nella vita ancora non ha sperimentato la sofferenza: può dirci tutte le parole belle di questo mondo, ma niente verrà preso in considerazione da noi. Abbiamo bisogno di un cuore che capisca fino in fondo perché ha sperimentato; allora le sue parole non saranno soltanto rassicuranti, ma ci daranno il coraggio di andare avanti. Gesù non è uno qualunque e quando pensiamo a Lui e alle sue parole, non possiamo dirgli ‘ma Tu che ne sai’, perché Egli non si è risparmiato nulla dell’umano, neanche la sofferenza più atroce. Cristo non ci chiude dentro una campana di vetro per evitarci le sofferenze e proteggerci dal male. Sa bene, infatti, che la vita è anche questo e risparmiarcelo significherebbe impedirci di vivere. Tuttavia le lacrime che riempiono i nostri occhi ci appannano spesso la vista e il risultato è che continuiamo a vedere solo ciò che ci fa soffrire. Il Signore invece fa sbirciare dietro il velo di tutta la storia, ci fa intravedere il gran finale, invitandoci ad asciugare quelle lacrime perché ci rivela che l’ultima parola non spetta al male, ma è del bene. Anche in mezzo alle tribolazioni e agli sconvolgimenti della nostra vita, quando tutto sembra perduto, possiamo rimetterci in piedi, continuare a gioire facendo memoria della sua Parola. È su di essa che dobbiamo poggiare la nostra vita, perché è l’unica che rimane quando tutto intorno crolla. Attenzione dunque su cosa costruiamo la nostra vita: solo la sua Parola ha il potere di realizzare ciò che dice.

"Coraggio, caro amico, non è importante il giorno e l’ora. Soltanto il Padre lo sa, perché il regalo dell’eternità è il dono più bello fra i tanti che hai ricevuto nella vita, e i regali sono l’unica cosa che dobbiamo ricevere senza rovinarci lo stupore di una sorpresa più grande della nostra nascita. Lì sono stati i genitori e i familiari ad accoglierti; adesso saranno gli angeli e i santi, e prenderai dimora non su una culla costruita da mani d’uomo, ma nel seno della Trinità". 

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXIII Domenica del T.O. (Anno B) 18 novembre 2018

tratto da www.lachiesa.it