14 ottobre 2018 - XXVIII Domenica del T. O.: la benedizione di una "mancanza"
News del 13/10/2018 Torna all'elenco delle news
La domanda, anche per uno come Cristo, dev'essere parsa inaudita, forse devastante: «Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» A porgliela, in pieno sinodo dei giovani, è un giovane di quelli nati con la camicia: ricco, basta a se stesso, pensa di bastare a se stesso. Poi, un giorno, avverte l'urto di una domanda, il suo cuore, scriverebbe Jannacci, si fa urgente. E nulla è più tragico di non riuscire a trovare risposta quando la domanda si fa urgente, incalzante, impellente. La felicità, ch'è traduzione laica della vita eterna, è la nostra sperata eredità: «Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo» scrisse Goethe. Fosse stata questione d'osservanza, a quel giovane la felicità sarebbe stata dovuta: «Tutte queste cose (i comandamenti) le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Un tipetto così è il sogno di ogni catechista, in parrocchia gli varrebbe il cavalierato di capo-animatori, è l'osservanza fatta carne. I comandamenti, però, sono il sei-meno-meno della vita cristiana: non basta dire d'averli osservati per essere felici. Per sognare d'aver fatto felice il Cielo: Dio, il vero Dio, non s'accontenterà mai dei compiti per casa. Tanto più che le tavole di quella Legge vennero scritte in un contesto d'amicizia, col sorriso sulle labbra e non col ghigno fosco di una certa spiritualità. I comandamenti c'insegnano l'arte dell'amicizia con Dio, altro che regole. Se vissuti come regole, il cristianesimo è la più frustrante delle dittature: se vissuti come segreto d'amicizia, è il cuore del più rocambolesco degli inizi: quella della mia storia d'amore con Lui. Con Dio.
Quel giovane - nessun capello fuori posto, pantaloni con la piega, camicia stirata - si lamenta. Non è soddisfatto, vuole essere rimborsato: ?A cosa è valsa tutta la mia osservanza? Avevate detto che bastava osservare i comandamenti per essere felici. Bugiardi! Sento un vuoto dentro: adesso chi me lo colma?? La diagnosi è da batticuore. Gli vale la più alta quotazione di credito, lo sguardo del Maestro: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò». Dio gioca d'anticipo: decide d'amarlo ancor prima di sapere se lui Gli andrà dietro o s'allontanerà. Nel cuore di quel giovane splende un vuoto, una mancanza. Cristo, a quella mancanza, gli insegna a dare un nome: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» s'interroga il poeta Mario Luzi. ?Vuoto a rendere? leggo scritto in certi contenitori di bottiglie di vetro. E' Vangelo: ?Portatemi i vostri vuoti e v'insegnerò a darci un nome? dice Cristo. Non dice ?li riempirò?: i vuoti fanno spavento solo a chi li vuol riempire a tutti i costi. All'inizio il vuoto sembra essere una maledizione, ma è una benedizione: è il trono nel quale potrebbe andarsi a sedere il Dio che, a tentoni, abbiamo cercato tra mille pieni. La felicità che ci ha stregati, anche stremati, con la sua perpetua mancanza. «Va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». La diagnosi di Cristo è infallibile, ha mira di cecchino: ?I compiti per casa sono ottimi, ragazzo. Il fatto-serio è chiedersi per chi hai fatto tutto quello che hai fatto?. Eccolo Cristo: per chi ha mira, basta un colpo solo e si va a bersaglio. Quel vuoto non si sazia con nessun alimento, si può solo soffocare con falsi-d'autore. Il nome di quella mancanza è l'Uomo che Gli sta dinanzi: «C'è un vuoto a forma di Dio nel cuore di ogni persona - scrive commosso il genio di B. Pascal - e non può mai essere riempito da nessuna cosa». Vivere è avvertire questo vuoto, fare in modo che rimanga tale, accettare che Dio se ne serva per insegnarci come si chiama quella mancanza che, tormentandoci, ci rende vivi. Rende possibile l'urto di Dio.
Chiese, ottenne risposta, rifiutò l'offerta. Sgattaiolò «rattristato. Possedeva infatti molte ricchezze». Il miracolo, stavolta, non avvenne: la sequela rimarrà il miracolo più ardito da lasciare che accada. Esiste una cosa ben più triste di non aver avuto un'occasione: averla avuta, non averla afferrata. Non c'indurre nella tentazione: di riempire il vuoto senza saper prima qual è il suo vero nome.
Omelia di don Marco Pozza
Beati gli insoddisfatti, se diventano cercatori di tesori
Gesù uscito sulla strada, e vuol dire: Gesù libero maestro, aperto a tutti gli incontri, a chiunque incroci il suo cammino o lo attenda alla svolta del sentiero. Maestro che insegna l'arte dell'incontro.
Ed ecco un tale, uno senza nome, gli corre incontro: come uno che ha fretta, fretta di vivere. Come faccio per ricevere la vita eterna? Termine che non indica la vita senza fine, ma la vita stessa dell'Eterno. Gesù risponde elencando cinque comandamenti e un precetto (non frodare) che non riguardano Dio, ma le persone; non come hai creduto, ma come hai amato. Questi trasmettono vita, la vita di Dio che è amore.
Maestro, però tutto questo io l'ho già fatto, da sempre. E non mi ha riempito la vita. Vive quella beatitudine dimenticata e generativa che dice: ?Beati gli insoddisfatti, perché diventeranno cercatori di tesori?.
Ora fa anche una esperienza da brivido, sente su di sé lo sguardo di Gesù, incrocia i suoi occhi amanti, può naufragarvi dentro: Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò. E se io dovessi continuare il racconto direi: adesso gli va dietro, adesso subisce l'incantamento del Signore, non resiste a quegli occhi... Invece la conclusione del racconto va nella direzione che non ti aspetti: Una cosa ti manca, va', vendi, dona ai poveri... Sarai felice se farai felice qualcuno; fai felici altri se vuoi essere felice.
E poi segui me: capovolgere la vita. Le bilance della felicità pesano sui loro piatti la valuta più pregiata dell'esistenza, che sta nel dare e nel ricevere amore. Il maestro buono non ha come obiettivo inculcare la povertà in quell'uomo ricco e senza nome, ma riempire la sua vita di volti e di nomi.
E se ne andò triste perché aveva molti beni.
Nel Vangelo molti altri ricchi si sono incontrati con Gesù: Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. Che cosa hanno di diverso questi ricchi che Gesù amava, sui quali con il suo gruppo si appoggiava? Hanno saputo creare comunione: Zaccheo e Levi riempiono le loro case di commensali; Susanna e Giovanna assistono i dodici con i loro beni (Luca 8,3). Le regole del Vangelo sul denaro si possono ridurre a due soltanto: a) non accumulare, b) quello che hai, ce l'hai per condividerlo. Non porre la tua sicurezza nell'accumulo, ma nella condivisione.
Seguire Cristo non è un discorso di sacrifici, ma di moltiplicazione: lasciare tutto ma per avere tutto. Infatti il Vangelo continua: Pietro allora prese a dirgli: Signore, ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa avremo in cambio? Avrai in cambio cento volte tanto, avrai cento fratelli e un cuore moltiplicato. Non rinuncia, se non della zavorra che impedisce il volo, il Vangelo è addizione di vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Il rischio della libertà
Perché Marco racconta un incontro fallimentare tra Gesù e un tale che a Lui si avvicina? Forse perché viene semplicemente fotografato un possibile esito della relazione con Cristo che, avendo una componente pienamente umana, non si sottrae al rischio della libertà. È un atto di libertà che all’inizio l’evangelista descrive, come si deduce dal luogo in cui si svolge la scena, ossia la strada, che richiama ad un senso di apertura senza soluzioni predeterminate.
Sembrerebbe che la libertà di questo viandante sia spontaneamente consegnata a Gesù, poiché egli si getta in ginocchio dinanzi al maestro, mosso da un bisogno di verità riguardo alla propria vita. È ammirevole che un uomo cerchi il senso profondo dell’esistenza, la pienezza del proprio essere, pur pensando di dover partire da un personale ‘fare’. L’uomo difatti non può rimanere inerte e per sua natura deve sentirsi artefice dei propri sogni: poter fare ciò che piace è probabilmente una delle esperienze che più realizzano l’individuo. Tuttavia ci sono delle cose che si ricevono e basta, soprattutto quando si ‘ereditano’. L’eredità è prerogativa dei figli e un figlio è chiamato non ad inventare la vita, ma a custodirla ed accrescerla. Gesù subito orienta il desiderio di «vita eterna» del suo interlocutore al rapporto con Dio, cui solo spetta l’attribuzione della bontà. Il maestro cita i comandamenti, che «si configurano come punti di riferimento essenziali per stare nell’amore» (Gualtiero Sigismondi). Stranamente sono menzionati solo i comandamenti verso il prossimo, che però inverano il rapporto con Dio e permettono all’uomo di uscire da se stesso e da una religiosità autoreferenziale, con al vertice l’onore dovuto ai genitori, evocatore della relazione con Dio. La risposta del pellegrino suona come una dichiarazione della propria giustizia, perché «tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Ma è sufficiente frequentare abitualmente un ambiente, conoscere da sempre una persona per affermare di poterne cogliere il mistero? Nello sguardo d’amore di Gesù sta la risposta. È come se Cristo chiedesse: ‘Da cosa è animato il tuo seguire il Signore? Ci stai mettendo il cuore in quello che fai?’. «Una cosa sola ti manca»: se non si parte dalla percezione della propria manchevolezza dinanzi a Dio, non si progredirà mai nella sequela. Gesù dunque lo invita ad un cammino più radicale e liberante, poiché sa bene che in esso sta il segreto di una vita riuscita. Le due coppie di imperativi («va’, vendi… vieni! Seguimi!») indicano il movimento del discepolo, chiamato anzitutto al distacco dai propri beni. E questo perché l’attaccamento a ciò che si possiede non consente di aprirsi al fratello e alle cose di Dio, che richiedono la libertà del cuore, il rischio dell’amore senza che si faccia affidamento su altro. Se questo previo allontanamento non si compie, non sarà possibile avvicinarsi alla novità che il vangelo intende donare al discepolo, permettendogli una vicinanza al cuore di Cristo mai sperimentata prima. E inevitabilmente l’uomo se ne va triste, non avendo avuto il coraggio di accettare quel momentaneo vuoto che solo Gesù avrebbe riempito, preferendo colmarlo con ciò che già gli era noto, anche sul piano religioso.
Il maestro fa di questo episodio fallimentare una occasione per ricompaginare i suoi attorno alle esigenze del regno che, essendo la vera ricchezza dell’uomo, non tollera altre ricchezze. La difficoltà che i discepoli colgono e che Gesù non nasconde per entrare nella vita eterna, rivela una più grande verità: «non c’è modo di salvarsi, ma c’è modo di essere salvati» (Bruno Maggioni); ciò che è «impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Se lasciare tutto fa paura, la promessa di Dio è la certezza che si riceverà cento volte tanto. Seguire il Signore significa aprirsi a relazioni nuove perché caratterizzate dalla libertà del dono che si moltiplica. È suggestivo osservare la successione della disgiuntiva ‘o’ riguardo alla rinuncia, volendo sottolineare che per il discepolo la perdita è una, cui prende il posto la successione della congiunzione ‘e’, che sottolinea la molteplicità di acquisizioni del seguace di Cristo. Nella sua trasparenza, Gesù non nega le persecuzioni, che provano la libertà dell’uomo e ti danno l’opportunità di ribadire il primato di Dio nella vita, ma assicura la vita eterna. Lo sguardo che penetra il discepolo costituisce un invito ad alzare il proprio sguardo perché ciò che verrà è molto più grande di ciò che si è lasciato alle spalle. A noi la responsabilità della scelta.
Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
Liturgia e Liturgia della Parola della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
14 ottobre 2018
tratto da www.lachiesa.it