19 agosto 2018 - XX Domenica del T.O.: Eucaristia, Il vero cibo che ci radica in Cristo
News del 18/08/2018 Torna all'elenco delle news
Anche nei brani biblici della XX domenica del tempo ordinario ritorna il tema del pane della vita, che è nostro Signore Gesù Cristo, di cui sentiamo parlare da alcune domeniche, leggendo il capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. Gesù cerca in tutti i modi di far capire a quanti lo seguono che è Lui l'atteso messia il salvatore, colui che è venuto a portare la salvezza agli. Il discorso sul pane della vita che porta avanti Gesù è finalizzato proprio a creare quello stretto rapporto spirituale tra i suoi discepoli e il maestro, perché ripetutamente afferma: ?Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me?. Un pane che alimenta la comunione spirituale con Cristo, ma prepara anche al banchetto eterno. Infatti, Gesù afferma con estrema precisione teologica che ?chi mangia questo pane vivrà in eterno?. In poche parole, la santissima eucaristia ci prepara quotidianamente l'eternità. Alimenta quella prospettiva di vita oltre la vita che può venire meno in Colui che non crede e non si alimenta di questo pane di vita eterna. Ascoltiamo oggi queste parole che sono da decifratore per comprendere meglio il senso della comunione eucaristica per quanti sono cattolici e svolgono una normale vita di fede e una pratica religiosa costante: ?Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo?. Un pane quindi che alimenta i singoli e da una dimensione esistenziale nuova al mondo, che riscopre così la bellezza della vita. Certamente in tanti cristiani e credenti nasce lo stesso dubbio dei Giudei: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Lo si capirà alla luce della passione e morte in croce. Gesù diventa pane spezzato e sangue versato per la nostra salvezza. Il suo essere cibo per noi è la Passione e la Croce, ma anche la risurrezione. L'eucaristia non è altro che il memoriale, la riattualizzazione, in modo incruento, del mistero della nostra salvezza. Comprende questo, per un cristiano significa desiderare profondamente questa comunione con un Dio amore, un Dio che si fa dono, si spezza per noi e versa fino all'ultima goccia del suo sangue per redimerci dai nostri peccati.
L'eucaristia ci aiuta in quel discernimento spirituale che ci porta a prendere coscienza dei nostri limiti e del lavoro che dobbiamo fare per riprendere il cammino della nostra santificazione personale. San Paolo apostolo nella sua lettera agli Efesìni ci rammenta il lavoro che dobbiamo fare a livello spirituale e morale, per non incorrere in comportamenti antitetici con l'essere credenti. Dice, infatti, di fare ?molta attenzione al nostro modo di vivere, comportandoci non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi?. Quante volte diciamo anche noi le stesse cose, che il tempo di oggi è difficile e in esso si fa fatica a sopravvivere nel modo corretto ed onesto. Perciò ci raccomanda di non essere sconsiderati, ma saper comprendere qual è la volontà del Signore?.
Poi ci suggerisce una serie di comportamenti quotidiani che possono aiutare per un approccio più cosciente e consapevole alla pratica religiosa e al modo di vivere la propria fede. Viene evidenziato di non ubriacarsi di vino e di altre sostanze che alternano l'equilibrio neurologico delle persone, perché l'alcool ed oggi anche la droga e quanto altro di allucinogeno, alterano la coscienza, facendo perdere il controllo di sé. Di che cosa bisogna ubriacarsi allora?
L' Apostolo lo dice con estrema chiarezza espositiva: ?siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo?. Ubriacarsi di preghiere e di lodi continue a Dio. manifestando questa gioia di vivere con ?salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore?.
Tutto questo è possibile realizzarlo chiedendo al Signore quella sapienza che viene dal cielo, di cui si parla nella prima lettura di oggi, tratta dal libro dei Proverbi. Questa sapienza ?si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola?. Inoltre, ?ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: «Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno ella dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato?. E poi il cambiamento radicale che produce in base alla risposta che si dà a questo genere di sapienza divina: ?Abbandonate l'inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza».
Sta tutto qui il cammino quotidiano di ogni cristiano che vuole vivere in coerenza con la sua fede. Si tratta di comprendere qual è la strada giusta che porta alla vita e qual è la strada sbagliata che porta alla perdizione. Gesù la sua strada la indica nella sua persona, nell'accoglienza del sua parola, nel vivere in perfetta comunione con Lui, pace disceso dal cielo per la salvezza dell'uomo.
Sia questa la nostra umile preghiera in questo giorno di festa: O Dio della vita, che in questo giorno santo ci fai tuoi amici e commensali, guarda la tua Chiesa che canta nel tempo la beata speranza della risurrezione finale, e donaci la certezza di partecipare al festoso banchetto del tuo regno. Amen
Omelia di padre Antonio Rungi
La vita eterna è già qui, nella carne e nel sangue di Gesù
Un Vangelo di soli otto versetti, e Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell'acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. Per otto volte, Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è solo sopravvivere. È l'incalzante certezza da parte di Gesù di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita.
Chi mangia la mia carne ha la vita eterna. Con il verbo al presente: ?ha?, non ?avrà?. La vita eterna è una vita libera e autentica, giusta, che si rialza e non si arrende, che fa cose che meritano di non morire. Una vita come quella di Gesù, capace di amare come nessuno. Sangue e carne è parola che indica la piena umanità di Gesù, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, i piedi intrisi di nardo e la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E qui c'è una sorpresa, una cosa imprevedibile. Gesù non dice: prendete su di voi la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me. Dice, invece: prendete la mia umanità, il mio modo di abitare la terra e di vivere le relazioni come lievito delle vostre. Nutritevi del mio modo di essere umano, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre si nutre del suo sangue.
Gesù non sta parlando del sacramento dell'Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza: mangiate e bevete ogni goccia e ogni fibra di me. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui. Si è fatto uomo per questo, perché l'uomo si faccia come Dio. Allora mangiare e bere Cristo significa prenderlo come misura, lievito, energia. Non ?andare a fare la Comunione? ma ?farci noi sacramento di comunione?. Allora il movimento fondamentale non è il nostro andare fino a lui, è invece Lui che viene fino a noi. Lui in cammino, Lui che percorre i cieli, Lui felice di vedermi arrivare, che mi dice: sono contento che tu sia qui. Io posso solo accoglierlo stupito. Prima che io dica: ?ho fame?, ha detto: ?Prendete e mangiate?, mi ha cercato, mi ha atteso e si dona.
Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d'amore: "io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".
Omelia di padre Ermes Ronchi
Se cerchi tuo padre, accetta il cibo del figlio
Una ragazza mi scrive: «Voglio mio padre; non ce la faccio più!». Io provo a risponderle: «Cerca di pensarlo felice in Paradiso, che ti guarda con tenerezza e vuole vedere anche te felice». E lei: «Ma io lo voglio qua a casa. Si sente troppo la sua mancanza. Dentro casa ci deve essere mio padre. Sarò felice solo se lui torna qua a casa perché io non accetterò mai una cosa di questo genere».
Mi colpiscono due cose. La rapida successione di frasi lapidarie, che sembra non lasciare spazio ad un esito diverso dal ritorno in carne e ossa di questo padre amato, la cui mancanza provoca una struggente nostalgia. Noto anche la ripetizione del termine “casa”, perché è soprattutto quello il luogo in cui l’amore del padre si comunica fino a diventare cibo dell’anima.
Questa ragazza ha bisogno di nutrirsi di suo padre, è consapevole che ogni altro alimento è solo un surrogato, e non trova pace perché sa bene che il suo desiderio non si realizzerà. Vorrei essere capace di argomentare come Gesù, che propone una verità più alta e lo fa pur sapendo di muoversi su un piano totalmente diverso da quello dei suoi interlocutori. Nonostante ciò, Egli spiega passo passo questa verità: prima l’enunciazione della sua identità («Io sono il pane vivo, disceso dal cielo»); poi il frutto della adesione a Lui («se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»); infine l’estensione universale del dono («il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»).
Non è soltanto un procedere logico che vuole abilmente convincere, ma è il darsi della vita di Cristo all’uomo attraverso il sacramento del suo corpo; parole da far risuonare e cibo da masticare, perché un bambino, senza qualcuno che gli parli e gli dia da mangiare, muore. Anche a me piacerebbe comunicare alla mia interlocutrice quella promessa di vita che Gesù assicura e che posso almeno intuire, ma non so che cosa produrrà. Eppure Gesù non fa altro che ribadire il medesimo concetto: mangiare e bere di Lui per vivere. “Mangia, amica mia; bevi, sorella! Forse all’inizio sarà un pane amaro e un vino non inebriante; carne che sanguina come il tuo cuore di figlia lacerato dal dolore. Ma poi, chissà, se mangi e bevi ti nutrirà, ti darà forza per fare un pezzo di strada; se non mangi non riuscirai a camminare e trascinerai la vita”.
Mangiare e bere di Lui per rimanere in Lui. Sta proprio qui il segreto dell’autentica rinascita, che consiste nel vivere per qualcuno: «io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me». Allora finalmente ho trovato una strada da indicare alla mia giovane amica: vivere per il Padre celeste, di cui è riflesso il padre terreno, cercare l’uno nell’altro. Qui si pone un altro problema: cosa implica concretamente il ‘vivere per’? Anzitutto il non vivere più per sé, pensare prima alla gioia e al dolore altrui che ai propri; comprendere cosa è gradito all’altro e cercare di offrirglielo. Gesù ci offre la sua vita, ma non sempre noi la gradiamo.
Non credo ci sia sventura peggiore per un uomo, eppure molti pensano che la fede sia una delle più grandi sventure, perché ti limita, condiziona, impedisce. Ma non siamo noi forse limiti, condizionamenti e impedimenti? Lo stesso cibo che ingeriamo non è sottoposto al limite della sua esauribilità, al condizionamento di una distribuzione iniqua, all’impedimento di una vera volontà di condivisione? La fede invece è vita dentro un’esistenza fragile, anzi vita che non muore. Oggi lo scotto che paghiamo noi cristiani è probabilmente quello di non aver saputo sempre annunciare con credibilità che la fede è vita e trasforma la vita.
Se il cibo irrinunciabile di una ragazza è vedere il padre, come noi abbiamo presentato la Parola e l’Eucaristia? Come semplice rifugio dai colpi della vita (ma una persona non può trascorrere l’esistenza da rifugiata!) o come alimento di un cammino nuovo che condurrà senza alcun dubbio a ritrovare nel Padre celeste il padre terreno? Se oggi i giovani non sanno per che cosa spendere la vita, sappiamo alleviare la fatica di vivere (perché pensare di avere tutta la responsabilità della riuscita della propria vita può schiacciare un giovane), presentando il vivere per qualcuno come una modo genuino per riuscire nella vita? Interrogativi che ci porremo fino al termine dei nostri giorni, ma ci consola il fatto che fino alla fine non ci mancherà il pane eucaristico per non rimanere prigionieri della morte. Da questa certezza la possibilità di vivere sempre nel rendimento di grazie, anche se per un momento la vita ti riserva pane amaro e vino non inebriante.
Omeia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
Liturgia e Liturgia della Parola dell XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 19 agosto 2018
tratto da www.lachiesa.it