2 settembre 2018 - XXII Domenica del T.O.: I peccati gravi di un cuore turbato dal male
News del 01/09/2018 Torna all'elenco delle news
Questa ventiduesima domenica del tempo ordinario ci propone nuovamente il Vangelo di Marco, dopo la parentesi del discorso sul pane della vita, che ci ha accompagnato in queste ultime domeniche e che abbiamo ascoltato, ricavato dal vangelo di Giovanni.
E proprio partendo dal testo del vangelo che vogliamo sviluppare la nostra riflessione sulla parola di Dio di questa domenica iniziale del mese di settembre, dopo la parentesi estiva e le vacanze ormai finite per la maggior parte dei lavoratori. Il brano di san Marco ci dà quasi dei parametri essenziali per vivere da cristiani in modo coerente e confacente a quanto professiamo con la bocca.
Il testo, infatti, fa appello ad una profonda revisione della nostra vita alla luce dell'autenticità e dell'interiorità che porta al bene e non al male, in quanto dal discorso di Gesù sul tema del puro e dell'impuro della religione israelitica deve scaturire un modo nuovo di vivere religiosamente, come cristiani, superando formalismi, esteriorità, leggi, consuetudini, tradizioni ed altro, Cose che fanno vedere la religione cristiana solo come un apparato esteriore.
Gesù ci ricorda che «Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». Rivolgendosi agli Apostoli sottolineava ciò che davvero rende impuro e indegno una persona: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza?.
Conteggiando con esattezza ciò che non va nella vita di un credente, sono 12 i gravi peccati del cuore umano, votato al male, che vanno estirparti per sempre.
Gesù arriva a questa denuncia della corruzione del cuore umano, dopo un discorso sulla questione delle usanze, abitudini degli ebrei, consistenti in tanti accorgimenti igienici, che non sono recepiti dai discepoli di Gesù.
I Giudei, si sa, non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti.
Queste usanze igieniche, per molti versi anche importanti per la salute, fanno scattare la valutazione del comportamento degli apostoli da parte dei Giudei, i quali considerano, per questo motivo, impuri i discepoli di Gesù perché non fanno le abluzioni previste.
Questa contestazione a Gesù e ai discepoli, fu occasione per il saggio Maestro di far riflettere sul vero concetto della purezza, della vera religione e della vera moralità.
Gesù risponde a tono con queste dure parole: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: ?Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini?. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Gesù cerca di far chiarezza nel loro modo di pensare e di agire, per nulla autentico da un punto di vista religioso.
Quando il cuore dell'uomo è lontano da Dio, ogni parola, azione e comportamento esteriormente perfetto non ha nessuno valore. E' solo una sceneggiata e un teatro per una perfetta rappresentazione di ciò che conta davanti agli occhi, ma non conta dentro il proprio essere.
Gesù chiede una risposta d'amore ed un'osservanza della legge di Dio, sentita e vissuta non come un peso, ma come una liberazione.
Infatti, già nella prima lettura di questa domenica, tratta dal Libro del Deuteronomio, si ritorna a parlare della legge divina rivelata a Mosè e che Israele aveva accettata e fatta propria.
La legge di Dio non ammette compromessi, ripensamenti o scivolamenti verso il basso. Mosè lo dice con estrema precisione in termini giuridici: ?Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: ?Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente?.
La legge di Dio rende vicino Dio all'uomo. Sono le leggi umane che allontano l'uomo da Dio, in quanto la legge divina porta al bene delle persone e dell'umanità, le leggi umane sono, molte volte, in contrasto con la legge divina. Basta riflettere sui dieci comandamenti e rendersi conto di come si pratica la legge mosaica anche nell'oggi dei cristiani e del mondo che si professa appartenente a questo credo.
San Giacomo nel brano della sua lettera che oggi ascoltiamo cerca di indicarci la strada più giusta per vivere una religione vera e autentica.
Lo dice alla fine di questo brevissimo, ma intenso e carico di significati, in questo passaggio: ?Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo?.
La vera religione e la vera pratica religiosa si fonda sull'amore e sulla carità e si esprime nella giustizia e nella carità, nell'attenzione verso gli altri, nel soccorrere ed aiutare. Ecco perché ci ammonisce con queste parole: ?Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi?.
Ma l'apostolo della sensibilità umana e sociale ci ricorda pure che ?ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce?. Quindi nessun merito personale o orgoglio per quello che abbiamo ricevuto in dono, ma tutto sia un atto di riconoscenza e gratitudine a Dio, in quanto ?per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature?.
Sia questa la nostra umile preghiera nel giorno di festa che rivolgiamo al Creatore: ?Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, e fa' che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Il cuore di pietra, la malattia meno diagnosticata
Gesù, eri sicuro di trovarlo sui problemi di frontiera dell'uomo, in ascolto del grido della terra, all'incontro con gli ultimi, attraversando con loro i territori delle lacrime e della malattia: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56). Da qui veniva Gesù, portava negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, l'esultanza incontenibile dei guariti, e ora farisei e scribi vorrebbero rinchiuderlo dentro piccolezze come mani lavate o no, questioni di stoviglie e di oggetti!
Si capisce come la replica di Gesù sia dura: ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall'uomo. Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal cuore lontano e assente, nutrita di pratiche esteriori, di formule e riti; che si compiace dell'incenso, della musica, degli ori delle liturgie, ma non sa soccorrere gli orfani e le vedove (Giacomo 1,27, II lettura).
Il cuore di pietra, il cuore lontano insensibile all'uomo, è la malattia che il Signore più teme e combatte. «Il vero peccato per Gesù è innanzitutto il rifiuto di partecipare al dolore dell'altro» (J. B. Metz).
Quello che lui propone è il ritorno al cuore, una religione dell'interiorità: Non c'è nulla fuori dall'uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell'uomo...
Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l'impuro, quei pregiudizi così duri a morire. Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell'uomo e della donna. Come è scritto Dio vide e tutto era cosa buona. Ogni cosa è illuminata.
Gesù benedice di nuovo la vita, benedice il corpo e la sessualità, che noi associamo subito all'idea di purezza e impurità, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle.
Il messaggio festoso di Gesù, così attuale, è che il mondo è buono, che le cose tutte sono buone, «piene di parole d'amore» (Laudato si'). Che devi custodire con ogni cura il tuo cuore perché a sua volta sia custode della luce delle cose.
Via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ciò che è cascame culturale, che lui chiama «tradizione di uomini». Libero e nuovo ritorni il Vangelo, liberante e rinnovatore. Che respiro di libertà con Gesù! Apri il Vangelo ed è come una boccata d'aria fresca dentro l'afa pesante dei soliti, ovvii discorsi. Scorri il Vangelo e ti sfiora il tocco di una perenne freschezza, un vento creatore che ti rigenera, perché sei arrivato, sei ritornato al cuore felice della vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Dio non è assente dove è presente il cuore
«Dio non è presente dove è assente il cuore» (Ermes Ronchi). Davvero il Dio che può tutto, che non rifiuta di sentire nella propria carne tutta la fatica, il dolore e la mortalità della condizione umana, che sappiamo essere presente in cielo, in terra e in ogni luogo, è assente dove manca il cuore? Esiste qualsiasi esperienza da cui l’uomo ha il potere di escludere Dio, di metterlo alla porta? Mi piacerebbe pensare di no, ma forse dovrei dire di sì.
Io ho il potere di chiudere la bocca a Dio e ai suoi profeti; ho il potere di deturpare il volto dell’amore, fino a soffocarlo fuori e dentro di me. Non ho però il potere di spegnere l’amore e la luce anche del più piccolo frammento di umanità che decida di dare ancora una volta fiducia alla vita. E per credere nella forza della vita quando tutto parla di morte, non si può fare altro che ripartire dal cuore. Ecco perché vorrei ribaltare la citazione precedente, dicendo: ‘Dio non è assente dove è presente il cuore’, dove persiste anche un flebile battito che canta la passione per la vita. Dunque possiamo domandarci: ci metto il cuore nelle cose che dico e faccio? Quanto cuore c’è nel mio modo di vivere le relazioni, da quelle più banali a quelle che mi condizionano tutta quanta la vita?
L’interrogativo che scribi e farisei rivolgono a Gesù sul comportamento dei discepoli che non si attengono alle più rigide tradizioni e «prendono cibo con mani impure», obbedisce alla logica di un dire e fare senza che il cuore sia coinvolto. Perché mai mangiare senza aver adempiuto a una serie interminabile di riti di purificazione potrebbe rendere indegno l’uomo davanti a Dio? Il problema posto dai contestatori di Gesù tocca il cuore di ogni religione, che deve collocarsi nel panorama universale come religione dei riti o religione del cuore. Chiaramente entrambi gli aspetti sono presenti in ogni manifestazione cultuale, ma l’accento posto sull’una o sull’altra dimensione determina una differenza radicale. Scribi e farisei si erano ormai appiattiti su una religione fatta di norme rituali asfissianti, la cui trasgressione incuteva il timore di non essere graditi a Dio. Gesù propone una fede che tenga sempre in contatto l’interiorità con l’esteriorità; non concepisce un corpo senz’anima, come pure un’anima senza corpo. Egli, che unisce insieme la natura divina con quella umana, ci ha insegnato che a Dio è gradita la comunione, non la separazione. Il problema è che ci sono cose che oggettivamente è difficile tenere unite. Come faccio a conciliare due desideri contrastanti, due cose che si oppongono a vicenda? Si possono amare due persone allo stesso modo? Forse qualcuno penserà di sì, ma non sarà mai accettato da chiunque sappia di dover dividere l’amore dell’amato con un’altra persona. Dio è armonia, non ama gli ibridi, cosicché Egli favorisce la complementarietà tra quei diversi che hanno in sé la potenzialità di integrarsi dando vita a una novità, a una bellezza che lascia pochi dubbi. Come certe coppie sposate da 50 anni che si amano come il primo giorno, o certe amicizie che non conoscono l’usura del tempo. Ora, la più grande integrazione che il Signore favorisce e ci invita a compiere è proprio quella tra i sentimenti che abitano dentro di noi e le scelte concrete che operiamo. Non si è usato a caso il termine ‘sentimenti’, ben sapendo che si tratta della realtà più complessa e ambigua che muova il comportamento umano. Eppure dobbiamo partire da questi e saperli tradurre in scelte chiare e riconoscibili. Da soli non è possibile, perché il rischio di sacrificare cuore o testa, cuore o comportamenti, è elevatissimo. Ecco perché Gesù ci offre indicazioni per un cammino di libertà nella verità. Non allontanare il cuore dal Signore e sapere che da esso «escono i propositi di male» è la via per non vivere una schizofrenia tra interno ed esterno. Se tu sai che quasi naturalmente sei tentato dal male, vigilerai sul tuo cuore. Si tratta di accettare la sfida di una vita che, nonostante tenda al bene, è insidiata dal male. Forse il male più grande è pretendere che la possibilità del male stesso non ci sia, per cui il suo apparire all’orizzonte determina alternativamente scoraggiamento o attrazione. Tuttavia conosciamo il pericolo ma anche il rimedio: Gesù ce l’ha detto! La purezza davanti a Dio è un dono che viene fatto al cuore che desidera essere purificato e non ha paura di guardare in faccia il male, come ha fatto Cristo. Il male non va sfidato, ma riconosciuto e affrontato con le armi evangeliche che di volta in volta lo Spirito ci fornirà.
Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
Liturgia e Liturgia della Parola della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 2 settembre 2018
tratta da www.lachiesa.it